Commento

Millennial, rischio abbandono per studi e professione legale

I cambiamenti culturali e tecnologici in corso dovrebbero indurre a una riflessione sul prossimo futuro

26-09-2019

Millennial, rischio abbandono per studi e professione legale

 

di Marco Michael Di Palma


Sembrano quasi invisibili ma rappresentano spesso la maggioranza dei professionisti all’interno dello studio. Parliamo dei Millennial, la generazione nata tra il 1981 e 1995, le cui aspettative sono state sondate dal Centro Studi TopLegal in questi ultimi mesi. Il disincanto che emerge per le aspettative tradite dà motivo per riflettere. Meno di un quinto degli avvocati interpellati (18%) ha come attesa quella di restare nello studio attuale fra cinque anni. La medesima percentuale prevede invece di cambiare studio, mentre il 29% pensa addirittura di abbandonare la professione legale. Complessivamente, oltre la metà del campione (54%) immagina di lasciare l’attuale studio fra cinque anni. 

Se incrociamo questi dati con le evidenze emerse da una seconda indagine del Centro Studi TopLegal sulle remunerazioni, vediamo che lo scenario per i giovani professionisti diventa ancora più fosco. I dati raccolti ci indicano che i compensi dei collaboratori sono rimasti inferiori (e in certi casi molto inferiori) ai livelli pre crisi. Questo in un contesto in cui quasi tutti gli studi hanno già scelto di allungare il percorso di carriera allontanando di diversi anni la possibilità di accedere all’equity. 

E se questo non bastasse, la precarietà di cui si lamentano già i Millennial potrebbe aumentare notevolmente (il 55% del campione cita l’insicurezza come il maggiore fattore negativo sul livello di soddisfazione). L’imporsi dell’intelligenza artificiale (Ai) negli studi legali porterà a un ridimensionamento delle compagini con una stretta notevole sui neoprofessionisti. Come spieghiamo nella nostra analisi pubblicata su TopLegal Review (prossimo numero di ottobre/novembre), gli osservatori prevedono un accorciamento della leva che porterà a un ulteriore sbilanciamento del potere economico a favore dei soci.

Questi problemi, tuttavia, non riguardano solo i Millennial ma tirano in ballo anche gli studi. L’Ai rimane un fenomeno dal radicamento incerto in Italia. Nel frattempo serve una forza lavoro perché la classica struttura piramidale possa reggere. Eppure il bacino dei giovani talenti si sta prosciugando (le iscrizioni a giurisprudenza sono crollate del 38% nell’ultimo decennio). Visto che i Millennial sono già ben insediati negli studi, gestire questa generazione di avvocati rappresenta la vera sfida attuale per gli studi legali. 

Oggi, convivono in studio fino a tre generazioni di professionisti ma i rapporti di potere stanno cambiando. Mentre la generazione di rainmaker e di soci che si sono costruiti una fitta rete di relazioni si sta pian piano ritirando, i Millennial continuano a riempire i ranghi degli associate e iniziano a entrare nelle fila dei soci. Si potrebbe prospettare che fra 5-10 anni ci sarà un vuoto di leadership che la generazione X (coloro nati all'incirca tra il 1960 e il 1980) da sola non potrà colmare.

Occorre quindi sin da ora far entrare i Millennial nella gestione dello studio e nello sviluppo delle attività. Ma conciliare le aspirazioni e le prospettive della nuova generazione con le logiche dell’insegna tradizionale richiede la quadratura del cerchio. Il motivo è semplice: i Millennial sono portatori di una nuova cultura che mal si sposa con il modello di studio legale e persino con una certa concezione di professione che finora ha fatto da punto di riferimento. 

Per molti ventenni e trentenni raggiungere la partnership appare un traguardo che somiglia sempre di più a un miraggio. Non è più il Santo Graal. Né viene considerata attraente una vita trascorsa inchiodati in un ambiente d’ufficio a fatturare il numero di ore più alto possibile a vantaggio dei proprio capo. Per i Millennial la vita è fatta di interrelazioni e interdipendenze che non consentono al singolo aspetto di predominare. Si rivendica un rapporto più ottimale tra vita professionale e vita privata, con la priorità ai modelli di lavoro flessibili. Anche perché l’epoca del nucleo monoreddito fatto di casalinghe e madri che accudiscono i figli – presupposto economico e sociologico su cui reggeva la vecchia concezione di impegno professionale – è ormai un ricordo lontano.

Cosa significa? Si mette in discussione il principio cardine della professione intesa come vocazione e piena realizzazione di sé. Stando a tutti i barometri di opinione, i Millennial semplicemente non si identificano col lavoro, per cui rifiutano di anteporre la vita professionale a quella vita privata. Si lavora per vivere e non si vive per il lavoro. Gli avvocati non si discostano da questo comune sentire. Appassiona poco lo stile lavorativo tramandato dal XXesimo secolo con il professionista che rimane alla scrivania a lavorare fino a notte così come è poco attraente l’individualismo e la competitività esasperata fra colleghi. L’avversione per gli ambienti di lavoro troppo competitivi – citato dal 42% dei rispondenti al nostro sondaggio tra i fattori negativi che incidono sull’appagamento personale — mette in luce i controvalori cari ai Millennial, quelli della collaborazione, della condivisione e della proprietà condivisa.

Molti provano sconcerto o risentimento verso queste trasformazioni e vorrebbero combatterle. Invece di voler cambiare la testa a un’intera generazione, avrebbe più senso capire come collaborarci.


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