Erano le 16.58 e 20 secondi di domenica 19 luglio 1992, 57 giorni dopo la strage di Capaci in cui venne ucciso il giudice Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta.
«Una carica esplosiva di circa 100 kg di tritolo brilla all'interno di una Fiat 126 parcheggiata in via D'Amelio. Vengono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano ed Eddie Walter Cosina» (tratto da Paolo Borsellino e l'agenda rossa, redazione 19luglio1992.com).
Da quel giorno sono trascorsi 20 anni. Ma ancora oggi gli interrogativi che permangono sull'uccisione del magistrato palermitano sono innumerevoli. Si parla di strage di Stato, di trattativa mafia-politica, della sparizione dell'agenda rossa, di mandanti e di esecutori, ma di risposte chiare e che definiscano la realtà dei fatti ce ne sono poche. Ci si chiede ancora se un giorno giustizia sarà fatta. «Credo che giustizia ci sarà», dice Salvatore Borsellino, fratello del magistrato. «Questo non vuol dire necessariamente che gli assassini materiali di mio fratello e quei pezzi deviati di Stato che hanno preparato la strage vengano assicurati alla giustizia».
Salvatore ha rilasciato un'intervista a TopLegal, pubblicata sul numero di luglio/agosto del mensile. Da vent'anni non smette di farsi domande, ha sostenuto da sempre la tesi della strage di Stato. Oggi, parla di squarci di verità che cominciano a fare luce su ciò che stava dietro agli attentati. «È una verità - commenta - che può far tremare la Seconda Repubblica».
Parla il fratello Salvatore