La struttura degli studi d’affari più importanti si sta polarizzando. Il classico modello piramidale che ha contraddistinto l’espansione del mercato legale italiano dell’ultimo ventennio è avviato al tramonto. Il boom dei salary partner, che rappresentano un elevato costo fisso spesso non commisurato alle performance individuali, è una bolla che si sta sgonfiando. E gli studi italiani stanno tornando alle origini, quando il loro equilibrio si reggeva sulla piena assunzione del rischio d’impresa che solo la partnership equity può assicurare.
Utilizzando come indicatore il paniere dei primi 25 studi per fatturato (TL25), così come individuati nell’analisi effettuata dal Centro Studi TopLegal, è emerso che, rispetto all’esercizio del 2012, i salary partner sono diminuiti del 27,3%. Una ristrutturazione che coincide anche con un altro movimento: l’aumento del numero dei soci equity. Nell’ultimo anno fiscale, infatti, le insegne della TL25 hanno dichiarato un incremento dei partner del 2,9%. Un dato significativo, che si legge anche alla luce delle richieste dei clienti, sempre più inclini a volersi interfacciare con strutture leggere e direttamente con i partner.
Un modello di questo tipo concentra il corpo della struttura delle insegne sui due poli opposti – chi procaccia il business da un lato e dall’altro chi gestisce il lavoro a basso valore aggiunto – mentre riduce il collo centrale, vale a dire il gruppo di aspiranti soci. Per questi, come raccontano i recenti esempi forniti dalle ristrutturazioni della partnership messe in campo da svariati studi, due sono le strade possibili: dimostrare di essere talmente performanti da avere accesso alla torta dell’equity o, in alternativa, cercare un nuovo approdo.
Questo tipo di approccio, se da un lato ha l’indubbio vantaggio di ridurre i costi fissi e rendere più omogenea l’associazione di soci, dall’altro, per funzionare al meglio, richiede un incremento degli utili. Altrimenti, pone i soci semplicemente nella condizione di guadagnare sempre meno. È vero che la sostenibilità della struttura, oggi, è diventata il puzzle da comporre per la stessa sopravvivenza degli studi sul mercato; ma non bisogna dimenticare che la massimizzazione del profit per partner (pep) è il barometro che da sempre orienta le scelte dei singoli.
Tagliare i costi fissi e allargare la partnership senza aumentare l’utile, quindi, è controproducente. E per incrementare l'utile gli studi dovrebbero cominciare a ragionare sulla redditività e non sul fatturato. Per fare ciò servirebbe un ripensamento del modello interno e dei servizi. Ma quanti studi oggi si pongono questo problema? Pochi. La maggior parte, anziché innovare il modello per guardare al futuro, preferisce fare il passo del gambero, ripercorrendo strade già battute in passato.
Maria Buonsanto
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