La Camera sta esaminando il Ddl Nordio, che prevede tra gli altri l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Il provvedimento è stato approvata questo mese in prima lettura al Senato, sostenuto dall’intera maggioranza, da Italia Viva e Azione. Abbiamo parlato dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio con Enrico de Castiglione, partner di DIZ Legal.
Cosa ne pensa dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio?
Da più parti si sostiene che il reato di abuso d’ufficio paralizzerebbe i pubblici amministratori timorosi di finire nel mirino della magistratura penale. Indubbiamente in passato vi sono stati casi di abuso dell’abuso d’ufficio da parte di alcuni Pubblici Ministeri. Spesso, infatti, fumose contestazioni del reato di abuso d’ufficio sono state il pretesto per cercare le prove di presunte corruzioni, poi risultate inesistenti. In altri casi la formulazione del reato di abuso ha consentito forzature interpretative che alla fine si sono risolte in numerose sentenze di assoluzione: è quindi incontestabile che le condanne per il reato di abuso d’ufficio siano irrisorie rispetto ai processi celebrati.
Quindi, giusto abolirlo?
No, e per due ordini di ragioni. Innanzitutto la recente riforma del 2020 – che ha modificato la disciplina del delitto di abuso d’ufficio, pur essendo per certi aspetti criticabile sul piano tecnico-giuridico e quindi meritevole di un intervento legislativo volto a migliorarla – ne ha, da un lato, ridotto l’ambito applicativo, restringendo l’area della sua rilevanza penale e, dall’altro, ha meglio precisato il perimetro della fattispecie: con ciò evitando, o quantomeno limitando, inaccettabili strumentalizzazioni della norma in esame. Del resto, le statistiche delle assoluzioni per il reato di abuso d’ufficio sono per lo più relative a contestazioni mosse sotto la vigenza del precedente dettato normativo; e sui conseguenti processi ha certamente inciso l’entrata in vigore della norma penale più favorevole, che ha ristretto il perimetro delle condotte penalmente rilevanti.
In secondo luogo, ritengo che il reato di abuso d’ufficio – magari meglio delineato nella sua descrizione – resti un pilastro a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, ma anche un fondamentale presidio affinché il cittadino non sia leso nei suoi diritti da eventuali comportamenti illegittimi posti in essere dai pubblici ufficiali (o incaricati di pubblico servizio).
Potrebbe fare alcuni esempi di casi in cui l’abrogazione dell’art. 323 c.p. potrebbe comportare conseguenze a suo giudizio inaccettabili?
Poiché molte delle critiche al reato di abuso di ufficio provengono da coloro che ritengono – come detto, non del tutto a torto - che la magistratura (o una parte di essa) abbia strumentalizzato tale norma, vorrei, un po’ provocatoriamente, portare due esempi che dimostrano come la disposizione di cui all’art. 323 c.p. possa essere considerata un presidio anche nei confronti di eventuali comportamenti inaccettabili – e come tali meritevoli di tutela penale - posti in essere dagli stessi magistrati.
Pensiamo al caso, peraltro qualche tempo fa emerso alle cronache, di un aspirante magistrato che, con l’aiuto di un commissario di esame, trucchi il concorso previsto per l’accesso in magistratura. Condotte di questo tipo, senz’altro gravi, risulterebbero prive di qualunque sanzione penale, senza il reato di abuso d’ufficio.
Ma le voglio fare anche un altro esempio. Ipotizziamo il caso in cui un Pubblico Ministero intenda favorire un proprio amico o congiunto nell’ambito dell’attività imprenditoriale o politica di quest’ultimo e, a tal fine, decida di perseguire penalmente – sulla base di notizie di reato prive di reale fondamento – un concorrente o un rivale politico del proprio amico o congiunto.
Sarebbe certamente un fatto grave che tuttavia, con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, potrebbe essere perseguito solo sul piano disciplinare: un po’ poco.
Vi sono ulteriori motivi a suo avviso per mantenere il reato di abuso d’ufficio, eventualmente modificandone il contenuto?
Una condotta “abusiva” posta in essere da un pubblico funzionario, che abbia impatto sugli interessi finanziari dell’Unione Europea, ma priva di sanzione penale, farebbe venir meno agli obblighi assunti dall’Italia con la stessa Unione Europea.