Secondo quanto appreso da TopLegal, un nuovo tassello si è aggiunto in questi giorni alla vicenda legata all’eredità dell’avvocato Gianni Agnelli (in foto), morto nel 2003. Con una pronuncia di questa settimana, la Corte d’Appello ha confermato la sentenza del 2014 con cui il Tribunale di Milano aveva respinto la richiesta dello svizzero Charles Poncet di condannare l'avvocato Emanuele Gamna (ex socio di Chiomenti), difeso da Eugenio Dalmotto del foro di Torino, a un cospicuo risarcimento economico per una presunta diffamazione subita nelle pagine del libro “M-L'importanza di chiamarsi Agnelli” scritto dallo stesso Gamna.
I fatti si inquadrano nell’ambito dell’assistenza prestata da Gamna e Poncet, avvocato del foro di Ginevra, a Margherita Agnelli nelle vicende inerenti l’eredità del padre. Nel libro autobiografico Gamna spiegava come Poncet avesse fatto pressioni per fargli firmare un documento in cui riconosceva di aver lavorato non per Margherita Agnelli ma per Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, dei quali Poncet voleva dimostrare il ruolo di gestori del patrimonio del senatore Agnelli. Narrando la vicenda, Gamna utilizza la parola «ricatto», ritenuta diffamatoria da Poncet.
Il Tribunale di Milano prima, e ora la Corte d’appello, hanno però giudicato fondata la ricostruzione fornita da Gamna, ritenendo che nel caso specifico non si sia assistito ad altro che a un lecito esercizio del diritto di critica. Secondo la Corte lo scrittore si sarebbe attenuto al criterio di verità, riportando fedelmente i fatti rilevanti. Ritenendo ciò, secondo la Corte l’espressione «ricatto» utilizzata da Gamna per censurare la condotta di Poncet non avrebbe carattere diffamatorio, ma sarebbe funzionalmente collegata all’esercizio del diritto di critica.
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