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Agile working, una nuova era per gli studi legali

Secondo uno studio di Cbre il 55% delle insegne a Milano ha adottato questa nuova modalità di lavorare

12-11-2019

Agile working, una nuova era per gli studi legali

 

L'agile working non convince del tutto gli studi legali d’affari italiani. Il 55% delle insegne di Milano dichiara di aver adottato questa nuova modalità di lavorare che prevede collaborazione, trasparenza, inclusione e poca gerarchia. Ma questa percentuale difficilmente crescerà in futuro: tra gli studi che non l’hanno ancora fatto, solo il 40% è disposto a mettere in atto questo tipo di metodologia di lavoro nei prossimi tre anni. È quanto emerge in un recente studio condotto da Coldwell Banker Richard Ellis - Cbre (“Challenges of agile working in the italian legal sector”), una società statunitense di servizi immobiliari commerciali.

L’analisi accende i riflettori sull’adozione di policy di agile working nel marcato dei servizi legali in Italia e parte dall’assunto che l'implementazione di queste politiche avviene attraverso un mix che va dalla fornitura di tecnologia (soluzioni audiovisive come le videoconferenze) alla riorganizzazione degli spazi interni, fino all'opportunità di lavorare da casa (smart working).

Nato nel mondo It per ridurre i tempi di lavoro, superare i rallentamenti dovuti ai vari passaggi tra i dipartimenti e aumentare così la capacità di riposta alle esigenze dei clienti, l'agile working ha contagiato in poco tempo le aziende di tutti i settori e la galassia dei servizi professionali non poteva restare immune. Trova però delle sacche di resistenza negli studi legali milanesi, anche se il report di Cbre, segnala un cambio di atteggiamento ai piani alti, soprattutto in quegli studi più grandi e strutturati, che cercano di aumentare l'efficienza e la collaborazione sul posto di lavoro dei propri collaboratori.

La richiesta di lavoro flessibile, inoltre, va di pari passo con la crescente percentuale di millennial (i nati dopo il 1980) presenti oggi nel settore legale, tanto che, secondo gli analisti di Cbre, gli studi legali milanesi non possono ormai più trascurare questi aspetti organizzativi e continuare a vivere isolati: devono adattarsi, e farlo in fretta, per attrarre e trattenere talenti delle fasce più giovani. Certo, non mancano le criticità per introdurre questa nuova modalità di lavoro, soprattutto tra le insegne italiane più piccole: i partner continuano a credere che sia del tutto inutile per la crescita degli studi e difficilmente applicabile alla realtà del mondo legale.

Ma quali sono le cause dello scarso appeal dell'agile working tra gli avvocati d’affari italiani? Analizzandole, lo studio Cbre indica al primo posto la dimensione limitata del mercato: per mettere in pratica una policy di agile working e apportare benefici vantaggiosi per l'impresa sono richiesti almeno 20 professionisti. Al secondo posto, il report mette un pregiudizio diffuso tra i partner: troppa flessibilità è considerata addirittura inadatta per la professione legale e potrebbe causare problemi di riservatezza. Basti pensare ai file dei clienti: è appropriato portarli fuori dagli uffici?

Poi c'è la gerarchia: per la maggior parte degli intervistati (75%) un ambiente di lavoro agile andrebbe a sovvertire i rapporti tra partner, counsel e associate, mentre solo il 20% degli intervistati ritiene che l’agile working non avrebbe alcun impatto. Non a caso la maggior parte (94%) del campione intervistato è convinto che siano proprio i partner a rappresentare il principale ostacolo all'attuazione di questo nuovo modo di lavorare, a differenza del personale dello studio, che è più favorevole alla sua adozione.

Che la cultura dell’agile working sia poco diffusa, o non compresa, lo dimostrano anche le risposte date dal campione in merito all’organizzazione e all’arredamento degli uffici. Quasi la totalità degli studi oggi vede i propri spazi interni strutturati in cellule o in uffici chiusi (c’è un solo ambiente comune: la biblioteca dello studio), mentre solo il 36% ha optato per un mix di cellule e open space, anche perché la maggior parte ha indicato tra le principali difficoltà nell'implementazione dell'agile working la gestione della privacy e della concentrazione dei professionisti. Tra le novità da introdurre, invece, ai primi posti compare l’auditorium (23%). Seguono la terrazza per gli eventi, la palestra, il ristorante e la wellness area.

L’agile working, infine, non è un fattore decisivo quando si trasloca: chi cambia sede (25%), lo fa per necessità di avere più spazio (43%) e non perché ritiene che il trasferimento faciliterebbe l'attuazione di una politica di lavoro più efficiente (29%). E anche in fatto di traslochi, le priorità per i partner sono sempre altre: si cambia, certo, ma per spostarsi in aree alternative al quartiere degli affari (l’area compresa tra il Duomo, Piazza Affari, il Castello Sforzesco e il quadrilatero della moda) e comunque di pregio, come Porta Nuova (70%) o la zona centrale meridionale (Missori, Porta Romana e Corso Italia). Ma, appunto, si tratta solo di uno studio su quattro. Per tutti gli altri (75%) va benissimo la sede attuale. E, anzi, per restare dove sono, i partner sarebbero disposti a pagare affitti più alti.


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