di Marco Michael Di Palma
Che i modelli linguistici avanzati come Chat Gpt stiano avendo impatto sul lavoro dei professionisti legali è ormai indubbio. Tuttavia, sarebbe un’esagerazione ritenere che queste tecnologie stiano rivoluzionando i servizi legali e il modello di business degli studi. Qualsiasi previsione sui servizi legali che non contempli la spinta derivante dalla domanda — ossia dai clienti — rischia di offrire una visione parziale e distorta dei cambiamenti in atto.
Finora, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI) ha inciso principalmente su due ambiti. Il primo riguarda l'efficienza operativa interna degli studi. La tecnologia consente di ridurre il tempo e le risorse necessarie per le operazioni di routine o a basso valore, come la ricerca giuridica e l'elaborazione di grandi quantità di dati. Il secondo ambito riguarda la comunicazione con il cliente, in cui l’AI consente di automatizzare l’assistenza per questioni generiche, migliorando l’accessibilità del servizio.
L’automatizzazione dei processi che un tempo richiedevano il contributo dei giovani professionisti riduce la necessità di personale di supporto e abbassa i costi operativi. Per questo, gli studi legali potrebbero rivedere la loro organizzazione, affidandosi a un numero minore di persone per attività a basso valore, lasciando invece i servizi ad alto valore aggiunto nelle mani degli avvocati più esperti. Questa è, in sostanza, la tesi di Richard Susskind, una visione che fin qui appare condivisibile.
La vera rivoluzione per i cosiddetti lavoratori della conoscenza e per il modello di studio legale, se mai arriverà, non si limiterà all’analisi di grandi volumi di dati o all’assistenza generica. La trasformazione significativa non consisterà neanche, come affermano ripetutamente gli osservatori, nell’adozione di modelli di tariffazione basati più sul valore fornito che sul tempo impiegato, o nella maggiore trasparenza dei costi per il cliente. La spinta verso le tariffe alternative è già in atto da tempo, un passo necessario dettato dai clienti emersi dalla crisi finanziaria quindici anni fa con nuove esigenze di efficienza.
Occorre distinguere tra i contenuti generati dagli algoritmi di machine learning e il legal tech vero e proprio, progettato specificamente per la pratica legale. A Londra, l’anno scorso, ho assistito a una presentazione di un assistente legale capace di automatizzare la due diligence e le negoziazioni per mandati di M&A, IPO e altre operazioni asset. Grazie al suo vasto playbook di strategie, la piattaforma è in grado di anticipare e gestire ogni modifica contrattuale, facilitando il superamento dei punti critici dell’accordo, allineando i dirigenti e i membri del consiglio di amministrazione sulle questioni chiave e accelerando il closing, con un risparmio di tempo e costi per il cliente.
Al contrario, l'AI generativa, sempre più diffusa negli studi legali, non sembra incidere per i clienti. A supporto di questa osservazione emerge un indicatore interessante dal recente sondaggio condotto dall’associazione Mopi (“AI generativa e studi legali”). Il principale beneficio riscontrato nell'uso dell'AI riguarderebbe l'efficienza dei processi operativi interni, senza determinare risparmi di costo né un miglioramento nella qualità dei servizi offerti. Servizi e modello, dunque, restano invariati.
Il vero legal tech è ancora poco diffuso all’interno degli studi legali, principalmente perché le imprese non hanno richiesto sistematicamente ai propri consulenti l’adozione di tecnologie che esse stesse faticano a comprendere e gestire. Solo una domanda più evoluta e consapevole potrà innescare quella rivoluzione spesso annunciata, ma finora rimasta teorica.
L’articolo è tratto dalla TopLegal Digital di novembre 2024 – n. 9. Registrati / accedi al tuo profilo per sfogliarla gratuitamente