La Commissione Europea ha presentato oggi la bozza di Direttiva che intende introdurre una nuova regolamentazione per gli operatori di Private equity, scritta a seguito delle richieste avanzate dai socialisti europei, guidati dal parlamentare Paul Rasmussen.
Dall’analisi del documento, secondo l'Aifi (associazione italiana del Private equity e venture capital) emerge che la Commissione Europea ha perseguito una strategia penalizzante per il settore, tanto che l’industria del settore esprime compatta la propria preoccupazione sulla futura competitività all'indomani dell’entrata in vigore di tale Direttiva.
Secondo la Task Force, che riunisce oltre a EVCA, le associazioni nazionali del Private equity dei principali Paesi europei e a cui AIFI partecipa attivamente, tale provvedimento potrebbe danneggiare gravemente lo sviluppo competitivo di lungo termine del settore, con riflessi importanti anche sul mercato italiano, compromettendo una delle poche fonti di capitale di rischio oggi a disposizione delle imprese.
Si tratta, notano dall'Aifi, di una semplice estensione al Private equity dello schema regolatorio previsto per gli Hedge fund, nonostante il Private equity non ponga alcun problema di rischio sistemico. Le nuove regole, infatti, riguardano diversi ambiti, quali la valutazione, la custodia degli strumenti finanziari, le deleghe di gestione, il rischio, la liquidità e le riserve di capitale. Inoltre, le misure che riguardano la trasparenza sono molto restrittive, spesso più vincolanti di quelle previste per le società quotate.
Nel testo viene meno anche il principio di proporzionalità: la Direttiva riguarda, infatti, tutti i fondi con almeno 500 milioni di euro in gestione. Questi parametri includono centinaia di fondi a livello europeo e diverse decine di gestori italiani che negli ultimi anni hanno promosso più fondi, per un ammontare complessivo che supera la soglia di riferimento. Gli obblighi previsti imporrebbero ulteriori costi relativi ad oneri burocratici per gestori con strutture organizzative molto snelle.
Da ultimo, si segnala come tali misure non siano eque, esentando da questa regolamentazione gli investitori personali, i trust di famiglia, le fondazioni, i fondi pensione e i fondi sovrani. La regolamentazione perciò altera il piano concorrenziale in cui questi soggetti finanziari agiscono, perché si basa su una classificazione formale dell’attività svolta piuttosto che sulla natura sostanziale della stessa.
«Al momento si stima che siano disponibili più di 114 miliardi di euro per gli investimenti in tutta Europa, che potrebbero contribuire in maniera importante al rilancio del sistema economico» fa sapere l'Aifi, «ma misure come quelle presentate oggi potrebbero orientare tali capitali verso altre aree del mondo, indebolendo così il sistema economico europeo».