Il mercato del credito in Italia avverte forte l’esigenza di nuovi attori rispetto al mero canale bancario. Il direct lending da parte dei fondi è certamente una delle vie tracciate sulla strada della diversificazione delle fonti di finanziamento alternative.
Nel corso dell’ultima ricerca condotta dal Centro Studi TopLegal sul banking & finance (TopLegal Review di aprile-maggio 2017), i principali attori del settore hanno affermato che i fondi di credito di diritto italiano e i fondi di credito alternativi esteri sono destinati ad affiancare sempre più le banche nelle sindacazioni, consentendo al contempo al sistema bancario di alleggerire talune esposizioni e focalizzarsi sul miglioramento dei propri ratios patrimoniali. Non solo. I fondi di credito potranno agire anche “stand alone”, vale a dire, non necessariamente a fianco di una o più altre banche, come è invece richiesto per altre forme di lending alternative al sistema bancario come, ad esempio, quello da parte di imprese di assicurazione, peraltro limitato alle compagnie di diritto italiano. Sono, dunque, potenzialmente in grado di occupare sempre più rilevanti quote di mercato.
TopLegal ne ha parlato con il partner di Simmons & Simmons, Romeo Battigaglia (in foto), che ha recentemente assistito Blackstone nell’ottenimento di una delle prime autorizzazioni da parte della Banca d’Italia a fondi alternativi esteri a operare nel direct lending in Italia. Ottenendo, in particolare, l’autorizzazione per cinque fondi irlandesi della piattaforma, mentre è in corso la procedura per l’autorizzazione di un sesto fondo.
Quali sono state le sfide affrontate e quali gli aspetti tecnico-giuridici più innovativi e complessi dell’operazione?
La sfida è stata affrontare questo procedimento su base “learning by doing”, trattandosi di una delle prime procedure di approval andate a buon fine di cui siamo a conoscenza. E, se mi posso permettere, l’apprendimento sul campo c’è stato certamente per noi, ma anche per i funzionari della Banca d’Italia che hanno seguito la pratica. Si è trattato essenzialmente di vagliare e modificare i regolamenti dei fondi per i quali abbiamo richiesto l’approvazione, fondi redatti e disciplinati secondo la normativa applicabile nel Paese d’Origine (l’Irlanda), alla luce della regolamentazione italiana. Con conseguente esigenza poi di ritornare a più riprese all’autorità irlandese per far approvare modifiche richieste dall’autorità italiana, dandone di volta in volta giustificazione spiegando i più stringenti requirements applicabili ai fondi di credito italiani, in particolare quanto all’utilizzo massimo consentito della leva finanziaria ed in relazione al requisito della concentrazione del rischio. Il tutto con conseguente allungamento della procedura, in particolare per i primi 5 fondi sottoposti al vaglio della Banca d’Italia, dai due mesi previsti dalla normativa a circa sei mesi. D’altra parte, ora che tutti gli attori in campo (dunque noi, la Banca d’Italia e l’autorità irlandese) hanno compreso l’estensione delle modifiche da apportare al regolamento di ciascun fondo per assicurare il buon esito della richiesta di approval, con il sesto fondo siamo andati “a colpo sicuro” e l’accertamento positivo è pervenuto addirittura in meno di due mesi.
L’apertura a finanziatori alternativi alle banche cosa comporta per il mercato italiano?
Come in ogni mercato, più attori comporteranno a nostro avviso più concorrenza, a beneficio delle società richiedenti finanziamenti. D’altra parte, i fondi alternativi almeno in una prima fase avranno preferenza ad affiancare le banche, anche per comprendere meglio le dinamiche del credito in Italia. E le banche per parte loro ad essere affiancate, anche per esigenze di rafforzamento dei propri requisiti patrimoniali.
Per gli studi legali, l’ingresso dei fondi nel mercato del credito comporterà la costruzione di nuove e innovative strutture giuridiche? O si potranno adottare i vecchi schemi?
In effetti, ogni volta che un nuovo player entra in un mercato consolidato, è abbastanza fisiologico che si faccia portatore di istanze di innovazione rispetto a strutture anche consolidate. Non arriverei in questo caso a parlare di “disruptive innovation”, ma certamente i fondi hanno un loro modus operandi, molto più votato all’estrazione di valore che non le banche, che a mio avviso non potrà non incidere sulle strutture giuridiche e schemi contrattuali esistenti.
Quali opportunità offre il mercato del credito italiano per i fondi stranieri? E quanti potrebbero essere interessati a prenderne una fetta?
Sappiamo per certo che molti fondi attendevano un first mover, in quanto scettici circa l’effettiva possibilità di ottenere l’approval in questione. E, ad onor del vero, non sarebbe stata la prima volta che a possibilità scritte nelle norme non corrisponda una reale percorribilità delle, a volte, anche troppo sbandierate “aperture” del mercato (si pensi alla distribuzione dei prodotti alternativi esteri, specie ove non-Ue, alla clientela retail italiana – le norme per ottenere la relativa autorizzazione esistono da decenni, ma la possibilità di ottenerla in concreto è di fatto impraticabile). Ora che è dimostrato che è possibile, ed anche in termini ragionevolmente brevi (meno di due mesi) ottenere l’approvazione a fare direct lending, stiamo già vedendo un ritorno di attenzione verso un’opportunità che come dicevo molti ritenevano non realistica. E questo anche in combinazione con la Brexit. In particolare, l’opzione in questione è entrata ora tra quelle che stiamo discutendo con diverse banche Uk, che oggi fanno lending in Italia e che all’esito della Brexit perderanno il diritto a continuare a farlo in regime di passaportazione, e che potrebbero preferire stabilire in Eu un proprio gestore alternativo, piuttosto che l’assai più complessa ed onerosa subsidiary bancaria.
Proviamo a fare un pronostico. Stando alle attuali condizioni di mercato, in Italia gli alternative lender saranno più competitor o più partner dei finanziatori bancari?
Questo dipenderà da entrambe le parti. Io credo comunque entrambe le cose. Mutuando dal noto proverbio cinese, a mio modestissimo avviso, le banche faranno bene ad accogliere questi venti di cambiamento “costruendo mulini”, piuttosto che “alzando muri”.
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