di Marco Michael Di Palma
Lo scorso mese, il Censis ha pubblicato il suo ultimo rapporto sull’avvocatura e sull’impatto della pandemia. Nel monitoraggio del Censis figurano poco o affatto i comportamenti degli avvocati d'impresa negli ultimi 12 mesi. Questi aspetti andrebbero puntualizzati.
Con il primo anniversario della pandemia, è appena iniziato il terzo lockdown (già il secondo era impensabile) e la crisi continua a pesare sulla fiducia come una spada di Damocle. Sulle linee generali, si delinea una crisi percepita ma improntata sull’ottimismo, seppure qualificato, per l’inizio della campagna vaccinale. L'avversione al rischio, già trasversale e fisiologica tra i professionisti legali, è cresciuta. Se la percezione della vulnerabilità e la volontà di sentirsi le spalle coperte accomunino quasi tutti gli studi legali, i problemi di sostenibilità e il rischio della scivolata in basso sembrerebbero colpire più i concorrenti che non il proprio studio.
Vi è un forte auspicio per il ritorno alla normalità, ma in questa speranza si annida una risposta passiva e statica alle richieste dei clienti e alle tendenze del mercato. Un gioco di rimessa che oscilla tra stagnazione e inseguimento tattico di clienti e concorrenti. Una situazione, insomma, di sostanziale staticità che non consente sicuramente di volare verso l’alto, ma nemmeno fa precipitare.
Le decisioni in condizioni di incertezza e la scarsa propensione a investire rappresentano il barometro degli atteggiamenti divergenti e contrastanti. Per necessità, tutti gli studi hanno avviato un esame della spesa, analizzando quello che serve e quello di cui hanno preferito fare meno.
Nell'ottica dei singoli professionisti, la paura e l’incertezza hanno rinvigorito il protagonismo e la frenesia di apparire, facendo commettere errori. Prende sempre più piede la convinzione che la notorietà sia sufficiente per rimanere o diventare competitivi. Il riconoscimento capace di gratificare nell'immediato prevale quindi sulla paziente costruzione della reputazione e dei rapporti sul medio-lungo termine.
Da parte loro, le insegne medie e medio piccole, spinte dalla necessità di definire una proposizione di valore distintiva in un mercato più difficile, hanno approfittato della sospensione della supposta normalità per avviare le attività perennemente rimandate. Molti hanno scelto di avviare o ottimizzare la comunicazione e l'immagine per rilanciarsi. In contrasto con le realtà meno affermate, per gli studi più noti, sia grandi (+100 avvocati) che medio-grandi (+50), il tratto distintivo è stata l’eccessiva precauzione e l’attendismo.
All’indomani del primo lockdown, i principali studi del Paese si sono mobilitati per lanciare iniziative solidali e comunicare la vicinanza ai propri clienti. Sono seguite le analisi delle problematiche create dalla pandemia e la decodificazione delle misure a sostegno delle imprese. Alcuni professionisti sono anche intervenuti sui media per esortare il Paese alla fiducia e alla condivisione del senso di responsabilità. Da lì, queste insegne sono rimaste piuttosto ferme. Gli investimenti per lo sviluppo delle attività da parte della fascia alta del mercato sono ai minimi degli ultimi 15 anni.
L’azzeramento degli investimenti non si spiega tuttavia con la dinamica dei redditi. Nonostante un’economia a pezzi, le insegne più produttive hanno consolidato e persino incrementato il fatturato e i margini. Come in passato, la congiuntura in atto ha rappresentato uno stato di eccezione solo in parte. L’impatto delle crisi tende a colpire più le aziende che gli studi legali, i quali affrontano le recessioni meglio di quanto non lo faccia l'economia in generale.
Nell’ultimo anno, si è compensato il tasso inferiore di ore realizzate con il maggiore tasso di utilizzo dovuto al maggiore fabbisogno di assistenza, con l’abbattimento senza precedenti dei costi indiretti e con lo spostamento dell’esposizione allo Stato. Le spese di rappresentanza e di intrattenimento, come anche il costo dei viaggi e i compensi dei lavoratori subordinati, si sono sensibilmente ridotti.
Ciononostante, non si investe attingendo alle riserve accumulate negli anni. La cultura dell’associazionismo da sempre privilegia il breve termine e gli interessi dei singoli soci. Più che mai si naviga a vista. Il saggio contenimento della spesa non è stato accompagnato dalla capacità di adattare agilmente strategie, tattiche e offerta per rispondere al cambiamento della domanda.
La congiuntura ha reso doveroso mettere le esigenze dei propri clienti sotto il microscopio, ma invece di intervenire sui budget di marketing con il bisturi, molti studi hanno preso la mannaia. Il potere decisionale si è accentrato verso l’alto a danno delle divisioni di supporto che nell’ultimo anno sono state costrette a fare un passo indietro. Nonostante il prevedibile inasprimento della concorrenza per le attività esistenti, si è scelto di disinvestire nel supporto strategico ai propri professionisti. Mentre i clienti stanno ripensando le proprie priorità per riallocare i budget, tra cui la rivalutazione dei consulenti legali e la ridefinizione del valore.