Scenari

Aziende e Intelligenza Artificiale

Un confronto tra Direttori Hr e giuslavoristi sulle leve per la competitività

22-06-2017

Aziende e Intelligenza Artificiale

Nei prossimi tre anni si prevede che oltre cinque milioni di persone potrebbero perdere il proprio posto di lavoro a causa della tecnologia. Lo sviluppo dell' automazione mediante robotica e intelligenza artificiale solleva questioni circa l'impatto crescente sui posti di lavoro, le competenze, i salari, e - soprattutto - la natura stessa del lavoro. Tutte le aziende che operano a livello globale si trovano ad affrontare la sfida della digitalizzazione e l’applicazione dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, contribuiscono in modo profondo all’innovazione dei processi produttivi e organizzativi anche le novità normative nell’ambito del diritto del lavoro, quali ad esempio gli interventi in tema di controllo a distanza e la regolamentazione del lavoro agile.

Di questi temi si è discusso ieri a Milano nella tavola rotonda Il futuro del lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale, nell’ambito dell’European Hr Directors Summit 2017 on Future of Work organizzato da Business International e in media partnership con TopLegal. Hanno preso parte ai lavori in qualità di relatori: Livio Zingarelli, Head of Hr & Business Transformation di PhilipsFrancesco Rotondi, founding partner di LablawNoemi Pantile, Direttore Risorse Umane e Organizzazione di Rfi - Rete Ferroviaria ItalianaFranco Toffoletto, managing partner di Toffoletto De Luca TamajoNicola Parrini, Hr Director di Sca - Hygiene and Forest Products Company; e Pietro Colangelo, Direttore progetti speciali, risorse umane e organizzazione di gruppo Fiera Milano.

«Gli interventi del governo sul diritto del lavoro, hanno dato alle aziende la possibilità di cogliere con maggiore efficienza le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per essere più competitive sia in Italia che a livello internazionale, dove erano fortemente penalizzate da un quadro normativo obsoleto – ha detto Franco Toffoletto – Basti pensare al vantaggio competitivo ed economico dato dalla possibilità per le aziende di utilizzare gli strumenti digitali di lavoro per raccogliere informazioni ed effettuare una big data analysis che consenta di misurare le performance e monitorare l’andamento dell’attività lavorativa al fine di intervenire prontamente dove viene identificata un’inefficienza. Un’opportunità che prima delle modifiche apportate all’articolo 4 dello statuto dei lavoratori non era assolutamente pensabile e che ora è possibile grazie a una semplice, ma ben scritta, policy interna e da un’informativa ai propri dipendenti».

Da un punto di vista strettamente pratico, ciascuno di questi interventi – dall’articolo 4 Stat. Lav. alle procedure per utilizzare lo smart working – necessita di alcuni accorgimenti per la predisposizione di tutti i documenti e le buone pratiche che un’azienda deve mettere in atto.
«La regolamentazione del lavoro agile, per esempio, ha finalmente fornito un quadro normativo preciso per la sua utilizzazione – continua Toffoletto – Alla base vi è un accordo scritto tra le parti. Tuttavia, dal momento che per svolgere l’attività lavorativa verranno sicuramente impiegati degli strumenti informatici, lo smart working non potrà mai essere messo in pratica se a monte l’azienda non avrà messo a punto la policy sull’utilizzo di tutti questi device, oltre all’informativa sui rischi in materia di sicurezza sul lavoro e il profilo disciplinare».

Se è vero che negli ultimi anni tanto è stato fatto; è altrettanto vero che in tema di lavoro secondo i presenti molto è ancora da fare. Di questo avviso, Francesco Rotondi. «Il vero tema - ha commentato - è che anche le novità come lo smart working si inseriscono in un quadro normativo che necessita di un intervento sistemico. Poiché siamo di fronte a un mercato del lavoro totalmente mutato, occorrerebbe un nuovo patto sociale e, quindi, un nuovo contratto del lavoro, che possa rispondere a fenomeni lavorativi nuovi come il lavoro on demand, di cui una tipica espressione è Foodora, che crea problemi giuridici non normati».

Giuslavoristi e direttori Hr hanno concordato sulla necessità di un cambio culturale, a partire dalla formazione universitaria, che ancora oggi non diffonde una cultura del cambiamento. «Il vero problema non è tanto tecnologico, quanto culturale - ha apostrofato Zingarelli - Passare dal mondo hardware a quello software è inevitabile. Stiamo già andando in questa direzione. Il punto è che l'innovazione dovrebbe essere percepita come un'opportunità e, invece, molto spesso è letta come un rischio. Soprattutto nella generazione di lavoratori tra i 40 e i 50». In effetti, uno degli aspetti più complessi da gestire per un Hr director quando si parla di cambiamento del lavoro e tecnologia è proprio il traghettamento omogeneo di tutte le diverse componenti generazionali dell'azienda verso il cambiamento. Perché in molti si interrogano su come l’intelligenza artificiale e la robotica elimineranno intere professioni. Un esempio è stato fornito da Noemi Pantile, che ha illustrato le modalità con cui l'innovazione tecnologica ha modificato il sistema del trasposto ferroviario, consentendo «l'impresenziamento dell'impianto», con una conseguente graduale scomparsa della figura del capostazione. 

Questo vuol dire che non ci sarà più bisogno dell'uomo? «Assolutamente no» è la risposta decisa di tutti i presenti. Anche di chi sta già convivendo con l'intelligenza artificiale in azienda. Si chiama Amelia ed è il robot che Sca ha comprato per sviluppare offerte innovative a partire dalla gestione di master data. «Il processo di robotizzazione - chiosa Parrini - è inevitabile per chi lavora in settori dove l'innovazione è un driver fondamentale come il life sciences. Il lavoratore si troverà in futuro a sedersi accanto a un collega virtuale. Tuttavia - precisa - le soft skills umane non potranno mai essere sostituite. Ed è su queste che si baseranno le professioni del futuro».

Quale sarà quindi il ruolo dell'Hr in questo complesso processo? «L'Hr deve svolgere un doppio ruolo - è la risposta di Colangelo - Da un lato deve essere un buon supporto interno al business, proponendo al management le soluzioni migliori per efficientare l'organizzazione interna. Dall'altro, in questo momento storico, non può prescindere anche da un ruolo sociale e pubblico, come portatore di expertice e di sviluppo sistemico, che possa incidere sulla gestione del necessario cambiamento normativo che l'Italia dovrà affrontare».

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