Il responsabile delle risorse umane si trova ogni giorno a contatto con dati molto sensibili, quali l’età, le esperienze lavorative pregresse e il percorso di studi del candidato. Per valutare l’idoneità di un’aspirante risorsa alla posizione lavorativa aperta molto spesso è opportuno indagare sul profilo non solo attitudinale ma anche reputazionale del candidato, quale persona che goda di una buona reputazione e non sia stato soggetta a procedimenti penali. Questa esigenza si pone in particolare in settori, quale quello bancario e finanziario, per l’intrinseca sensibilità delle mansioni che un candidato potrebbe svolgere una volta assunto, nonché per l’attenzione di tali settori a mantenere un’immagine di eticità e affidabilità. Niente di più ostico alla luce del Gdpr e del diritto del lavoro, che invece impongono forti limiti al trattamento di questi dati sensibili. Quali sono dunque i margini di azione del responsabile Hr?
L’incontro promosso dagli studi Ichino Brugnatelli e Maschietto Maggiore Besseghini, in media partnership con TopLegal, ha indirizzato proprio questo tema e ha provato a definire il livello di profondità cui possono giungere le indagini del selezionatore del personale. A tal fine lo scorso 13 giugno, nella cornice di Spazio Chiossetto, hanno preso parte alla tavola rotonda Giovanna Bianchi Clerici, componente del collegio dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali; Giorgio Crespi, responsabile ufficio assistenza e consulenza del lavoro dell’associazione bancaria italiana (Abi); Luca Daffra e Sergio Passerini, partner di Ichino Brugnatelli; Massimo Maggiore, founding partner di Maschietto Maggiore Besseghini e Natalia Jurisch, senior associate del medesimo studio.
Il dibattito si è aperto con l’intervento di Giovanna Bianchi Clerici dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali (il Garante), la quale ha fornito una fotografia del quadro normativo attuale a livello europeo e nazionale in materia di trattamento dei dati del lavoratore. Clerici ha ricordato il necessario bilanciamento tra il diritto alla dignità e alla protezione dei propri dati da parte del lavoratore e il legittimo interesse del datore di lavoro ad avere un rapporto sereno con il proprio dipendente, indicando le previsioni normative che hanno cercato di implementarlo. Inoltre, ha sottolineato una novità introdotta dal Gdpr: il venir meno del regime di autorizzazioni del Garante a favore del principio dell’“accountability”. Ha concluso il suo intervento ricordando l’arrivo del decreto ministeriale giustizia (Dm Giustizia) che farà luce sul trattamento dei dati giudiziari e in particolare sulla casistica non prevista dalle norme di legge, dotando di garanzie adeguate i trattamenti già previsti. Tuttavia, Clerici avvisa anche che le categorie incasellate in norme di legge rischiano sempre di essere anacronistiche, perciò il suggerimento ai datori di lavoro è quello di adottare codici di condotta chiari e aggiornati al fine di regolare più scenari possibili.
Successivamente ha preso la parola Giorgio Crespi dell’associazione bancaria italiana (Abi), una categoria particolarmente toccata dal tema del trattamento dei dati. Il datore di lavoro degli istituti di credito, infatti, è tenuto a un maggiore obbligo di vigilanza sui propri dipendenti che corrisponde a un perimetro di responsabilità più ampio. Alla luce del necessario rapporto fiduciario che intercorre all’interno di un istituto di credito tra il datore e il lavoratore, ma soprattutto tra quest’ultimo e il suo cliente, il contratto collettivo di lavoro di categoria ha previsto alcune prescrizioni per il lavoratore, tra cui una condotta informata ai principi di disciplina e moralità e lo svolgimento di attività nell’interesse dell’impresa. Anche la giurisprudenza e i provvedimenti del Garante, ha rilevato Crespi, ha sottolineato l’importanza del rapporto fiduciario nel rapporto di lavoro bancario.
Natalia Jurisch di Maschietto Maggiore Besseghini si è concentrata sulla descrizione dei background checks e sulle modalità con cui possono essere condotti. Ha così indicato la tipologia di dati coinvolti in questa attività: dati comuni, c.d. categorie particolari di dati e dati giudiziari. Per questi ultimi ha sottolineato l’odierna incertezza normativa data da norme di legge che hanno indicato solo linee guida generali. In attesa del già menzionato Dm Giustizia, Jurisch ha evidenziato l’impossibilità di delineare con sicurezza i limiti entro i quali può muoversi il datore di lavoro. In seguito, Massimo Maggiore di Maschietto Maggiore Besseghini ha sottolineato la doppia base giuridica richiesta dall’art. 10 del Gdpr per la tutela dei dati giudiziari: l’atto normativo (legge o regolamento da questa autorizzato) e l’individuazione da parte dello stesso delle garanzie appropriate per i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo. Si è poi domandato che peso hanno in questo contesto i contratti collettivi (Ccnl). Sulla scorta dei precedenti del Garante sembra dubbia la possibilità che i Cccnl possano abilitare i datori di lavoro a effettuare background checks sui dati giudiziari.
Successivamente Luca Daffra di Ichino Brugnatelli ha evidenziato la rilevanza dei fatti ai fini della valutazione dell’attività professionale del lavoratore ai sensi dell’art. 8 dello Statuto del lavoratore e dell’art. 10 del Gdpr. Ha sottolineato come il citato disposto dello Statuto del lavoratore in realtà è precursore delle disposizioni del Gdpr e come la giurisprudenza consolidata ne abbia già dato in passato un’interpretazione conforme alla normativa europea. Il datore di lavoro, infatti, può già richiedere il certificato del casellario giudiziale se ciò è previsto dal contratto collettivo. Poiché il trattamento dei certificati penali è già possibile, per Daffra non è così essenziale l’avvento del Dm Giustizia, che tuttavia potrà senz’altro contribuire a fare chiarezza sul tema.
A conclusione della tavola rotonda, Sergio Passerini di Ichino Brugnatelli ha passato in rassegna una serie di pronunce giurisprudenziali degli ultimi anni. In particolare, ha rilevato come recentemente - a distanza di pochi mesi - la Cassazione ha emesso pronunce contrastanti sulla possibilità da parte del datore di lavoro di richiedere il certificato dei carichi pendenti. Inoltre, ha affrontato un caso di discriminazione sul posto di lavoro e diversi esempi di verifiche del datore su condotte extra lavorative in corso di rapporto di lavoro. Gli esempi portati dimostrano la crescente ampiezza dei poteri investigativi del datore di lavoro.
La ricerca dedicata a diritto del lavoro del Centro Studi di TopLegal sarà pubblicata su E-edicola dal 1 agosto, nonché ricompresa nella TopLegal Review di agosto-settembre. Per consultare la precedente ricerca contenzioso e arbitrati cliccare qui.
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