I lettori abituati a seguirci noteranno un’assenza nel nostro consueto servizio sui fatturati degli studi che pubblichiamo sul prossimo numero di TopLegal a giugno.
Dal 2005 TopLegal pubblica i volumi d’affari degli studi legali stilando una classifica – battezzata TL100 dal 2006 – delle maggiori insegne italiane. Tra mille difficoltà, si è cercato di misurare il giro d’affari per delineare le tendenze e le dinamiche di mercato, e quindi lo stato di salute del comparto dei servizi legali. Lungi da qualsiasi operazione di promozione o di marketing, le cifre e le loro variazione pubblicate di anno in anno hanno avuto come finalità quella di verificare le strategie di business capaci di produrre risultati apprezzabili.
Ora qualcosa è cambiato. La possibilità di profilare con la precisione e l’attendibilità necessaria le cifre del mercato legale, nonché di offrire elementi di analisi del mercato in maniera oggettiva, si allontana.
Il motivo è semplice. Incrociando le analisi tratte dalle nostre ricerche sulla realtà all’interno delle direzioni legali in Italia, è del tutto evidente che i clienti abbiano rovesciato i rapporti economici con i consulenti esterni. Sono finiti quei tempi quando bastava incrociare la tariffazione oraria, le compagini, i costi fissi, il posizionamento e la tipologia di cliente di uno studio per determinare i suoi incassi. Al posto della tariffazione oraria sono subentrati nuovi meccanismi variabili (success fee, abort fee, forfait) che rendono impossibile determinare gli incassi. Per di più, non sono solo i clienti a rendere più complesso il quadro: anche gli studi legali stanno gradualmente riducendo i compensi fissi ai propri professionisti a vantaggio di meccanismi di incentivazione che premiano i risultati conseguiti. A voler stabilire i bilanci degli studi ora si rischia di inciampare nelle assurdità.
TopLegal ha voluto superare queste difficoltà attraverso una soluzione strategica e progressista. Consapevoli che, all’aleatorietà delle variabili, si aggiunge anche un’ostinata reticenza da parte degli studi legali, conseguenza di un’involuzione culturale dettata dalla crisi. Perché come ha giustamente rimarcato Luca Testoni nel suo recente saggio La legge degli affari, il famoso «riserbo» professionale, nato come garanzia del cliente, si è esteso man mano per inglobare l’intera attività dello studio ed oggi funge da paravento dietro il quale rimane per una parte del mercato legale una situazione di opacità sui bilanci.
Tuttavia, e nonostante i segnali di arrocco, abbiamo scelto di pubblicare solo cifre ufficiali comunicate dagli stessi studi legali. Anche a rischio di presentare ai lettori numeri abbelliti (la mancanza di attendibilità in passato ci ha suggerito di pubblicare stime basate sul nostro modello di calcolo). Questa decisione comporta diversi vantaggi che vanno sottolineati. Si premiano lo sforzo di trasparenza degli studi oltre alla lodevole maturità di coloro che hanno apertamente dichiarato bilanci in negativo. Si misura anche la distanza fra chi si limita alla retorica dello studio-azienda e chi coglie l’occasione per dimostrare con i fatti una rendicontazione economica e sociale.
Siamo ben lontani dalla prassi di stilare bilanci pubblici. Ma speriamo di dare un contributo a rafforzare le relazioni di trasparenza, di responsabilità, di attendibilità e di verificabilità tra gli studi legali e qualsiasi stakeholder che ne sia interessato alla loro attività.