(I) COS’È LA BLOCKCHAIN
La blockchain è una tecnologia, detta “registro aperto distribuito”, che può essere utilizzata per registrare in modo verificabile e non modificabile transazioni fra due parti, nonché essere programmata per implementare determinate transazioni in modo automatico. Essa deve la sua fama principalmente a Bitcoin e alle altre criptovalute che ne hanno sfruttato le caratteristiche di sicurezza e di anonimità.
Negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento di interesse, sia nel settore privato che in quello pubblico, per altre potenziali applicazioni della blockchain, tra le quali, giusto per citarne alcune, vi sono i cosiddetti smart contracts, la gestione delle filiere distributive, l'internet delle cose, le fintech, il voto elettronico e il pagamento dei tributi comunali. Di recente, nell'ambito di un progetto pilota, Daimler AG e la banca del Land Baden-Württemberg hanno utilizzato la tecnologia blockchain per lanciare strumenti finanziari (Schuldschein) del valore complessivo di € 100 milioni.
Non è agevole fare previsioni sull'impatto dei nuovi "ecosistemi tokenizzati", ma si moltiplicano le voci di coloro secondo i quali la blockchain avrà un impatto su ogni settore della nostra economia.
(II) IL DIBATTITO SULLA REGOLAMENTAZIONE DELLA BLOCKCHAIN
I regolatori sono stati lenti a reagire alla sfida rappresentata dalla blockchain e dai nuovi ecosistemi tokenizzati. A causa della loro natura proteiforme, non è facile collocare i tokens all’interno di definizioni o istituti giuridici tradizionali; essi sono stati a volte equiparati ai beni
immateriali, altre a strumenti finanziari, valuta, mezzi di pagamento o merci. Infatti, mentre in molti casi la tokenizzazione è assimilabile ad una “cartolarizzazione digitale”, alcuni tokens possono anche rappresentare il diritto ad usufruire di beni o servizi.
Di fronte alle sfide normative poste dai crypto tokens, alcuni regolatori hanno reagito manifestando preoccupazione o addirittura ostilità. In un recente intervento, il presidente dell'Autorità bancaria europea ha delineato una strategia per disciplinare questo settore emergente costruita attorno a tre pilastri: (i) la piena applicazione della normativa in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo; (ii) un’informazione adeguata ai consumatori in merito ai rischi degli investimenti sui cryptoasset; e (iii) il divieto, per gli istituti bancari regolamentati, di acquistare, detenere o vendere cryptoasset, al fine di separare le diverse tipologie di operatori ed evitare il “contagio”.
È il caso di sottolineare che mentre i timori dei regolatori sembrano derivare dalla volatilità del tasso di cambio tra criptovalute e monete aventi corso legale, nei paesi caratterizzati dalla mancanza di fiducia nei confronti del governo i cryptoasset sono visti dai privati come uno strumento utile per proteggere il proprio patrimonio dall'inflazione o da rischi macroeconomici.
Con un documento pubblicato il 16 febbraio 2018, la FINMA, l'autorità di vigilanza sui mercati finanziari svizzeri, ha inteso fornire alcune linee guida per gli organizzatori di initial coin offerings (“ICOs”). Le ICOs sono una forma di finanziamento che prevede la cessione di token ai
finanziatori a fronte del pagamento di un corrispettivo.
Nel documento citato, la FINMA ha tracciato una distinzione tra i token di pagamento (che non hanno ulteriori funzioni e non sono collegati ad altri progetti), gli utility token (che conferiscono ai detentori il diritto ad usare un servizio o un’applicazione) e gli asset token (funzionalmente analoghi a titoli azionari, titoli obbligazionari o strumenti derivati).
Sempre in Svizzera, Paese all’avanguardia nel settore grazie anche all'impegno dei numerosi soggetti (pubblici e privati) coinvolti nella Crypto Valley Association di Zug, un articolo1 dello studio legale MME ha proposto i distinguere tra “native utility tokens”2, “counterparty tokens”3 e
“ownership tokens”4.Nell'Unione europea, la quinta direttiva antiriciclaggio ha riconosciuto la crescente importanza dei cryptoasset, offrendo anche una definizione di moneta virtuale. Ai sensi della Direttiva (UE) 2018/843, una valuta virtuale è una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale, non è necessariamente legata
a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche quale mezzo di
scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.
Nuovi e diversi problemi di regolamentazione sono destinati ad emergere con la scoperta di nuove potenziali applicazioni della blockchain. Ad esempio, è stato osservato che l’utilizzo di questa tecnologia per elaborare dati personali sembra difficilmente conciliabile con il Regolamento UE 2016/679 (Regolamento generale sulla protezione dei dati). La blockchain non consentirebbe infatti la cancellazione di dati (e dunque l’esercizio del “diritto all’oblio”) e non è chiaro chi dovrebbe essere considerato titolare o responsabile di un trattamento effettuato per mezzo di un sistema interamente decentralizzato.
Nell'aprile 2018, Christine Lagarde, direttrice del FMI, ha dichiarato che un’analisi sobria delle criptovalute non dovrebbe condurre né ad una condanna né alla “cripto-euforia”; i legislatori dovrebbero dunque mantenere una mente aperta ed elaborare un quadro normativo imparziale che minimizzi i rischi consentendo al processo creativo di dare i suoi frutti.
I regolatori sembrano concordare sul fatto che, dal punto di vista strettamente giuridico, le criptovalute non possono essere considerate “moneta”. Le cryptocurrency non hanno infatti una banca centrale alle spalle e non sembrano soddisfare le funzioni essenziali della moneta, vale a dire essere: (i) un'unità di conto; (ii) un mezzo di scambio; e (ii) una riserva di valore. È stato argomentato che, a causa della volatilità del loro tasso di cambio con le monete aventi corso legale, le criptovalute non possono essere utilizzate come riserva di valore e che esse raramente sono utilizzate come unità di conto.
In un rapporto pubblicato nel febbraio 2015, la Banca centrale europea ha dichiarato che da un punto di vista legale è moneta tutto ciò che viene ampiamente utilizzato per scambiare valore nelle transazioni. Dato che – secondo la BCE - le criptovalute non sono ampiamente utilizzate per scambiare valore, ne consegue che legalmente non possono essere considerate moneta.
Una delle caratteristiche più significative delle criptovalute è che possono presentare sia proprietà di apprezzamento del capitale che le caratteristiche tipiche degli strumenti di pagamento. I regolatori (sia in Italia che all'estero) hanno dunque prestato particolare attenzione alla questione del trattamento fiscale delle criptovalute.
Nella sentenza pronunciata all’esito della causa C-264/14, la Corte di giustizia dell'UE ha dichiarato che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112 va interpretato nel senso che prestazioni di servizi che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti da IVA ai sensi di tale disposizione.
La Corte ha inoltre affermato che bitcoin doveva essere considerato un mezzo di pagamento contrattuale.
(III) LA REGOLAMENTAZIONE IN ITALIA
Per quanto riguarda la legge italiana, non vi è dubbio che le disposizioni che si riferiscono specificamente alla moneta avente corso legale nello Stato (come l’art. 1277 c.c. e l’art. 639 c.p.) non sono applicabili alle criptovalute. Tuttavia, l’art. 1278 c.c. lascia aperta la possibilità per le parti contraenti di concordare l'estinzione di obbligazioni pecuniarie in moneta che non abbia corso legale in Italia. Anche se il dettato letterale di tale disposizione si riferisce specificamente ad una "moneta" (e come si è detto la maggior parte dei regolatori in Italia e in Europa non considera cryptoasset monete), alcuni hanno affermato che questa disposizione lascerebbe aperta la possibilità di utilizzare le criptovalute come mezzo contrattuale di pagamento.
È dunque ragionevole affermare che le criptovalute potranno essere impiegate per estinguere obbligazioni pecuniarie solo se così concordato dalle parti contraenti.
Resta da vedere come il legislatore affronterà questioni assai più spinose, quali ad esempio quelle relative alla natura giuridica dei cryptoasset, alla legittimità dell’acquisto di beni immobili con pagamento del prezzo in criptovalute e al trattamento delle criptovalute nell’ambito della successione ereditaria.
III.1 TASSAZIONE DELLE CRIPTOVALUTE
L'Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti – in risposta a quesiti specifici - in merito al regime fiscale delle transazioni in criptovalute. In particolare, nel 2016, l'Agenzia delle Entrate ha osservato che la circolazione dei bitcoin quale mezzo di pagamento si fonda sull’accettazione volontaria degli stessi da parte degli operatori che la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da qualsiasi obbligo di legge.
Dopo aver sottolineato che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’IVA anche dell’IRES e dell’IRAP, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che tale attività, remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere bitcoin e la migliore quotazione reperita sul mercato, deve essere considerata prestazione deve essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti.
Più recentemente, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che la cessione a pronti di valuta virtuale non dà origine a redditi imponibili, mancando la finalità speculativa, salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (c.d. “wallet”), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi consecutivi nel periodo d’imposta.
III.2 OFFERTA DI PRODOTTI FINANZIARI E TUTELA DEI CONSUMATORI
La Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) ha fatto propri gli avvertimenti dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), dell'Autorità bancaria europea (ABE) e dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) rivolti al pubblico in merito ai rischi delle valute virtuali (e.g. estrema volatilità, regolamentazione insufficiente e scarsa trasparenza in merito ai rischi). Essa è inoltre intervenuta in più di una occasione per impedire a soggetti non autorizzati di offrire al pubblico opportunità di investimento in cryptoasset e criptovalute.
In particolare all'inizio del 2017, la CONSOB ha ordinato ad una società straniera e agli amministratori (non identificati) di un sito web di pubblicizzare (tramite detto sito web) al pubblico italiano la possibilità di investire in cosiddetti “pacchetti di estrazione di criptovalute”. Gli amministratori del sito avrebbero violato il D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 (Testo Unico della Finanza) pubblicizzando prodotti finanziari senza aver pubblicato il relativo prospetto.
Più recentemente, la CONSOB ha vietato a due siti web (amministrati forse da società straniere, ma con pagine in lingua italiana) di offrire al pubblico italiano la possibilità di investire in criptovalute. Questi siti web non sembravano infatti essere amministrati da soggetti autorizzati ad offrire servizi finanziari al pubblico e in uno di essi si offrivano pacchetti di estrazione di criptovalute, prospettando rendimenti mensili dell'investimento fino al 38%.
Il 30 gennaio 2015 la Banca d’Italia ha pubblicato un proprio avvertimento agli investitori in merito all'uso delle valute virtuali. Inoltre, alti funzionari della Banca d'Italia hanno apertamente criticato Bitcoin sulla stampa nazionale.
Nonostante il suo atteggiamento critico nei confronti delle valute virtuali, la Banca d'Italia ha inoltre organizzato nel 2016 un convegno su Blockchain e ha sempre dimostrato un vivo interesse nelle applicazioni alternative di tale tecnologia (in particolare con riferimento al settore finanziario).
Nel 2017, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha comminato una multa di 2,6 milioni di euro a diversi soggetti, incluse delle società straniere, per aver promosso l’acquisto di una moneta virtuale, prospettando ai potenziali investitori benefici significativi.
Secondo l’AGCM, le informazioni fornite dai promotori del programma sarebbero state insufficienti e potenzialmente fuorvianti in quanto la diffusione della moneta virtuale sarebbe avvenuta attraverso un sistema di vendita piramidale, dal momento che il reclutamento di nuovi consumatori rappresentava il fine esclusivo dell’attività di vendita e veniva fortemente incoraggiato attraverso il riconoscimento di svariati bonus (che rappresentavano la sola reale remunerazione del programma).
In una recente sentenza, il Tribunale di Verona ha accertato la nullità dei contratti firmati da un privato con una piattaforma che offriva il cambio di bitcoin con moneta avente corso legale. Nel caso esaminato, al consumatore non erano state fornite le necessarie informazioni precontrattuali, avuto riferimento alla fornitura di servizi finanziari. Nonostante un numero crescente di provvedimenti in materia, permane una notevole incertezza circa la natura giuridica (e la disciplina) dei crypto token. È ad esempio il caso di rilevare che ai sensi dell'articolo 1.2 del Testo Unico della Finanza i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari. Si potrebbe quindi affermare che mentre i token di pagamento "puri" non sono strumenti finanziari, rientrano invece in questa categoria gli asset token (cioè i token che implicano l'investimento di capitale, l'assunzione di rischi e l'aspettativa di guadagni).
Poco chiara è anche la disciplina delle ICOs ai sensi della legge italiana. Pur in assenza di chiare indicazioni da parte dei regolatori, è ragionevole presumere che se i token sono dei prodotti finanziari e se sono descritti e offerti ad investitori situati in Italia, l'ICO dovrà rispettare la normativa che disciplina l'offerta di prodotti finanziari al pubblico.
III.3 NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO
Ai sensi della quinta direttiva antiriciclaggio (Direttiva UE n. 2018/843) gli Stati membri devono assicurare che i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali, e i prestatori di servizi di portafoglio digitale siano registrati. Attualmente, l’anonimato assicurato dalle valute virtuali si presta ad usi impropri delle stesse, anche per scopi criminali.
Tuttavia, ancor prima dell'adozione della quinta direttiva antiriciclaggio, il legislatore italiano aveva modificato il D.Lgs. n. 231/2007, inserendo un riferimento alle valute virtuali ed estendendo l'applicabilità degli obblighi in materia di antiriciclaggio ai prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale, limitatamente allo svolgimento dell'attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso.
III.4 RECUPERO CREDITI E “SMART CONTRACTS”
Gli smart contracts sono protocolli (spesso basati sulla blockchain) che consentono alle parti di verificare, eseguire e far rispettare dei contratti. È possibile programmare una blockchain in modo da far perfezionare delle transazioni o da far eseguire un contratto in modo del tutto automatico.
Questi protocolli (così come la piattaforma Ethereum su cui si molti di essi si basano) hanno acquistato una notevole popolarità anche grazie alla scoperta di nuove applicazioni degli smart contracts.
Al momento non è chiaro se gli smart contracts avranno bisogno di una legislazione ad hoc nell’ordinamento italiano, anche con riferimento ai requisiti di forma dei negozi giuridici (si pensi ad esempio al ruolo dei notai in presenza di contratti certificati attraverso un registro distribuito e non modificabile).
Di certo, i cryptoasset rappresentano una seria sfida per le attuali procedure di recupero crediti. Mentre infatti da un punto di vista giuridico dovrebbe essere certamente possibile pignorare cryptoasset, ostacoli di ordine pratico potrebbero rendere questa strada impercorribile per il
creditore.
Anche lasciando da parte la difficoltà di accertare se il debitore disponga effettivamente di un crypto wallet, per sequestrare o pignorare criptovaluta è infatti indispensabile ottenere la chiave privata dal “wallet provider” o dal debitore stesso. A riguardo potrebbero forse trovare applicazione analogica gli strumenti offerti dal codice di procedura per costringere il debitore a consegnare la chiave (e.g. la condanna a pagamenti periodici in caso di inosservanza del provvedimento).
Il pignoramento di criptovalute potrebbe rivelarsi invece assai meno problematico in presenza di smart contracts, che potrebbero essere preprogrammati per innescare l’estrazione automatica della somma dovuta dal portafoglio del debitore.
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Per ulteriori informazioni sul tema si invita a contattare gli Avv.ti Gennaro d’Andria (gdandria@dandria.com) e Francesco Alongi (falongi@dandria.com).
1 MME, “Conceptual Framework for Legal and Risk Assessment of Crypto Tokens”, 1 May 2018, available at: https://www.mme.ch/en/magazine/magazinedetail/url_magazine/conceptual_framework_for_blockchain_crypto_property_bcp/.
2 Token che possono essere trasferiti da un utente all’altro per mezzo di una blockchain ma che non conferiscono alcun diritto nei confronti di un terzo.
3 Token che attribuiscono un diritto nei confronti di terzi (e.g. il diritto ad una somma di denaro, il diritto ad usufruire di un servizio o il diritto alla consegna di un bene).
4 Token che possono essere utilizzati per trasferire la proprietà di un bene.Trasferendo il token, si trasferirebbe la proprietà.