BonelliErede, durante l'assemblea dei soci dello scorso dicembre, ha ridisegnato la propria struttura di governance. Fino al prossimo maggio 2021, non ci saranno più due co-managing partner - ruolo attribuito dal 2013 a Stefano Simontacchi (in foto) e Marcello Giustiniani - ma si ritorna alla figura del presidente, ruolo che Umberto Nicodano prima e Alberto Saravalle poi hanno ricoperto complessivamente per 12 anni.
Ad assumere il ruolo di presidente è Stefano Simontacchi, che continuerà a mantenere immutate le funzioni che svolgeva come co-managing partner, occupandosi, tra l’altro, della strategia di sviluppo domestico e internazionale e della comunicazione istituzionale. Le funzioni gestorie precedentemente svolte da Marcello Giustiniani vengono, invece, sdoppiate in due aree distinte e attribuite a due consiglieri delegati. Da un lato, sempre Marcello Giustiniani, al quale sono affidate l’innovazione, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle dinamiche e procedure di BonelliErede, nonché il progetto beLab. Dall’altro, Andrea Carta Mantiglia, il quale si occuperà, in particolare, della gestione dei soci e dei professionisti.
Il cambio di governance – come ha spiegato in un'intervista esclusiva a TopLegal il neopresidente Stefano Simontacchi – non ha comportato alcuna modifica allo statuto, che prevede esclusivamente la presenza di un presidente o di due managing partner. Ragione per la quale l’insegna non ha preso in considerazione l’idea di una governance tripartita, che prevedesse la figura del presidente affiancata da quella di due managing partner.
La scelta dello studio certo nasconde qualche insidia. Il mercato, infatti, potrebbe percepirla come un ritorno al passato, rischiando di compromettere il processo di istituzionalizzazione che in passato aveva mosso lo studio nella direzione di una governance duale. Simontacchi, però, si mostra sereno a riguardo. Sottolineando che «è un rischio solo apparente».
Presidente, perché lo studio ha varato una nuova governance?
Il secondo mandato mio e di Marcello Giustiniani sarebbe scaduto nel mese di maggio e l’Assemblea degli Associati era chiamata, nelle sue prossime convocazioni, ad esprimersi su due punti di fondamentale rilevanza: l’approvazione del nuovo piano strategico triennale e poi il rinnovo della governance. Abbiamo preferito anticipare le elezioni a dicembre per garantire continuità di gestione nell’implementazione di un piano che sarà di certo ricco di nuove sfide e che finalizzeremo nei prossimi mesi con il contributo del nuovo Consiglio.
È stato necessario modificare lo statuto?
No, la presidenza è una soluzione già prevista dal nostro statuto che non abbiamo dovuto modificare in questa occasione. Prima della gestione duale mia e di Marcello Giustiniani, Umberto Nicodano prima e Alberto Saravalle poi hanno ricoperto questo ruolo per 12 anni.
Nella nota stampa diffusa dallo studio si leggeva che alla base della scelta c’era la volontà di una maggiore partecipazione dei soci alle funzioni di governo per l’aumentato carico di lavoro. In che modo aiuta la nomina di un presidente? Non si poteva istituire un comitato più ampio di gestione o affiancare al presidente due managing partner piuttosto che due soci con funzioni gestorie?
Il nostro statuto prevede esclusivamente la presenza di un presidente o di due managing partner, pertanto non sarebbe stato possibile affiancare due managing partner al presidente. La nostra nuova governance ci consente di riequilibrare i carichi di lavoro attraverso l’assegnazione di deleghe più distribuite. Cresciamo in termini di numero di persone, sedi, progetti e complessità, dunque è necessario ampliare il coinvolgimento dei partner nella gestione, con l’introduzione di due consiglieri delegati in aggiunta al presidente. In particolare, Marcello Giustiniani si occupa di innovazione, dell’introduzione dell’intelligenza artificiale in BonelliErede, nonché del nostro progetto beLab che continua a pieno ritmo. Andrea Carta Mantiglia si occupa invece della gestione dei soci e dei collaboratori.
In questo modo, non temete che la figura del presidente possa compromettere l’idea di governo condiviso e di istituzionalizzazione che in passato vi aveva mossi alla nomina di due managing partner?
È un rischio solo apparente. In realtà non è così. Andremo avanti nel segno della continuità, e le deleghe che stiamo assegnando seguono questo obiettivo. Tutti i programmi intrapresi nel corso degli ultimi sei anni – primo fra tutti proprio il processo di istituzionalizzazione – verranno ulteriormente sviluppati nei prossimi anni, con l’aggiunta di nuove idee e progettualità, che vareremo con il lancio del nuovo piano strategico triennale. Un risultato per noi molto importante è l’ammontare del business generato non dai singoli ma da gruppi di professionisti, quali i Focus Team, che è passato dal 9% nel 2014 al 36% nel 2018. È su questo che continueremo a puntare.
Rispetto a quando la governance dell’insegna utilizzava la figura del presidente, fino al 2013, cosa è cambiato? Si tratta di un ritorno sostanziale o solo terminologico al passato?
Non limiterei il ragionamento alla sola governance. L’orizzonte del cambiamento a cui guardare è quello generale della nostra organizzazione e della sua crescita. In questa prospettiva, la governance è stata progressivamente adattata alle nostre esigenze di cambiamento. Bisogna guardarla in maniera dinamica e continuerà ad adattarsi alla nostra evoluzione. Di conseguenza, non si tratta né di un ritorno al passato né di una pura scelta semantica. Più semplicemente, nutriamo una naturale propensione verso l’innovazione che ci ha portato nel tempo a far evolvere anche, ma non solo, la nostra struttura di governo.
Nel libro “Leading professionals. Power, politics and prima donnas”, Laura Empson, docente di gestione delle società di servizi professionali alla Cass business school di Londra, ha sottolineato come esista «una complessa fotografia della leadership, sostenuta da dinamiche di potere nascoste, spaccata dalla politica e sfidata da professionisti esigenti». Il risultato? L’emergere del concetto di “leadership plurale”. Quali sono le vostre considerazioni a riguardo? Cosa hanno insegnato questi anni di governo duale, quali i limiti e quali, invece, i punti di forza di una gestione plurale?
La governance duale ha supportato la più recente fase evolutiva di BonelliErede rappresentando a nostro avviso la miglior forma di governo possibile per vincere quelle sfide che avevamo di fronte sei anni fa. Ha favorito una migliore e meno accentrata gestione delle principali deleghe e responsabilità favorendo il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Con l’ulteriore evoluzione definita a dicembre, BonelliErede compie un ulteriore passo avanti, un “salto”, per così dire, che non sarebbe forse stato possibile fare senza aver prima sperimentato con successo il modello dei due managing partner. Non vedo limiti nel percorso fatto in questi anni, ma anzi rilevo un vantaggio evolutivo che ci consente di rimanere lontani dalle dinamiche di potere di cui parla Laura Empson.
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