Con il passaggio di quasi tutta la compagine associativa di Bryan Cave Milano allo studio Grande Stevens, la law firm di St. Louis ha smesso di avere una presenza diretta nella Penisola.
Si tratta della seconda volta, nel giro di due anni che uno studio americano decide di rivedere la propria strategia in Italia.
Il precedente, risale a ottobre 2008, quando White & Case, dopo mesi di tira e molla e dopo ben tre gestioni (prima Varrenti, poi Morano e infine Geary) decise di chiudere i battenti. Ironia della sorte, proprio in quella che fu la prima sede di White & Case a Milano, alla fine dell’estate 2007, piantava le tende Bryan Cave. Si trattava della prima apertura di uno studio internazionale, in Italia, dal 2005.
A fare da traghettatori, Paolo Barozzi e Fulvio Pastore, fino a poco tempo prima soci dello studio Delfino Willkie Farr & Gallagher e da questo momento in poi co-managing partner della sede italiana di Bryan Cave, un gigante legale con circa mille avvocati in tutto il mondo.
Archiviata la fase di start up, a fine 2008, (si veda TopLegal n. 7/2009) lo studio era riuscito a sviluppare un giro d’affari di circa 3 milioni di euro e, secondo quanto stimato da TopLegal, ha continuato a crescere ad un ritmo del 10% fino allo scorso anno. Poche le operazioni straordinarie messe a segno: la principale è stata l’acquisizione del Gruppo Fantuzzi da Parte di Terex. Prevalente, invece, è stata l’assistenza continuativa a un gruppo di clienti consolidati, l’attività giudiziale e la consulenza fiscale.
Nel 2009, i soci milanesi di Bryan Cave avevano anche dichiarato di essere intenzionati a portare in squadra almeno altri tre soci. Le occasioni per rafforzare la partnership non sono mancate. Ma le operazioni non si sono chiuse. Il problema, secondo quanto risulta a TopLegal, era rappresentato dalla non corrispondenza tra i profili individuati e gli standard richiesti dal modello di business della law firm per cui i nuovi soci dovevano essere attivi in practice area considerate “core” a livello mondiale e, comunque, dovevano avere un portable business non inferiore a determinate cifre.
Il fatto di essere una branch della Llp americana e quindi di essere vincolati in tutto e per tutto alle procedure e agli schemi validi per Bryan Cave a livello mondiale, insomma, si è rivelata una condizione limitante per le potenzialità di crescita della sede di Milano che, nel 2010, ha proposto alla casa madre americana di modificare i propri rapporti con lo studio. In pratica, Barozzi e soci avrebbero costituito una loro associazione professionale di diritto italiano mantenendo una collaborazione diretta con Bryan Cave.
Raggiunto da TopLegal, Fred Bartelsmeyer (nella foto), socio della sede di St. Louis di Bryan Cave ha sottolineato che «la scelta di Barozzi e Pastore è stata accolta con serenità dallo studio e comunque non ha cambiato l’impegno di Bryan Cave verso l’Europa». La law firm avrebbe continuato a lavorare in Italia con i suoi ex soci e continuerà a farlo anche ora che loro, anziché dar vita a un proprio studio associato, hanno deciso di unirsi al team di Grande Stevens.
La soluzione, dopo aver sperimentato le peculiarità del mercato italiano e la difficoltà di far aderire un modello di business internazionale a una realtà locale che richede necessariamente maggiore flessibilità, deve essere sembrata quella ottimale.
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