Fiscalità

C’è nebbia attorno alla Web Tax

TopLegal ha interrogato Di Tanno, Maisto e Tremonti Romagnoli Piccardi sui diversi dubbi e criticità che avvolgono la nuova imposta sui servizi digitali

13-02-2019

C’è nebbia attorno alla Web Tax


La legge di bilancio 2019 ha istituito l’imposta sui servizi digitali. Si tratta di un’imposta che applica un’aliquota del 3% sui ricavi derivati da tre diverse categorie di servizi digitali: la veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale e, infine, la trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale. I soggetti passivi dell’imposta sono gli esercenti attività di impresa nelle suindicate categorie di servizi, che nel corso dell’anno solare abbiano realizzato un fatturato globale pari o superiore a 750 milioni nonché guadagni per 5,5 milioni nel territorio italiano. Appare evidente l’intento del legislatore di colpire con questa imposta i big del mercato digitale, gli unici in grado di realizzare un tale giro d'affari. Se la ratio del legislatore è palese, non lo sono altrettanto diversi aspetti della norma che in più punti si rivela nebulosa. Al fine di accendere un faro sulle ombre che si propagano da un dettato normativo non proprio cristallino, TopLegal ha chiesto il parere di tre boutique specializzate in diritto tributario: Di Tanno, Maisto e Tremonti Romagnoli Piccardi

Una prima criticità emersa concerne il fatto che la legge di bilancio è una mera norma-scheletro, che non individua con chiarezza l’imponibile della web tax, demandando a decreti attuativi le norme di applicazione concreta. In attesa dei decreti attuativi, rimangono diversi punti di domanda. Marco Valdonio, partner dello studio Maisto, segnala ad esempio la difficoltà nella corretta individuazione dell’ammontare di ricavi da assoggettare ad imposizione: «se si pensa, ad esempio, ai ricavi derivanti da veicolazione di pubblicità su un’interfaccia digitale, sulla base delle regole di territorialità previste dalla legge, solo i ricavi derivanti dalla veicolazione di tale pubblicità nei confronti di utenti siti in Italia ricadono nell’ambito del prelievo. Tuttavia, sembra ragionevole ipotizzare che, in molti casi, i ricavi ricevuti dal gestore dell’interfaccia digitale non saranno specificamente remunerativi della sola pubblicità indirizzata a utenti italiani».

Un’altra fonte di incertezza deriva dal fatto che le disposizioni della legge di bilancio 2019 sono ampiamente ispirate alla proposta di direttiva sulla digital service tax della Commissione europea, risalente a marzo 2018, ma non consistono in una trasposizione totale. Un esempio tra tutti è l’assenza nella legge di bilancio di un’esplicita indicazione dei servizi esclusi dalla web tax, al contrario di quanto previsto dalla proposta di direttiva. Infatti, quest’ultima aveva escluso inter alia dal prelievo i ricavi di servizi di fornitura di contenuti digitali e operazioni di e-commerce e dei servizi di messa a disposizione di contenuti digitali.

Sull’argomento Tommaso Di Tanno, socio fondatore dello studio Di Tanno e coordinatore di un gruppo di lavoro sulla web tax presso la Luiss di Roma, segnala a TopLegal che «in altri paesi europei, tra cui la Spagna, la trasposizione della direttiva è stata pressoché integrale, ivi compresi i servizi esclusi. Pertanto, nonostante il dettato vago della legge di bilancio 2019, tutto fa pensare che anche l’Italia si allineerà con la normativa europea attraverso lo strumento dei decreti attuativi»

Un’altra criticità emersa nelle nostre interviste è l’incertezza, nel silenzio della legge di bilancio 2019, sulla deducibilità dell’imposta. A tal proposito, sulla base dei principi generali e dell’art. 91 Tuir, tutti i professionisti intervistati ritengono che l’imposta sui servizi digitali, in qualità di imposta indiretta, debba ritenersi deducibile dalla base imponibile come previsto dalla proposta di direttiva. 

Inoltre, la legge di bilancio 2019 non dissipa i dubbi sugli eventuali accertamenti e controlli che verranno attuati dalle autorità competenti. La complessità tecnica della materia e le specifiche della normativa sollevano perplessità sull’efficacia dei controlli già in essere e accrescono i dubbi sulla possibilità di prevedere verifiche efficaci.

Marco Emma, partner nello studio Tremonti Romagnoli Piccardi, osserva che proprio la geolocalizzazione dell’utente, fondamentale ai fini dell’applicazione dell’imposta, rappresenta un’importante sfida dal punto di vista dei controlli. Nel silenzio della normativa italiana ci si chiede come verrà individuata con certezza la posizione geografica dell’utente. Il professionista osserva che «la citata proposta di direttiva europea, prevede che gli utenti vengano localizzati in base all’indirizzo di protocollo internet (Ip) del dispositivo da loro utilizzato o, se più accurato, a qualsiasi altro metodo di geolocalizzazione. Il criterio dell’indirizzo Ip individuato dalla norma europea, per quanto rappresenti un indicatore semplice ed astrattamente corretto, può, tuttavia, rivelarsi non sempre efficace. I tecnici informatici, infatti, avvisano che è possibile gestire, se non escludere totalmente, le informazioni circa il proprio indirizzo Ip».

Tommaso Di Tanno segnala altresì la difficoltà di individuare i soggetti passivi dell’imposta sulla base dei criteri di fatturato indicati nella legge di bilancio: il fatturato globale pari o superiore a 750 milioni e il fatturato in Italia di almeno 5,5 milioni. «Per quanto riguarda il primo criterio, riferendosi principalmente a società estere senza stabile organizzazione in Italia, occorre rilevare che alcune di esse potrebbero non avere alcun obbligo di presentazione dei bilanci oppure potrebbero avere l’obbligo di presentarli nel Paese estero in cui hanno la sede legale. È pertanto evidente che il recupero dell’imposta in questi casi potrebbe diventare eccessivamente gravoso. Il secondo criterio, invece, dovrebbe riferirsi unicamente ai servizi digitali, ma non vi è alcun obbligo in capo alle società di specificare nei propri i bilanci le diverse fonti dei loro ricavi. La norma in questione presuppone una collaborazione inconsueta con le autorità competenti, con purtroppo scarse garanzie di adempimento».

Non resta che attendere i decreti attuativi, previsti per il mese di aprile, nella speranza che tutti i nodi interpretativi della norma vengano finalmente sciolti in tale sede.

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