Dal « legale in azienda » al « legale d’azienda ». Potrebbe sembrare una differenza da poco, ma è una vera e propria rivoluzione che, se in alcune realtà è già stata compiuta, si realizzerà in maniera estensiva nel prossimo futuro: un percorso obbligato per le imprese, un cambiamento strutturale per i giuristi. Parola di Antonio Corda, Head of legal di Vodafone Italia, che a TopLegal ha spiegato il senso di questa trasformazione dell’in-house. Per Corda i legali interni, spesso ancora troppo presi dalle disquisizioni sul privilegio legale, devono concentrarsi di più sulla conoscenza del business, dei prodotti e delle soluzioni offerte dalla propria realtà: il punto di arrivo sarà un corretto bilanciamento con l’attività commerciale in senso lato che permetta di aiutare l’azienda a raggiungere gli obiettivi di business. Tra qualche anno non si tratterà più, dunque, di essere una semplice funzione di staff, ma piuttosto di superare la logica di centro di costo per diventare un vero e proprio centro di profitto, creando valore economico e finanziario.
Come? Gli esempi possono essere diversi. Il caso più semplice è quello di un contenzioso subìto, per il quale l’azienda – dopo essersi trovata a stanziare un accantonamento a copertura del rischio – può beneficiare della positiva azione dell’ufficio legale capace di chiudere la causa in anticipo. Al contrario, può essere lo stesso ufficio legale a intraprendere lastrada del contenzioso nel caso in cui si presentino i presupposti per una vittoria della causa o comunque ci siano i margini per uno stralcio vantaggioso. In entrambi i casi il risultato è la generazione di un ricavo. Ma la questione può essere molto più articolata. Corda, facendo riferimento al suo business (ma è un esempio facilmente estendibile ad altri settori) porta l’ipotesi della predisposizione di una struttura legale che permetta la condivisione di alcune componenti del network di telecomunicazione con altri operatori, elementi che non sono differenzianti nell’offerta al cliente e che non influiscono sulla qualità. La creazione di un tale modello tocca aspetti legali, regolamentari e concorrenziali che implicano un impiego di risorse, anche finanziarie, ma consentono un risparmio più ampio di costi che alla fine generano un vantaggio per l’azienda. A monte c’è l’idea che il lavoro seriale e di volume possa essere esternalizzato agli studi, per sviluppare invece internamente solo le attività strategiche in grado di creare valore e fare la differenza. In quest’ottica risulta fondamentale la collaborazione della funzione legale con le altre divisioni di business dell’azienda.
A tale scopo il reparto legale di Vodafone, che conta oggi 15 professionisti, si è strutturato seguendo la forma del proprio cliente interno, cioè quattro grandi blocchi così definiti: un’area dedicata al commerciale, vale a dire un supporto legale alle business unit oltre alle vendite; un’area di contrattualistica e societario, cioè gestione delle assemblee e rapporti con la capogruppo; un’area relativa al contenzioso ad ampio spettro; e infine un’area specialistica dedicata al supporto della rete sul territorio. L’elemento di maggiore specificità, però, riguarda non tanto la suddivisione interna del reparto legale, ma il fatto che il dipartimento legale stesso non sia una funzione «finita». Il riporto di Corda, infatti, non è l’amministratore delegato ma il direttore Public & legal affairs, divisione che tiene insieme tre diversi dipartimenti: quello legale, il regolamentare e gli affari istituzionali. Questo modello organizzativo – al momento «italiano», nel senso che non va incontro a specifiche richieste da parte del gruppo ma che intanto si vede essere replicato sempre più in altri mercati geografici del gruppo – risponde in pieno alle esigenze di un business complesso e che ha bisogno di interfacciarsi con le istituzioni e le autorità regolamentari e rappresenta un segnale concreto delle intenzioni di Vodafone di trasformare la propria unità in una funzione che generi anche ricavi. Non c’è business senza un rapporto costruttivo con chi decide le regole del business. E come ci conferma lo stesso Head of legal della multinazionale della telefonia, la tendenza generale verso un modello organizzativo di questo tipo è crescente. «È fondamentale – spiega Corda – soprattutto nei mercati regolamentati come il nostro, ma ovviamente non solo per il nostro. Pensare di gestire l’attività legale in maniera svincolata o separata dall’attività regolamentare è assolutamente perdente, e questo credo che valga anche per le aziende nostre concorrenti. Alle volte si osserva che in gruppi di lavoro diversi, seppure molto vicini tra loro, come sono il legale e regolamentare, circolano poco o nulla le informazioni, proprio perché spesso manca una comunanza di obiettivi e di interessi e spesso non si guarda al di la della propria funzione».
L’unione di queste tre famiglie, oltre a permettere strategie comuni in funzione della crescita del business, favorisce anche la circolazione delle persone, consentendo l’ampliamento delle competenze e lo sviluppo delle professionalità. Questo tema è particolarmente sentito in Vodafone, che, oltre ad avere creato un social network della legal community worldwide per facilitare la comunicazione, la condivisione e l’apprendimento, incentiva i percorsi di crescita internazionale e gli scambi temporanei di legali all’interno del gruppo tra i diversi end-market nazionali, attraverso quello che in Vodafone viene definito “short-term assigment”. Tali iniziative denotano un’attenzione alle persone e alle loro professionalità che va oltre gli standard di mercato.E questa cultura si trasferisce anche nella scelta degli studi esterni a cui affidare mandati. I criteri che Corda segue sono tre: oltre alla tradizionale attenzione alla qualità dei servizi e alla necessaria considerazione del prezzo, risulta particolarmente interessante il terzo elemento, quello che in Vodafone definiscono «clima», termine che fa riferimento all’etica del lavoro e ai valori che caratterizzano lo studio selezionato. Concretamente questo si caratterizza in una particolare attenzione alla qualità della vita professionale dell’avvocato esterno impiegato sul progetto (che a cascata si riflette sulla qualità dell’esecuzione del lavoro stesso), che sia un partner o che invece sia l’ultimo junior associate. Gli elementi di valutazione di questa dimensione non mancano. Solo per citarne alcuni riportiamo: il numero di associati, la loro età media, la proporzione tra associati e partner, il numero di anni dopo il quale un associato può aspirare alla partnership, e la percentuale di donne tra i professionisti dello studio.
Si tratta di una riflessione importante per gli studi legali, che, secondo Corda, troppo spesso soffrono di una forte rigidità al cambiamento, faticando a capire che le esigenze dei clienti stanno cambiando a grande velocità. Questo – se dai piccoli studi viene recepito più facilmente – vale soprattutto per le sigle dalle grandi dimensioni. E non basta lo sforzo di accettare di lavorare su base forfettaria anziché oraria. Il messaggio dell’Head of legal di Vodafone è molto chiaro: oggi serve lavorare in maniera sempre più integrata con il cliente, ricostituendosi secondo un principio di customer service. Un esempio interessante proviene dal Regno Unito, dove ci sono realtà molto innovative che hanno rinunciato non solo ad avere sedi sfarzose in centro città da ricaricare sulle tariffe ma addirittura hanno eliminato i propri uffici, sviluppando sistemi IT all’avanguardia e lavorando direttamente nelle sedi dei clienti. In alcuni casi questi legali acquisiscono addirittura un indirizzo mail proprio dell’azienda cliente e vengono valutati secondo metriche di business che sono normalmente utilizzate per i dipendenti. Quale miglior esempio per la trasformazione a venire da legale « in azienda» a «d’azienda»?
In House / Vodafone