Caso Diarra: le norme della FIFA sono contrarie al diritto dell’Unione?

25-11-2024

Caso Diarra: le norme della FIFA sono contrarie al diritto dell’Unione?

Secondo la Corte di Giustizia Europea, alcuni istituti previsti dal regolamento FIFA “RSTP” (Regulation on the Status and Transfer of Players) sarebbero contrari al diritto dell’Unione, in quanto – trattandosi di norme che devono essere applicate sia dalla FIFA sia dalle federazioni calcistiche nazionali che ne sono membri – ostacolerebbero la libera circolazione dei giocatori e limiterebbero la concorrenza tra i club.

 

La vicenda

La pronuncia trae origine dalla vicenda giudiziaria instauratasi tra un club russo e il calciatore Lassana Diarra, che era stato condannato dalla DRC (Dispute Resolution Chamber) a pagare in favore del club un indennizzo pari a 10,5 milioni di euro, a fronte della violazione del contratto da parte del calciatore. Nel corso del giudizio, il calciatore aveva cercato nuove opportunità di ingaggio, tuttavia le norme adottate dalla FIFA avevano impedito allo stesso di ottenere nuove occasioni professionali.

In considerazione di ciò, il calciatore agiva giudizialmente nei confronti della FIFA e di un’altra associazione sportiva nazionale chiedendo che fossero condannate al risarcimento del danno dallo stesso subito. Il giudice nazionale ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia Europea per verificare che la normativa FIFA fosse rispettosa del diritto dell’Unione.

 

Il quadro normativo all’esame della CGUE e la decisione

Premesso che il contratto tra giocatore professionista e club può terminare solo alla scadenza o per risoluzione consensuale, non essendo consentito il recesso unilaterale se non per giusta causa, le norme FIFA (artt. 17 ss. RSTP) prevedono che, in caso di risoluzione anticipata dal contratto senza giusta causa durante il periodo protetto (3 stagioni), la parte che ha violato il contratto sia tenuta al pagamento in favore dell’altra di un risarcimento consistente in una indennità calcolata sulla base di parametri quali la retribuzione, la durata residua e i costi sostenuti. Qualora a violare il contratto sia il calciatore, quest’ultimo e la nuova società che lo assume successivamente sono solidalmente responsabili per il pagamento dell’indennità di cui sopra.

Oltre all’obbligo di risarcimento, secondo le norme FIFA, alla società ritenuta inadempiente o che abbia indotto il calciatore a violare il contratto nel periodo protetto è destinataria di sanzioni sportive consistenti nel divieto di tesserare nuovi giocatori a livello nazionale e internazionale per due stagioni.

Infine, nel caso in cui tra la società e il giocatore sussista una controversia rispetto alla violazione del contratto, la società può rifiutarsi di emettere il cd. ITC (International Transfer Certificate), necessario ai fini dell’ingaggio del calciatore da parte di una nuova società affiliata a diversa associazione.

Secondo la Corte di Giustizia Europea le suddette previsioni contrasterebbero con gli articoli 45 e 101 TFUE, i quali tutelano la libertà di circolazione dei lavoratori e il corretto funzionamento del mercato.

Più precisamente, secondo la CGUE, le norme FIFA fanno incombere sui giocatori e sui club che intendono ingaggiarli non solo rischi giuridici e finanziari rilevanti e imprevedibili, posto che l’indennizzo non è precisamente quantificato né vengono forniti parametri di calcolo definiti, ma anche considerevoli rischi sportivi che, considerati nel complesso, sono tali da ostacolare il trasferimento internazionale di questi e quindi la libertà di circolazione.

Sotto ulteriore profilo, secondo la CGUE, tali norme sono anche idonee a restringere, se non impedire, la concorrenza transfrontaliera tra i club di calcio, in quanto l’insieme delle previsioni FIFA garantirebbe alle società la certezza quasi assoluta di trattenere i propri giocatori per tutta la durata del contratto o dei contratti, con ciò delineando di fatto una “spartizione artificiale” dei mercati a vantaggio dei club. Tale impostazione, ad avviso della Corte, si traduce in un divieto generale, assoluto e permanente di ingaggiare unilateralmente giocatori già “impegnati”, il che costituisce un’illegittima restrizione della concorrenza.

In conclusione, secondo la Corte Europea, le norme FIFA, così come formulate, seppur astrattamente finalizzate a raggiungere il legittimo obiettivo della regolarità delle competizioni sportive, violerebbero manifestamente il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione, andando oltre quanto sarebbe necessario per garantire la stabilità e l’integrità delle competizioni calcistiche interclub, con la conseguenza che i criteri adottati mirerebbero più a preservare gli interessi finanziari delle società piuttosto che a garantire il regolare svolgimento delle competizioni.

 

Quali prospettive alla luce del fatto che il calciatore è un lavoratore subordinato?

Occorre a questo punto chiedersi, però, se la prospettiva delineata dalla Corte di Giustizia con la pronuncia in esame – seppur rispondente ai principi di libertà di circolazione e di concorrenza – possa rappresentare un equo contemperamento degli interessi in gioco ed inoltre ci si chiede come tali principi europei possano andare di pari passo, o quanto meno coordinarsi, non solo con il perseguimento dell’obiettivo legittimo – per stessa ammissione della Corte Europea – di mantenere la stabilità contrattuale e la regolarità delle competizioni calcistiche, ma anche con il fatto che il calciatore è un lavoratore subordinato, e come tale è soggetto – così come il club datore di lavoro – al rispetto del contratto di lavoro. Nello specifico, si tratta di contratti a termine che, in virtù del generale principio stabilito dall’art. 2119 c.c., sono soggetti a recesso anticipato solo in presenza di giusta causa, con la conseguenza che in caso di recesso anticipato privo di giusta causa, la parte che recede – essendosi resa inadempiente al contratto – è tenuta al risarcimento del danno.

Quindi, posto il necessario rispetto dei principi di libera circolazione e concorrenza, cosa ne è del rispetto del contratto?

Le norme FIFA all’esame della CGUE hanno proprio la funzione (necessitata in considerazione del quadro normativo sul recesso ante tempus) di ristorare il pregiudizio patito dalla parte che ha subito una violazione del contratto a termine, determinando le conseguenze dell’inadempimento contrattuale.

Sotto ulteriore profilo, le conclusioni della Corte Europea obbligano a una riflessione anche rispetto all’istituto del patto di stabilità, molto utilizzato dalle aziende soprattutto nei confronti delle figure apicali, al fine di trattenerle (e ovviamente di privarne i competitors). Le finalità e gli effetti dei patti di stabilità non sono dissimili dalle finalità ed effetti delle norme FIFA disapprovate dalla Corte Europea: ovvero il mantenimento della stabilità contrattuale e la limitazione della concorrenza altrui.

Anche il patto di stabilità, dunque, viola i principi di cui agli articoli 45 e 101 TFUE? Non risulta che la CGUE si sia mai pronunciata sul tema, tuttavia la Cassazione ha in più occasioni ribadito la legittimità di tale clausola, rappresentando un equo contemperamento degli interessi in gioco (Cassaz. 15 novembre 1996, n. 10043).

Alla luce di quanto sopra, sarà necessario individuare delle soluzioni che tengano in considerazione i contrapposti interessi e quanto affermato dalla Corte di Giustizia Europea: una via per raggiungere l’obiettivo, mantenendo l’apparato sanzionatorio ma rendendolo più equilibrato, potrebbe essere la previsione di criteri certi e predeterminati per la quantificazione dell’indennizzo economico, nonché l’eliminazione della responsabilità solidale in capo al club, addossando le sanzioni economiche esclusivamente al calciatore inadempiente e le sanzioni sportive al club inadempiente.

Ciò permetterebbe di creare un apparato sanzionatorio più equo e funzionale: i calciatori sarebbero maggiormente responsabilizzati, essendo gli unici destinatari dell’obbligo risarcitorio in caso di violazione, e i club inadempienti sarebbero destinatari esclusivamente di sanzioni sportive, sicuramente più dissuasive di quelle economiche.

Ciò posto, staremo a vedere quale impatto questa pronuncia avrà sul mondo delle competizioni calcistiche. Tale decisione potrebbe, infatti, ridisegnare gli equilibri di potere tra giocatori e club e rappresentare una svolta epocale nel mondo del calcio. 

 

Avv. Filippo Collia | Avv. Veronica Margotti             

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