Liberalizzazioni al palo, eccesso di regolazione che frena il mercato (con un costo di 225 miliardi di euro l'anno) e Rc auto che registra una crescita di profitti delle compagnie, senza che i premi diminuiscano. Nella sua relazione annuale al Parlamento, Antonio Catricalà, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha messo in evidenza tante delle criticità del sistema Italia. TopLegal ha incontrato il numero uno dell'Antitrust per approfondire il tema della liberalizzazione delle professioni e in particolare di quella forense. Il testo integrale del'intervista sarà pubblicato sul numero di Luglio/Agosto di TopLegal. Qui ve ne proponiamo un estratto.
Il Cnf rifiuta l’assimilazione della attività legate a quella imprenditoriale che il decreto Bersani e il ddl Mastella sottintenderebbero: lei cosa pensa in proposito, gli studi professionali possono essere considerati imprese?
Da sempre, e anche per consolidata giurisprudenza comunitaria, l’Autorità considera, ai fini dell’applicazione della normativa sulla concorrenza, i liberi professionisti come imprese. I principi finalmente fissati dal legislatore nazionale recepiscono l’impostazione tradizionalmente seguita dall’Autorità: i professionisti sono operatori economici che svolgono un servizio dietro il pagamento di un corrispettivo.
Perché ha senso parlare di concorrenza quando si tratta di studi professionali?
Si tratta di servizi essenziali per le imprese, che contribuiscono ad una parte significativa della ricchezza del Paese. Proprio alla luce della loro rilevanza economica non sarebbe giustificato sottrarli alle regole del libero gioco della concorrenza. D’altra parte i costi dei servizi professionali sono in Italia ancora troppo alti e questo costituisce un freno alla competitività complessiva del sistema. Dal punto di vista antitrust prezzi troppo alti rispetto ai nostri principali competitors segnalano l’esistenza di una malfunzionamento dei meccanismi di concorrenza.
Gli avvocati, così come molte altre categorie professionali, temono che l’introduzione di logiche di mercato in questo settore possa costituire un
grave rischio per i cittadini: lei cosa ne pensa? Perché?
Le distorsioni alla concorrenza segnalate dall’Antitrust, vale a dire la fissazione di tariffe minime o il divieto di pubblicità non hanno nulla a che vedere con la qualità delle prestazioni professionali e il controllo su di esse operato dagli ordini a tutela dei cittadini. Il ruolo degli Ordini è fondamentale proprio nel controllo sul livello di professionalità degli iscritti, sulla formazione professionale, sui livelli delle prestazioni. Ma a questo non devono corrispondere tariffe minime.
A suo parere, data la dimensione (di fatturato e organico) che gli studi associati stanno raggiungendo anche in Italia, è giunto il momento di cambiare la loro natura e trasformarli in società di servizi legali?
La legge indica questa direzione e offre questa possibilità: ciascun professionista potrà scegliere l’assetto organizzativo che meglio si confà alla propria attività.