Anche in Italia, c’è chi sta pensando a operazioni straordinarie legate alle nuove norme sulle società legali. «Ma per gli operatori di private equity è ancora presto», sostiene Davide Proverbio, partner di SJ Berwin, boutique (4 soci per una ventina di professionisti) dove è arrivato a inizio 2012, dopo quattro anni in Norton Rose, portando con sé una consolidata esperienza nelle operazioni di capitale di rischio. L’avvocato parte dall’esperienza Uk, «dove sono allo studio nuove operazioni – riprende – con focus su studi concentrati su attività di volume, molto standardizzate, che nel Regno Unito sono svolte da strutture legali medie che affiancano questi servizi di massa alla consulenza specifica».
La lista di private che ha fatto il passo oltre Manica comincia a diventare sostanziosa: Duke Capital (in Parabis), Palamon Capital (in QualitySolicitors), Hamilton Bradshaw (in Knights). Oltre a quelli che hanno fiutato l’affare e che hanno annunciato di essere a caccia di prede: Smedvig Capital, Sovereign Capital e August Equity.
In Italia, però, il problema è che le attività in stile catena di montaggio «non sono dentro studi strutturati – continua Proverbio –, bensì in realtà di minime dimensioni. Ciò significa che entrare nel business richiederebbe poi una successiva attività di consolidamento».
Invece, pare essere qualche passo più avanti «il ragionamento da parte di banche e grandi aziende rispetto alle attività dei propri studi legali interni. Nella sostanza, c’è chi sta valutando l’opportunità di riprendersi la marginalità delle attività standardizzate, come il recupero crediti, lasciate oggi a soggetti esterni all’azienda, per quanto coordinati dagli in house». Il ragionamento è quello «di coinvolgere magari un socio di capitali – conclude Proverbio – e di procedere con uno spin off dell’ufficio legale che a sua volta diventi un polo aggregatore di questo genere di servizi». È un pourparler. Ma è un parlare significativo.
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