Con le ultime tensioni finanziarie nel Bel Paese, i fondi di private equity hanno paura del mercato italiano? Diversi operatori si sono confrontati sulle attuali tendenze e criticità del mercato locale all’Italian Private Equity Conference a Milano, che si è svolta lo scorso 25 ottobre. È vero che gli investimenti di private equity in Italia nel primo semestre del 2018 sono cresciuti del 49% rispetto all’anno precedente. Ma è anche vero, secondo Alessandra Piersimoni, partner di BonelliErede e membro del team private equity, che «c’è stato un cambio di tendenza tra il primo e il secondo semestre dell’anno. Alcune operazioni che erano in fase di preparazione sono state sospese anche per le incertezze che caratterizzano l’attuale situazione italiana».
Dove investono i fondi quando il mercato è vulnerabile
Nonostante i fattori di rischio, diversi fondi di private equity trovano nel mercato italiano opportunità di investimento anche in condizioni di volatilità. Se Cvc, che a giugno ha siglato l’accordo per acquisire il controllo di Recordati mettendo sul piatto circa 3 miliardi di euro, tende a operare in continuità con il proprio modello puntando su large e mega deal, per Apax, invece, perdono attrattiva i settori più ciclici, mentre aumentano gli investimenti in tecnologia, sanità e servizi di business.
Come spiega a TopLegal Piersimoni, infatti, «in fase di ricerca di società target, i fondi cercano società che sono resilienti, in quanto hanno un business solido, non solamente italiano e quindi meno influenzato da fattori di mercato locale. Alcuni settori con business esclusivamente locale potrebbero subire una battuta d’arresto, ma altri settori come il medicale e le infrastrutture, che tradizionalmente hanno una tendenza a rimanere stabili, possono continuare a essere oggetto di interesse per i fondi».
L’avvocato “compagno di scelte” dei fondi
A volte, però, per la paura del mercato, i fondi di private equity rischiano di perdere di vista la bontà dei business locali. «Nel nostro paese abbiamo ottime realtà imprenditoriali – evidenzia Piersimoni – che a volte sono penalizzate per il fattore di rischio-Italia».
Entra allora in gioco il supporto dell’avvocato, nelle sue vesti di facilitatore: il consulente legale italiano ha spesso, infatti, il ruolo di «far capire che alcune decisioni di natura legale annunciate a livello politico potrebbero non avere un impatto immediato e diretto sulle attività del business. Il compito dell’avvocato, di fronte alla paura che può sorgere da alcune novità legislative, è quello di chiarire soprattutto agli investitori esteri quali sono i rischi reali, al fine di facilitare alcuni aspetti delle trattative che possono diventare più spigolosi». Un ruolo che ha una componente di mediazione importante, emerso anche in recenti operazioni come nel caso di Guala Closures, dove gli avvocati hanno svolto un lavoro che includeva non solo la componente tecnica, ma anche l’applicazione del buon senso e della forza persuasiva.
«L’avvocato – secondo Piersimoni – sta diventando sempre più un compagno di scelte dei fondi di private equity e di altri veicoli di investimento che si stanno affermando sul mercato. E assume così un ruolo fiduciario e di consiglio nelle scelte di investimento, perché apporta la propria capacità di analisi anche basata su una pluralità di esperienze diverse».
Private equity e Spac: quale competizione?
Altra questione dibattuta è se le Spac (veicoli che raccolgono capitali attraverso la quotazione in borsa per acquisire una società target le cui azioni sono destinate, a loro volta, alla quotazione ad esito dell’operazione) siano da considerare come potenziali concorrenti rispetto ai private equity. Dal confronto tra gli operatori partecipanti all’incontro milanese, «ciò che emerge – riporta ancora una volta Piersimoni – è che private equity e Spac non sono concorrenti. La Spac si configura come un’alternativa all’Ipo, quindi uno sbocco sul mercato dei capitali, mentre il private equity rimane uno strumento private».
Non si tratta soltanto di strumenti distinti, ma anche le target di riferimento sembrano essere essenzialmente diverse. Secondo l’esperienza di Piersimoni: «Una società che dà avvio a un’operazione con la Spac, infatti, ha già un’organizzazione tale per cui è pronta ad affrontare il mercato borsistico. Mentre non necessariamente una società che si avvicina a un private equity si trova nella medesima situazione; spesso il private equity rappresenta la tappa antecedente, in cui la società è supportata nella fase di riorganizzazione della struttura gestionale in base a logiche di efficienza e corretti principi di corporate governance».
Le Spac, però, possono essere un buon alleato per i private equity in caso di exit: se un private equity vuole uscire da un investimento infatti, secondo Piersimoni, «la Spac è una buona alternativa. Innanzitutto perché è un acquirente che dispone già delle risorse liquide per effettuare l’operazione, limitando il rischio execution. In più, la negoziazione è molto simile a quella di operazioni di M&a». Qualche esempio? Sempre il caso Guala Closures, che è stata un’operazione di exit dei private equity aPriori Capital Partners e Nb Renaissance tramite la Spac Space4; il caso Avio, dove Cinven è uscito dal capitale della società tramite la Spac Space2, e anche quello di Industrie Chimiche Forestali (Icf), che tramite la Spac Pep, lanciata da Equita e Private Equity Partners, ha consentito l’uscita di Progressio Sgr.
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