Griffe al restyling

CHIOMENTI, QUALCOSA È CAMBIATO

Lo studio ha uno standing senza pari ma dovrà rimodularlo alla luce dei profondi mutamenti di scenario

02-10-2012

CHIOMENTI, QUALCOSA È CAMBIATO

In Chiomenti qualcosa è cambiato. È nelle impressioni, nelle voci di corridoio, ma anche nelle mosse che hanno caratterizzato alcuni suoi (ormai) ex soci. Negli ultimi mesi, infatti, si è intaccato il tradizionale grado di retention di cui si fregiava lo studio, con le uscite tra giugno e agosto di Carlo Gagliardi, Luca Perfetti e Franco Lambertenghi. In parte scelte di vita, come hanno affermato gli stessi interessati. In parte, forse, frutto della percezione di un “qualcosa è cambiato”. O, meglio, di un “qualcosa deve cambiare”. 

Nel numero di ottobre, TopLegal analizza quella che sembrerebbe una fase di restyling intrapresa dall’insegna, alla ricerca di nuovi equilibri che gli consentano di affrontare le due grandi sfide imposte dal mercato, quella della governance e quella della fungibilità, preservando un brand forgiato da 60 anni di leadership sul mercato. 

E alcuni segnali di "lavori in corso" già si intravedono. Il dietro le quinte dell’accesso alla partnership racconta una storia che probabilmente ha un peso strategico epocale per Chiomenti, sebbene in altri studi sarebbe quasi irrilevante. Quella di un’insegna in cui da due anni non vengono nominati soci equity. In base al com­plesso meccanismo di lockstep e di ingresso nella partnership, l’ultima tornata di promozioni (marzo 2011) ha consentito la partecipazione agli utili di studio con quote talmente basse che la perce­zione è stata quella dell’introduzione di una sorta di socio salary. 

Questo rappresenta un segnale forte. Per quanto ufficialmente in Chiomenti non esistano salary partner, il fatto che il termine venga utilizzato nel passaparola rischia di minare quella che per anni ha rappresentato una delle maggiori attrattive per i giovani talenti: la convinzione che, una volta superato il durissimo percorso di crescita interna, ad attenderli ci fosse la poltrona di soci equity. 


Potrebbe trattarsi di una semplice deviazione dal percorso abituale. Ma, a rigor di coerenza, appare più una nuova rotta dell’insegna.  Una rotta che non ridisegna soltanto il percorso di accesso alla partnership: a cambiare deve essere anche la struttura.

Chiomenti, nel tempo, si è strutturato sul modello ibrido “boutique del diritto, ma di grandi dimensioni”. Organizzato in numerose practice, con centinaia di avvocati e sedi in Italia e all’estero, lo studio ha sempre affermato di non voler rinunciare a offrire consulenza d’eccellenza. Ma l’eccellenza oggi deve fare i conti con uno scenario che spinge in direzione di un servizio legale-commodity. Tra la spietata competizione sul prezzo e quella sul rapporto di fiducia, Chiomenti ha scelto la seconda. 


Là dove il modello commodity si gioca su una bassa fidelizzazione del cliente (alla continua ricerca del legale in sconto), la scelta abbracciata da Chiomenti è stata quella di combattere la fungibilità. Il che si traduce in un imperativo: essere il tenutario della fiducia del cliente. La clientela così diventa l’unica vera fonte di libertà e indipendenza. Senonché, è proprio la clientela ciò che manca alla maggior parte dei soci Chiomenti, figli della vecchia tradizione per cui il lavoro non doveva essere procacciato, ma arrivava dall’alto (grazie al marchio). 

Ed è questo paradosso che, a detta di fonti interne allo studio, starebbe minando gli equilibri di governance. Creando le condizioni per due lacerazioni: quella tra la sede di Milano e la sede di Roma (sempre più ancillare alla prima) e quella tra i “relationship” partner, ovvero quelli che detengono la clientela e che originano i mandati, e i soci “esecutori” perfetti nel gestire un’operazione, ma non nel portarla in pancia allo studio.

Del resto, per i soci originator – solo 8 partner divisi tra le sedi di Roma e Milano – negli ultimi tempi, con la significativa diminuzione dei grandi deal e l’obiettivo di mantenere alto il profit per partner, si è ingigantita la tentazione di “blindare” il proprio portafoglio, e di interrompere il tradizionale flusso di distribuzione dei mandati alla parte bassa della piramide associativa. Una tentazione pericolosa, che per i restanti soci, non in grado di agganciare nuovi clienti, si traduce nella prospettiva di briciole di fatturato. L’impressione è che la tensione del fatturato, quindi, possa compromettere i rapporti tra i partner. 

E qui si collega un secondo problema: la necessità di ridurre il differenziale di lockstep. Mentre negli studi internazionali tra il primo e l’ultimo socio ci sono al massimo 4-5 livelli di lockstep, in Chiomenti i guadagni del primo sarebbero 10 volte superiori a quelli degli ultimi. 

Orientare la formazione interna delle leve anche in termini di capacità di fare business; creare regole certe e condivise; diminuire in maniera profonda la differenza di guadagno tra i primi e gli ultimi soci. Sono queste le sfide che lo studio dovrà apprestarsi ad affrontare, se sceglierà di completare tout court il modello di studio-istituzione, per mantenere le dimensioni attuali. In alternativa, c’è chi intravede l’avvio di un processo di downsizing che lo riporterà alle origini di studio boutique di medie dimensioni. Nel futuro prossimo di Chiomenti, quindi, c’è anzitutto una scelta di modello di business. Una scelta obbligata, per non arrendersi nella battaglia della fungibilità.

La versione integrale dell’articolo è disponibile su E-Edicola
http://toplegalitalial.ita.newsmemory.com/ee/toplegalitalia/default1.php



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Chiomenti CarloGagliardi, FrancoLambertenghi, Luca RaffaelloPerfetti


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