Cina, un mercato ancora “emergente” per M&A e Private Equity

17-05-2007

Un quadro regolamentare affollato di leggi che invece di creare certezza creano confusione. Le difficoltà legate allo svolgimento di una corretta due diligence. Gli stringenti paletti regolamentari fissati dalle autorità locali che rischiano di allungare i tempi per la chiusura di un deal. La forte concorrenza locale nell’ambito di determinati settori. E, infine, la difficile gestione delle risorse umane, soprattutto quelle manageriali. Sono questi i temi affrontati ieri nell’ambito della tavola rotonda organizzata da TopLegal e lo studio LCA Lega Colucci e associati dal titolo "Private Equity e M&A in Cina", avente come scopo quello di analizzare lo stato attuale del mercato dei fondi di private equity e delle operazioni M&A nel celeste impero e la loro evoluzione nei prossimi anni che, nonostante queste incognite, appare positiva.

Ad aprire i lavori è stato Matteo Canonaco, responsabile globale per i rapporti di investment banking che ha evidenziato comunque come i fondi di private equtiy lo scorso anno abbiano aumentato gli investimenti in Cina, pari a 7,7 miliardi di dollari, intervenendo nelle società attraverso operazioni di tipo pre-Ipo e di expansion. Poco numerose e di importo limitato le operazioni di buy out. Canonaco ha sottolineato inoltre come nei prossimi anni a crescere sarà il numero dei fondi specifici cinesi che attraggono capitali locali e stranieri, mentre il numero di  ingressi di nuovi player global sarà sempre più esiguo.
 
Ruggero Jenna, partner dell’ufficio di Shangai e coordinatore dell’area Asia Pacific di Value Partners ha sottolineato come a crescere sia stato anche il numero di operazioni M&A, così come il valore delle transazioni, la cui dimensione media si è attestata intorno ai 66 milioni di dollari. Le operazioni di acquisizione e fusione hanno interessato soprattutto i comparti bancario e assicurativo. Tra i fattori che hanno determinato questa crescita l’aumento dei target sul mercato, dovuto al processo di privatizzazione e ristrutturazione dell’industria statale e allo sviluppo di aziende private più appetibili per investitori stranieri. Jenna ha poi delineato sette regole d’oro per concludere operazioni di M&A in Cina, raccomandando tra l’altro di avere ben chiara la logica dell’operazione, di scegliere attentamente il target, di esesguire una due diligence molto approfondita e anche di fare in fretta, considerato come il valore degli asset cinesi crescano in modo rapido.
 
Anche se Federico Palazzari, fondatore di PCO Limited, società di consulenza partecipata da Tamburi Investment Partners, è intervenuto puntualizzando come sia difficile concludere un’operazione di M&A in Cina a causa dell’atteggiamento degli imprenditori cinesi, molto più restii oggi a cedere le proprie aziende, e delle difficoltà connesse al processo di due diligence. Il rischio, ha aggiunto Palazzari, è che un fondo di private equity possa intraprendere un deal destinato a chiudersi nel giro anche di tre o quattro anni, perdendo così le opportunità che il mercato è in grado di offrire.
 
Ma i problemi non riguardano soltanto la fase pre-transazione, ma anche quella successiva alla chiusura di un deal. Alessandro Ermolli, managing partner di Sinergetica, si è soffermato su come sia difficile per un investitore che acquisisce un’impresa cinese gestire le risorse umane, soprattutto quelle manageriali che devono essere comunque fidelizzate. Le differenze culturali infatti non devono essere sottovalutate.
 
Marco Gubitosi, partner LCA Lega Colucci e associati, ha chiuso i lavori focalizzandosi su come il sistema del doppio binario adottato dall’ordinamento giuridico cinese nell’ambito del diritto societario abbia influito sulla dinamica delle operazioni M&A da parte di fondi di private equity e operatori stranieri. Oggi, invece, il sistema è più uniforme e ciò dovrebbe dare un’ulteriore spinta alla crescita dei deal.

 

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LCA MarcoGubitosi Value Partners, Sinergetica, Pco


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