«Penso sia un momento emozionante per me, perché entriamo in un decennio di grandi cambiamenti nel mercato per noi», aveva dichiarato Matthew Layton, socio inglese di Clifford Chance, quando nel maggio 2014 era stato nominato managing partner della practice globale. Pochi mesi dopo, all'inizio del 2015, le prime novità, con l’introduzione di una nuova figura manageriale, il global head of innovation and business change, e la nomina di un nuovo chief operating officer. Nel primo ruolo è stato designato il managing partner olandese Bas Boris Visser, che in più occasioni ha sottolineato la rapidità dei cambiamenti in atto e la necessità di innovare il posizionamento e il modello di business, per non perdere quote di mercato a favore di organizzazioni più «disruptive». Secondo Visser, che ha aperto ad Amsterdam un Innovation Lab pilota, la maggioranza degli studi cerca di farsi percepire come sartoriale, ma in realtà gran parte del loro lavoro è commodity. E questo rende sempre più difficile differenziarsi dai competitor. Nel ruolo di Coo è stata invece nominata Caroline Firstbrook, ingegnere con Mba ad Harvard. Firstbrook ha trascorso 12 anni presso la società di consulenza strategica fondata, tra gli altri, da Michael Porter, Monitor, per poi assumere il ruolo di managing director di Accenture Strategy in Europa, Medio Oriente, Africa e America Latina. «Penso che il lato operativo del nostro business stia diventando sempre di più un aspetto centrale per il cliente nella consegna del servizio», ha dichiarato Layton.
Nel segno della continuità?
A maggio 2014 si è avuto un ricambio anche al vertice della practice italiana dello studio. Il managing partner Charles Adams è volato a New York, pur continuando a operare anche con clienti italiani, e dopo un corso di otto anni ha ceduto il testimone a Giuseppe De Palma (in foto). Quarantasette anni, in Clifford Chance dal 1995 (quando l’insegna magic circle operava in tandem con Grimaldi), De Palma è alla guida del dipartimento di finance e capital markets in Italia, dal 2013 è consigliere del global partnership council dello studio ed è stato responsabile della sede di Roma. «Un avvicendamento nel segno dell’assoluta continuità», ha dichiarato De Palma. «Io e Charles abbiamo lavorato insieme per 20 anni nello stesso gruppo, abbiamo condiviso le scelte gestionali dello studio da sempre. Anche se questo non vuol dire continuare a fare le stesse cose. C'è un evoluzione, un 'secondo tempo' della stessa strategia». In linea con il nuovo corso globale, anche in Italia viene posta sempre più attenzione all'efficientamento delle operazioni, che si traduce in un rapporto con la clientela leggermente diverso dal passato: usando, cioè, nella maniera più ampia possibile il know how acquisito, discutendo con i clienti modi diversi di svolgere il lavoro, e mettendo costantemente in discussione l’utilità di determinate pratiche ritenute ordinari nel passato. Questa impostazione porta ad analizzare in profondità i flussi di lavoro dello studio, e a frammentare i processi per identificare il valore aggiunto delle singole parti che li compongono. E nel giro di un anno, secondo quanto dichiarato dallo studio, la marginalità è cresciuta del 20%, accompagnandosi a un incremento del fatturato, che si aggira attorno ai 50 milioni di euro, di circa il 10 per cento.
La reingegnerizzazione dei processi
L'intervento che Clifford Chance sta attuando ricorda da vicino il «business process reengineering», concetto nato agli inizi degli anni '90 per impulso di Michael Hammer, un professore di informatica del Massachusetts Institute of Technology. Hammer partiva dalla constatazione degli scarsi risultati raggiunti dalle organizzazioni che hanno applicato le tecnologie dell'informazione lasciando invariati i loro processi di lavoro, dove per processo si intende un gruppo di attività interconnesse che insieme creano valore per il cliente. Nessuna di queste attività, presa singolarmente, ha valore per il cliente. Il cliente è interessato solo al risultato finale, ma è per mezzo del processo che l'organizzazione crea valore per il cliente. In questa visione le tecnologie, invece, rappresentano un «fattore abilitante» di un cambiamento complessivo, che lo studio ha deciso di intraprendere battendo le strade dell’Intelligenza artificiale e dei software cognitivi in collaborazione con Harvard.
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