Il prossimo 16 marzo entreranno in vigore le norme del nuovo codice della crisi e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) che modificano articoli del codice civile dedicati agli assetti di governance delle Pmi. È la prima tranche temporale con cui entra in vigore il codice, pubblicato in gazzetta ufficiale lo scorso 15 febbraio. Per le restanti norme, che sono quelle più strutturali, si dovrà attendere agosto 2020.
Tre professionisti specializzati nel settore spiegano a TopLegal cosa si aspettano da questo nuovo codice e quali sono gli elementi di forza e di debolezza della nuova normativa: Gabriella Covino di Gianni Origoni Grippo Cappelli, PierDanilo Beltrami di Lombardi Segni e Alessandro Fontana di Molinari. Ne emerge un quadro a luci e ombre.
L’anticipazione della crisi
Un elemento di forza è l’anticipazione della crisi a una fase prefallimentare. Infatti, il legislatore ha cercato di anticipare la diagnosi delle imprese in difficoltà, secondo la logica della prevenzione. Anticipare il momento di risoluzione della crisi d’impresa può sicuramente evitare che l’intervento delle autorità arrivi troppo tardi, ovvero quando la “malattia” è diventata ormai incurabile. È difficile però capire se l’applicazione concreta della legge sarà all’altezza di questo intento. Questo perché il sistema creato dal codice punta sulla responsabilizzazione dell’imprenditore, che sostanzialmente dovrebbe autodenunciarsi ai primi sintomi della crisi. Tuttavia, gli esperti del settore ritengono che gli imprenditori italiani sono soliti muoversi in cronico ritardo nel dichiarare le proprie difficoltà. Perciò, quello che la riforma chiede all’imprenditore è un vero e proprio cambiamento culturale. Anche altri soggetti saranno maggiormente responsabilizzati dalla nuova normativa: i cosiddetti soggetti qualificati (agenzia delle entrate, banche, Inps, agenzie di riscossione…) sono chiamati a “denunciare” l’imprenditore quando il suo debito supera determinate soglie e se non procedono a questa segnalazione perdono il loro credito.
Al riguardo Alessandro Fontana, partner esperto di banking&finance di Molinari, segnala che «la nuova normativa può cambiare il ruolo dell’avvocato, che dovrà sempre più interagire con l’impresa e con il relativo business, cogliendo sin dalla fase di “allerta” eventuali segnali di difficoltà economica. Per farlo, occorrerà assistere il cliente anche nella fase di costituzione dell’assetto societario e legale che renda più efficienti i controlli relativi all’emersione della crisi».
La ratio anticipatrice del legislatore è stata implementata con la previsione delle cosiddette procedure di allerta. Tali procedure obbligano l’imprenditore a segnalare i primi sintomi della crisi all’Ocri (organismo di composizione della crisi e dell’insolvenza), un ente che valuta la segnalazione in un clima protetto in cui non è prevista alcuna sanzione per il segnalante. Gabriella Covino, partner e co-head con Luca Jeantet della practice restructuring di Gianni Origoni Grippo Cappelli, avverte però che le procedure di allerta potrebbero rivelarsi un boomerang. «Il rischio - spiega - è che si crei un allarmismo ingiustificato e, quindi, che si avviino molte segnalazioni in realtà non necessarie. Sicuramente ci vorranno dei temperamenti alla disciplina per evitare che si creino queste situazioni».
PierDanilo Beltrami, partner di Lombardi Segni, segnala altresì un'altra criticità, ovvero il fatto che dinanzi all’Ocri l’imprenditore non è incentivato a farsi assistere dai propri consulenti. «Infatti, - spiega Beltrami - la riforma nega il beneficio della prededuzione al consulente legale di fiducia dell’imprenditore che opera nella fase della procedura davanti all’Ocri».
La razionalizzazione della materia
Altro scopo perseguito dal legislatore è riformare organicamente la disciplina delle procedure concorsuali e del fallimento. Anche questo aspetto è salutato con favore dagli operatori del settore, che segnalano il fatto che sia un significativo passo avanti nella razionalizzazione della materia.
Sul punto PierDanilo Beltrami di Lombardi Segni nota: «L’obiettivo raggiunto è stato quello di aver razionalizzato e armonizzato la normativa dopo i molteplici interventi modificativi della legge fallimentare, posti in essere per rimediare a situazioni di urgenza, ma che non presentavano sistematicità e organicità. Credo che l’obiettivo sarebbe stato ancora più centrato se fosse stata inserita nel codice anche la disciplina dell’amministrazione straordinaria, che invece è stata esclusa dal progetto di riforma».
Altre soluzioni previste nel codice che sono state apprezzate dai professionisti intervistati sono la preferenza per la ristrutturazione dell’impresa in continuità aziendale, la previsione di norme per la disciplina della crisi di gruppo e la revisione della normativa penale.
Le occasioni mancate
Due le occasioni mancate emerse dall’indagine di TopLegal: la possibilità di fare maggiore chiarezza sui fondi di investimento e la riorganizzazione in chiave centralizzata delle giurisdizioni competenti.
«Tra le occasioni mancate - rileva Alessandro Fontana di Molinari - c’è il silenzio del legislatore su una questione nata da alcune decisioni del Tribunale di Milano del 2015 e 2016, in cui la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata estesa a un fondo di investimento. Il codice avrebbe potuto essere la sede opportuna per fare chiarezza e stabilire in via definitiva se anche i fondi di investimento possono essere equiparati agli imprenditori ai fini della disciplina della crisi».
Secondo Gabriella Covino, inoltre, «in sede di riforma sarebbe stato necessario dare attuazione al principio della legge delega di attuare un accentramento e una specializzazione concorsuale mediante la creazione di un’unica sezione fallimentare metropolitana. Il fatto che continuino ad esserci diversi giudici competenti a livello periferico impedisce che si crei una giurisprudenza uniforme a livello nazionale».
Si tratta chiaramente di un primo bilancio: solo la prassi, sono concordi i consulenti legali, potrà evidenziare eventuali criticità o punti di forza del codice. Senza contare che, come è avvenuto ad esempio per il codice degli appalti pubblici, il legislatore potrà sempre correggere il tiro con un eventuale decreto “correttivo” del codice.
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