Tecnologia, lavoro flessibile, ottimizzazione ed efficienza dello studio. Di tutte queste sfide si è parlato nella Conferenza annuale dell’Iba a Roma. Per affrontarle sono chiamati in causa i managing partner che devono sviluppare una leadership in grado di guidare il cambiamento. Tra i diversi appuntamenti dell’Iba non manca così un momento di riflessione sul loro ruolo e sfide con la sessione “Managing partners’ breakfast: leading through change” che si è svolta mercoledì mattina ed è stata presentata dalla Law firm management committee. Hanno partecipato al panel, con diversi interventi stranieri, anche gli italiani Francesco Gianni, socio fondatore di Gianni Origoni Grippo Cappelli, e Roberto Casati, partner di Linklaters.
Tra i dossier oggi sul tavolo dei managing partner italiani c’è sicuramente la sfida organizzativa e di maggiore istituzionalizzazione dell’insegna. Un percorso di cui TopLegal si occupa da diverso tempo sottolineando la doppia velocità del comparto. Da un lato ci sono le esperienze che guardano ai modelli internazionali, con le best practice che si basano su una rilevante autonomia di mercato e per area geografica, con vari punti di coordinamento. A supporto le insegne hanno sviluppato un’ossatura amministrativa uniforme e uno stesso sistema di gestione della conoscenza (knowledge management), che fa riferimento a capi locali. Dall’altro ci sono quegli studi, di matrice più italiana, che rimangono costruiti attorno ad alcune grandi personalità, con un grado di strutturazione inferiore e maggiori influenze da parte del vertice.
In questa cornice, tutte le insegne si trovano in un contesto competitivo caratterizzato dalla necessità di abbracciare un maggior uso della tecnologia e di una maggiore efficienza, di facilitare il lavoro flessibile e mantenere una solida cultura. Quali le principali sfide? Roberto Casati ne individua in particolare due: il diverso modo di ragionare dei giovani; la gestione del cambiamento legato alla dimensione tecnologica.
«In generale, l’approccio alla professione da parte dei millennials e delle nuove generazioni — dice Casati a TopLegal in occasione dell’evento Iba — è strutturalmente diverso da quello della mia generazione. Essi concepiscono un differente equilibrio tra lavoro e qualità della vita. Oggi non c’è più quel sentimento, che nasceva dal tipo di educazione ricevuta, che in noi era un miscuglio tra ambizione personale e acuto senso del dovere, e che portava a grandi sforzi e sacrifici in vista di un obiettivo futuro. I giovani sono oggi invece più consci della necessità di una vita quotidiana completa e non rimandano a un domani “glorioso” il soddisfacimento dei loro obiettivi. Ecco perché saranno dei soci diversi da quelli di oggi, metteranno maggiormente in discussione le prassi e gli schemi tradizionali “uguali per tutti” e cercheranno soluzioni personalizzate, flessibilità, e un maggiore “work/life balance”. I sintomi si vedono già oggi, ad esempio, nella diffusione dell’agile working».
Una dinamica che nasce e si sviluppa proprio in concomitanza con la seconda grande rivoluzione, quella tecnologica, sia in ambito di cloud sia di intelligenza artificiale. «Il punto — dice Casati — è come immaginarsi il cambiamento, come gestirlo ora e che investimenti fare». Molti studi hanno un atteggiamento attendista, aspettando di capire come si evolve la tecnologia e quali saranno le opzioni migliori. Altri, invece, si stanno già muovendo in maniera importante, investendo in sistemi proprietari che richiedono grosse attenzioni. «Su questo — continua Casati — è difficile fare previsioni su quale sia la scelta migliore. È possibile ipotizzare che, in una prima fase, un sistema che vada bene per tutti ci sarà solo per le funzioni più banali e standardizzate e che tutti i software saranno molto personalizzati. Successivamente, emergeranno alcuni provider quali leader di settore e vi sarà grande uniformità».
Il ritmo del cambiamento però non dipende solo dagli studi. Clienti e tribunali nonché autorità amministrative e di governo si stanno sempre più attrezzando nell’ottica della digitalizzazione, che include tecnologie ad altissimo impatto e potenziale innovativo, come l’artificial intelligence e blockchain. «Tutto questo, che non viene insegnato alle facoltà di Giurisprudenza, richiede e richiederà investimenti massicci in formazione — continua Casati —. È necessario tenere presente che il cambiamento sarà più radicale che in passato: se la mia generazione, con l’avvento ad esempio dei sistemi di scrittura, ha dovuto solo imparare alcuni programmi, la tecnologia cambierà il modo stesso di essere e di operare del sistema giuridico e di pensare la professione. La formazione non è quindi solo tecnica ma anche strutturale e culturale».
D’altra parte, lo stesso Casati in un’intervista concessa a TopLegal qualche mese fa (“Giovani, imparate a sparigliare”, TopLegal review n. 4 giugno/luglio 2018) aveva indicato la necessità per i professionisti del futuro di utilizzare l’innovazione e la tecnologia in maniera creativa, evitando l’appiattimento legato alla crescente standardizzazione («La tecnologia deve essere interpretata come uno strumento al servizio dei clienti che si stanno sempre più informatizzando — aveva sottolineato allora —. I legali che non li seguono rimarranno indietro»).
Il tema è attuale per tutti. Ma in particolar modo per i giovani avvocati della generazione degli anni ’70 e ’80, che si trovano alle costole nuove leve sempre più digitalizzate. «Devono imparare in fretta — chiosa Casati — non ci sarà un big bang a tempi brevi ma se fossi un 40-45enne non spererei di cavarmela pensando di poter continuare come prima».
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