La necessità di apparire talvolta gioca brutti scherzi. E a rimetterci rischia di essere il rapporto di fiducia che lega, o per meglio dire dovrebbe legare, advisor e cliente.
Potrebbe apparire strano, ma un aiuto a capire l'evoluzione (e per contro la possibile involuzione) del mercato viene anche dalla comunicazione. In più di un'occasione, più che di fronte a comunicati stampa sembra di trovarsi dinanzi a manuali di dialettica di Ludwig Wittgenstein, uno dei più difficili interpreti di come il linguaggio traduca la realtà (o ciò che si ritiene tale). Altrimenti come potrebbero mai spiegarsi i rebus costruiti, talvolta consapevolmente e talvolta meno, da alcune insegne e dai loro comunicatori?
Le storture comunicative che attanagliano il mercato legale, rendendolo anche in questo senso un settore ancora immaturo, sono delle più varie. Avvocati che, anziché inviare note stampa, vestono i panni di Wikileaks, segnalando la notizia del loro coinvolgimento su un deal, ma suggerendo in tono cospiratorio di farlo apparire come un rumor. Che importa se, magari, è la società ad aver dato il veto sulla comunicazione dell'operazione.
E non è l'unico caso in cui i clienti sembrano essere un corollario alla notizia, anziché l'elemento principe. Non sono pochi, infatti, i comunicati stampa stoccati e replicati dagli studi per più operazioni, senza che emerga alcuna cura nella definizione dei servizi specifici tagliati ad hoc per andare incontro alle esigenze legate ai diversi clienti. C'è, poi, il sempreverde problema dell'assegnazione di un mandato, con studi che si contendono la consulenza alla stessa società. Problema che, negli ultimi giorni, si è risolto con la telefonata imbarazzata di una delle due parti, pronta dopo attente consultazioni ad ammettere di aver cannato il cliente.
A volte si tratta di errori fatti in buona fede. Altre volte, invece, sembrano rebus costruiti ad arte e risolvibili con l'utilizzo quasi aggressivo dello strumento della «precisazione»: in questo caso la partita si gioca sui dettagli formali delle operazioni e sui tecnicismi del linguaggio utilizzato per veicolare il mandato ottenuto su quelle operazioni.
Peccato che, in molti di questi casi, sempre più spesso sono le stesse aziende a intervenire per decretare la soluzione del rebus, dimostrando che i clienti sono evoluti anche dal punto di vista della comunicazione e spesso sono più attenti dei loro advisor. La vera domanda è: se l'obiettivo degli avvocati è quello di tornare ad essere percepiti come consiglieri delle aziende e non come tasselli perfettamente intercambiabili per ricomporre il puzzle dei costi, allora non è forse il caso di tornare alle origini dell'esistenza stessa della professione, vale a dire la tutela degli interessi dei clienti? E, a volte, tutelare il cliente significa anche mettere da parte la smania personalistica di apparire.
Maria Buonsanto
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