È tempo di bilanci. E quest’anno TopLegal ha scelto di affrontare in maniera inedita l’analisi annuale dei fatturati degli studi legali, prendendo in esame soltanto i dati forniti ufficialmente dalle insegne. Un cambiamento obbligato in un mercato come quello italiano, spesso in penombra informativa, che permette di realizzare un resoconto maggiormente attendibile del settore.
Questa nuova linea parte da un dato di fatto inconfutabile: oggi non è più possibile tradurre con precisione l’anatomia del mercato in cifre. I clienti hanno riscritto le regole del gioco e la variabilità è entrata prepotentemente nella dialettica advisorcliente. Sondando le politiche messe in atto dalle aziende si può avere reale contezza di quanto stia accadendo. Come si evince dall’indagine General Counsel Agenda 2014 (condotta dal Centro Studi TopLegal tra i direttori affari legali delle principali aziende operanti in Italia), la pressione consolidata e continuativa sulle fee da parte dei clienti è ormai un fattore determinante per gli affari legali. Sul versante dei ricavi, gli studi devono fare i conti con meccanismi variabili come success fee, abort fee e forfait, che hanno preso il posto della tariffazione oraria. Poiché la variabile tempo incide sempre meno nella definizione della parcellazione, le possibili equazioni in grado di portare gli analisti del settore alla determinazione dei fatturati delle insegne, sono venute meno.
Un’analisi attendibile del mercato, quindi, può basarsi unicamente su informazioni certe, per quanto parziali. Infatti, mentre quasi tutte le insegne hanno deciso di prendere parte all’indagine relativamente alla composizione delle squadre, il numero di quelle che ha comunicato i risultati d’esercizio si è ridotto. Tuttavia, dalla comparazione aggregata dei dati sui fatturati - forniti da un campione di 39 studi eterogenei per dimensioni, tipologia e mercato di riferimento (si veda tabella) – emerge che gli affari legali sono sostanzialmente in stallo.
Complessivamente nelle casse delle insegne censite dalla nostra ricerca si è registrato un incremento dello 0,9% rispetto all’esercizio precedente. Un risultato che arriva a fronte di un maggior contributo ai ricavi apportato dai soci: il fatturato per equity è infatti aumentato in media del’1,8%.
Ma la sfida più importante da fronteggiare per gli studi legali è quella della marginalità in calo; segno che gli studi starebbero mirando ad aumentare i fatturati piuttosto che spostare l’asse verso il valore aggiunto e una migliore profittabilità. Per le 23 insegne che hanno comunicato anche il dato relativo agli utili, il risultato aggregato indica una flessione del 6,1%. Con conseguenze inevitabili sul profit per equity partner ( Pep): la torta spartita in media dai soci si ferma a 450mila euro, segnando un calo del 5,8% rispetto all’anno precedente. Gli stessi soci che vedono ridistribuirsi a fine esercizio 450mila euro fatturano in media 980mila euro, ossia più del doppio.
Per le insegne che hanno dichiarato l’utile, non sono stati sufficienti a scongiurare la crisi i tentativi di ristrutturazione interna messi in campo per agire sul fronte dei costi e che hanno portato al progressivo decremento di professionisti e leva. D’altronde, in una congiuntura come quella attuale, in cui i mandati in grado di generare grandi valori sono insoliti, non può certo stupire che, mettendo i conti a nudo, gli studi mostrino risultati in sofferenza.
EQUITY AL TIMONE - DENTRO LA TL25
Per i primi 25 studi italiani l’imperativo è l’efficienza.
La ristrutturazione interna ha portato alla riduzione progressiva della leva, che nell’ultimo esercizio ha subito una flessione dal 1:4,6 al 1:4,2. I soci equity aumentano di numero e di peso: la variabile che conta di più è il fatturato per socio che registra punte di incremento superiori al 20%.
UN MERCATO CHE BARCOLLA - ANALISI DI CLUSTER
Scomposto e analizzato per cluster, il mercato è sostanzialmente in stallo. Gli studi italiani mid-tier mostrano sofferenza di risultati, a prescindere che operino in formato boutique o multipractce. A perdere maggiore terreno, però, sono gli inglesi. A dispetto di soci e professionisti più performanti.
Negli ultimi anni il mercato legale italiano è diventato uno scenario talmente composito da rendere inefficace qualunque analisi che prescinda da un’organizzazione delle insegne per cluster. Sulla base della tipologia, della clientela e del posizionamento degli studi si possono individuare quattro macro gruppi: gli studi italiani full service (a loro volta divisi in top- e mid-ter), gli studi internazionali (differenziati in inglesi e americani), le boutique (top- e mid tier) e le insegne monopractice (lavoro e fiscale).
Per i primi 25 studi italiani l’imperativo è l’efficienza.
La ristrutturazione interna ha portato alla riduzione progressiva della leva, che nell’ultimo esercizio ha subito una flessione dal 1:4,6 al 1:4,2. I soci equity aumentano di numero e di peso: la variabile che conta di più è il fatturato per socio che registra punte di incremento superiori al 20%.
Dal paniere dei primi 25 studi per fatturato (TL25), individuati per la prima volta nella classifica stilata dal Centro Studi TopLegal lo scorso anno, si nota immediatamente come sia in questa fetta di mercato che la chiarezza è ai minimi. Mentre quasi tutti i principali studi legali in Italia sono disposti a comunicare la composizione delle loro squadre, soltanto 8 insegne hanno reso noti gli incassi: Baker & McKenzie, Dla Piper, Hogan Lovells, Ls Lexjus Sinacta,Maisto e associati, Nctm, Pedersoli e associati e Tonucci & partners. Otto studi che, complessivamente, nel 2013 hanno generato un fatturato di 300,5 milioni di euro; sostanzialmente in stallo rispetto al 2012, quando i ricavi si erano fermati a 300,3 milioni.
Guardando le singole performance, la metà degli studi – Dla Piper, Maisto e associati, Ls Lexjus Sinacta e Hogan Lovells – ha dichiarato un fatturato in flessione. Là dove il segno rosso più evidente è stato segnato da Maisto, passato dai 36,2 milioni del 2012 ai 31 del 2013 (-14,4%). Una flessione fisiologica poiché, come lo stesso studio aveva sottolineato l’anno scorso, il 2012 aveva rappresentato un’annata eccezionale in cui aveva beneficiato della conclusione di alcune attività particolarmente significative relative ad operazioni straordinarie iniziate anche in anni precedenti. Nctm, Baker & McKenzie, Pedersoli e associati e Tonucci & partners hanno, invece, messo a segno un aumento dei fatturati, che oscilla dall’incremento dell’1,3% realizzato da Tonucci a quello dell’ 8% appannaggio di Baker.
Non è tanto sul fronte dei fatturati, ma su quello delle squadre che i numeri forniti dalla TL25 svelano particolare significatività, mettendo in luce come gli studi si stiano ristrutturando. Un dato su tutti: la leva, data dalla distribuzione tra numero complessivo di professionisti e soci equity, continua a ridursi. Rispetto al 2012 si è passati dal rapporto di 1 a 4,6 a quello di 1 a 4,2 (- 8,7%). E la forbice aumenta comparando i dati attuali a quelli forniti dalle insegne nel 2008, prima della crisi economica che ha ridelineato i contorni del mercato. Allora il rapporto era di 6,2 professionisti per ogni equity, quasi un terzo (32,2%) in più rispetto ad oggi.
La ristrutturazione coincide con un doppio movimento: da un lato diminuisce il numero complessivo dei professionisti (-5%), con gli associate passati dai 1.984 del 2012 ai 1.852 del 2013 (- 6,7%). Dall’altro aumenta, invece, il numero dei soci equity: nell’ultimo esercizio le insegne della TL25 hanno dichiarato di contare complessivamente 642 partner, contro i 624 dell’anno precedente, un aumento del 2,9%. La tendenza sembra abbastanza coerente con quanto più volte emerso dall’analisi del mercato: dato che per gli studi non è possibile fare i conti con ricavi certi, hanno cercato di intervenire sulle struttura interna per variabilizzare i costi fissi, diminuendo la parte fissa del compenso a vantaggio di quella legata alle performance individuali. Per questo motivo, dal 2008, la TL25 non ha smesso di decurtare le squadre. A pagare le conseguenze sono stati gli associate e i salary partner (v. box).
Lavorare sulle passività, però, da solo non basta. Così, alla ricerca di risultati migliori sul fronte dei ricavi, si allarga la partnership a chi ha dimostrato di essere in grado di generare business (in caso di promozioni interne) o a chi si spera che porti nuovi clienti (con la politica di lateral). Una scelta che si legge anche alla luce delle richieste dei clienti, sempre più inclini a volersi interfacciare con strutture leggere e direttamente con i partner. Però, l’allargamento della partnership senza un adeguato miglioramento degli utili è una politica rischiosa, che potrebbe esaurirsi nella mera erosione del profit per partner. Per capirlo basta analizzare i dati relativi agli studi della TL25 che hanno dichiarato performance positive.
Questi dati sono circoscritti, ma sollevano almeno un dubbio sull’opportunità di una politica che tenta di fare aumentare il fatturato dello studio tramite l’aumento del numero di soci equity. Nei quattro casi verificabili, il numero di equity è rimasto sostanzialmente uguale o solo leggermente variato, ma in tutti i quattro casi il fatturato per socio è aumentato: dal 23,8% di Tonucci al 3,4% di Nctm, passando per il 10,3% di Pedersoli e il 20% di Baker & McKenzie per una media del 6,3%. In questi casi, la variabile che sembra aver inciso in maniera più determinante è proprio la ricchezza prodotta dai soci esistenti.
Non è detto, però, che all’aumento dei fatturati complessivi e di quelli prodotti dai soci corrisponda anche un incremento degli utili, vale a dire la misura dell’effettiva capacità degli studi legali di generare margini. Infatti, nessuna delle insegne lo ha dichiarato. Ciò vuol dire che, se questi studi avessero seguito il trend generale di allargamento della partnership, i loro soci, pur producendo di più, avrebbero guadagnato meno di prima. E non bisogna dimenticare che la massimizzazione del Profit per partner (Pep) è il barometro che da sempre orienta le scelte dei singoli e di conseguenza determina la fortuna delle insegne come poli attrattivi di talento.
Tagliare i costi fissi e allargare la partnership senza aumentare l’utile, quindi, risulta controproducente. E per incrementare l’utile gli studi dovrebbero cominciare a ragionare sulla redditività e non sul fatturato, ripensando modello interno e servizi. Ma questo è un altro discorso.
UN MERCATO CHE BARCOLLA - ANALISI DI CLUSTER
Scomposto e analizzato per cluster, il mercato è sostanzialmente in stallo. Gli studi italiani mid-tier mostrano sofferenza di risultati, a prescindere che operino in formato boutique o multipractce. A perdere maggiore terreno, però, sono gli inglesi. A dispetto di soci e professionisti più performanti.
Negli ultimi anni il mercato legale italiano è diventato uno scenario talmente composito da rendere inefficace qualunque analisi che prescinda da un’organizzazione delle insegne per cluster. Sulla base della tipologia, della clientela e del posizionamento degli studi si possono individuare quattro macro gruppi: gli studi italiani full service (a loro volta divisi in top- e mid-ter), gli studi internazionali (differenziati in inglesi e americani), le boutique (top- e mid tier) e le insegne monopractice (lavoro e fiscale).
I dati su cui risulta più facile fare un’analisi sistemica sono quelli che riguardano le ristrutturazioni interne delle squadre. Gli studi che hanno fornito queste informazioni sono, infatti, più del doppio rispetto a quelli che hanno comunicato i risultati d’esercizio. Dai dati forniti, il mercato risulta quanto mai spaccato. I grandi studi fullservice italiani e gli inglesi, le cui politiche del passato avevano portato a un sovradimensionamento, sono alla ricerca di nuovi equilibri interni. E per tutti i raggruppamenti, il punto di equilibrio va in direzione di una progressiva riduzione della leva.
Passando all’analisi sui fatturati il campione si riduce, ma fornisce i dati più interessanti. Gli studi italiani di fascia media, tanto che operino come full service quanto con modello boutique, insieme agli inglesi registrano un sostanziale stallo, con leggeri decrementi alle entrate. I full service italiani mid-tier perdono lo 0,6%; mentre le boutique italiane mid-tier perdono il 2,9% rispetto all’anno fiscale precedente. A palesare una maggiore sofferenza sono gli internazionali inglesi che, a dispetto dell’aumento del fatturato prodotto dai singoli (soci e professionisti), hanno perso il 3,2% nell’ultimo anno fiscale.
Le insegne americane, le boutique top-tier e le insegne monopractice specializzate in lavoro, da un punto di vista di ristrutturazione interna, hanno scelto una politica diversa dai precedenti, ampliando il rapporto tra professionisti e soci equity. Curiosamente, sono proprio questi i tre cluster in cui si registra un aumento, seppur relativo, dei fatturati. Anche se, come evidenziato dal cluster degli studi monopractice lavoro – unico ad aver messo a segno una crescita a due cifre (13,5%) – i risultati positivi sembrano slegati dalla riorganizzazione interna. Infatti, i volumi di business generati nel 2013 sono stati in crescita a discapito di squadre che, numeri alla mano, risultano poco efficienti: il contributo di ogni singolo professionista al business ha registrato una flessione del 15,5%.
Mentre le squadre di corredo perdono di efficienza, aumenta la capacità di generare business dei soci. A differenza degli studi monopractice labour, gli specialisti del tax – pur continuando a giovare di un mercato favorevole – non padroneggiano più la classifica con una crescita a due cifre. Probabilmente anche a causa del rafforzamento delle compagini fiscali di molte insegne fullservice o boutique, i cui team tax sempre più di frequente compaiono come advisor fiscali delle operazioni. Con la conseguente presa di mano su una parte dei volumi legati alla practice che prima erano a totale appannaggio degli iperspecialisti.
Italiani full-service
Tutti gli studi italiani full service, a prescindere dal segmento di mercato e in linea con quanto registrato dall’indice TL25, sono alla ricerca di una maggiore efficienza. Questo assunto si evince dai cambiamenti di leva; ma con una differenza. Mentre nel toptier la leva si riduce non tanto per effetto dei tagli alle squadre di corredo, quanto per l’allargamento della partnership, nel mid-tier si è portata avanti una politica di tagli ai professionisti, facendo rimanere pressoché invariato il numero di equity.
Guardando nello specifico, i cinque studi che appartengono al cluster top-tier hanno visto una riduzione della leva con un rapporto soci/professionisti passato da 1 a 4,9 a 1 a 4,6. Il risultato è sostanzialmente frutto di una strategia di allargamento della partnership. Se le squadre hanno subito solo una leggera flessione, passando dai 1.115 professionisti del 2012 ai 1.094 del 2013, il numero di equity è salito da 226 a 236.
Tra gli studi di questo raggruppamento, solo Nctm ha reso noti i numeri degli affari, comunicando un fatturato in crescita del 5,6% (da 68 a 71,8 milioni). L’aumento, curiosamente, è frutto di una politica diametralmente opposta al cluster full-service top tier. Nctm ha registrato un aumento della leva – dal rapporto di 1 a 4,1 si è passati a quello di 1 a 4,82 – dovuta all’incremento del 19,2% dei professionisti e del 2,1% dei soci.
I 13 studi del cluster midtier, invece, complessivamente hanno registrato un decremento della leva più ampia: da 1 a 4,7 a 1 a 4,2, frutto della flessione dei professionisti (passati da 1.103 a 993) e del sostanziale stallo del numero di equity (passati da 235 a 236).
A rendere più facile la comprensione dell’impatto di queste scelte sul fatturato del cluster full-service mid-tier, il fatto che su 13 insegne ben otto hanno comunicato i risultati finanziari. Gli studi in esame hanno registrato un volume d’affari sostanzialmente in stallo rispetto all’anno fiscale 2012, passando dai 132,1 mln dell’anno precedente ai 131,3 del 2013. Dei risultati economici sostanzialmente identici sono stati ottenuti con squadre più snelle; si è passati da 717 professionisti a 682; mentre gli equity sono diminuiti da 177 a 173. Questa diminuzione significa che è aumentato il contributo apportato al business dai singoli, tanto dai professionisti (4%) quanto dai soci (1,7%).
Emergono dati interessanti nel paragone tra il top-tier e il mid-tier tra gli studi full-service italiani. Come Nctm, La Scala ha registrato la maggiore crescita in termini di volumi di affari (dell’ 8,1%), grazie a una politica di espansione della squadra. Lo studio ha segnato un incremento dei professionisti da 73 a 82, subendo l’uscita di un socio (da 8 a 7) e facendo levitare il rapporto equity/professionisti da 1 a 9,1 a 1 a 11,7.
In entrambi i casi, si potrebbe dedurre che un fatturato in aumento non corrisponda necessariamente ad un aumento di margini. Mettendo in relazione i fatturati al numero di professionisti e partner, la scelta di allargare le squadre risulta aver creato delle inefficienze rispetto al 2012 per Nctm e La Scala. In tutti e due i casi, è diminuito l’apporto al business dei professionisti ed è aumentato quello dei soci. In Nctm il fatturato prodotto da ogni singolo professionista è diminuito dell’11,4%; mentre quello prodotto dai soci è aumentato del 3,4%. In La Scala, invece, il fatturato per professionista e sceso del 3,8%, mentre quello per socio è aumentato del 23,5%. Nonostante l’aumento del fatturato, questi due studi risultano meno efficienti dell’anno fiscale precedente rispetto alle concrete esigenze del business. Salvo che, alla luce delle politiche di abbassamento delle tariffe, per fatturare quelle cifre, le due insegne abbiano dovuto generare un numero di mandati nettamente superiore rispetto al passato, dovendo procurarsi più braccia da mettere a lavoro. A discapito dell’efficienza.
Internazionali
Analizzando i dati relativi agli studi internazionali, l’approccio con cui si relazionano al mercato italiano è diverso a seconda che si tratti di law firm inglesi o americane. Le prime sembrano aver optato per una ristrutturazione delle squadre che ha diversi punti di contatto con quella intrapresa dai full service italiani top-tier, caratterizzata da una riduzione della leva. Negli americani, invece, la leva aumenta e a fare la differenza è la capacità di generare business dei soci.
I 10 studi che compongono il cluster degli internazionali inglesi si stanno ristrutturando in maniera molto simile agli italiani full-service top-tier, registrando una riduzione della leva, dovuta – più che alla diminuzione delle squadre (che complessivamente hanno perso soltanto 3 professionisti) – all’aumento dei partner (passati da 161 a 169).
Il nuovo assetto della leva ha trasformato queste insegne in macchine in cui i singoli componenti lavorano di più. Infatti, sul fronte fatturati, analizzando le prestazioni individuali (dei professionisti e dei soci) dei cinque studi che hanno comunicato i dati relativi al business, il fatturato medio apportato da ogni professionista è rimasto pressoché invariato (0,8%); mentre è leggermente aumentato (2,5%) quello generato dai soci.
Cumulativamente le cinque insegne hanno prodotto 111,2 milioni di euro, registrando una riduzione del 3,2% rispetto all’esercizio fiscale precedente. Tuttavia, a dispetto di un miglioramento delle singole prestazioni, a eccezione diOsborne Clarke (che ha aumentato le entrate di circa 100mila euro), gli altri –Dla Piper, Hogan Lovells, Simmons & Simmons e Withers – hanno segnato una flessione del fatturato. Per questi studi, il mercato italiano nel corso del 2013 sembra rivelatosi evidentemente meno redditizio. Pur aumentando gli sforzi singoli, i professionisti hanno finito per generare complessivamente meno valore.
I sette studi del cluster internazionali americani, all’opposto degli inglesi, hanno segnato un incremento della leva, dovuto all’aumento dei professionisti del 6,8% (passati da 309 a 330). In termini di fatturato, in maniera circoscritta ai soli due studi che hanno reso noti i dati – Baker & McKenzie e Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle –, il cluster ha registrato un incremento del 7,3%, passando dai 47,5 milioni prodotti nel 2012 ai 50,9 del 2013. Il risultato, stando ai dati comunicati, sembra dovuto sostanzialmente all’aumento del fatturato generato dai soci, cresciuto più del 16%. Come già evidenziato dall’indice TL25 e dall’analisi dei cluster full service italiani, top e mid-tier, per arrivare a risultati positivi si è rivelato decisivo l’incremento del contributo dei soci al fatturato. La prova del nove è data dallo studio che ha ottenuto i risultati migliori, Baker & McKenzie. Nonostante sia l’unica law firm americana in cui è stata registrata una diminuzione dei soci (da 20 a 18), l’insegna ha aumentato il fatturato dell’8%, proprio grazie a un incremento del 20% delle entrate prodotte in media da ogni socio.
Italiani boutique
Analizzando i dati relativi a tutte le boutique che hanno fornito le informazioni riguardanti la composizione delle squadre, emerge che, mentre gli studi italiani full service a prescindere dal mercato di riferimento stanno riducendo la leva, le boutique italiane crescono, soprattutto nelle squadre di corredo. Sia nella fascia alta che nella fascia media, i professionisti aumentano in percentuali superiori al 15%. E con i professionisti, si allarga anche la partnership. Soprattutto nel mid-tier, dove si registra un incremento dei soci del 23%. Dai dati raccolti si evince che questa politica espansionistica del mid-tier, oltre ad aver reso le strutture meno efficienti, non ha premiato in termini di fatturato, che ha registrato una flessione sia nelle prestazioni dei singoli sia in termini di entrate complessive.
I cinque studi che compongono il cluster delle boutique top-tier, al pari degli internazionali statunitensi, hanno puntato sull’ampliamento della leva, dovuta alla crescita delle squadre. Per i cinque studi la leva nell’ultimo anno risulta aumentata da 1 a 4,9 a 1 a 5,3. Un risultato dovuto soprattutto all’incremento dei professionisti, che sfiora il 18% (da 282 a 332). La leva risulta in ascesa anche se dal cluster si scorporano i dati sulle squadre forniti da Gattai Minoli & partners, studio per il quale non si hanno le informazioni relative all’anno fiscale 2012. Passando all’analisi dei dati forniti solo da quelle insegne che hanno comunicato anche i fatturati, Grimaldi e Pedersoli, si riscontra lo stesso incremento di leva e professionisti. In particolare Grimaldi, che dopo la fusione con i professionisti di Dewey & LeBoeuf ha visto un aumento della compagine di ben il 40%. Da un punto di vista di fatturati, stando ai dati forniti, le scelte sembrano pagare. Grimaldi ha registrato il 9,5% in più delle entrate rispetto al 2012. Mentre Pedersoli ha messo a segno un più 4,8%.
Curiosamente, per questi due studi si è verificata la circostanza esattamente opposta a quella riscontrata nelle insegne inglesi. Mentre queste ultime hanno registrato una flessione del fatturato, a dispetto di migliori prestazioni individuali, nelle boutique top-tier aumenta il fatturato complessivo ma diminuiscono quelli prodotti individualmente. Segno, forse, che i due studi hanno saputo posizionarsi nel 2013 sulla parte alta della curva del valore, intercettando mandati più remunerativi.
Le scelte fatte dalle boutique mid-tier non sono state altrettanto premianti. Su otto insegne che hanno comunicato i risultati finanziari, ben sei hanno subito una flessione. Fanno eccezione Castaldi Mourre (2,9% in più corrispondente a circa 250mila euro) e Munari Cavani, che ha dichiarato gli stessi incassi dell’anno precedente (4,2 milioni). Il dato in cui si registra il maggiore scollamento tra scelte fatte e risultati attesi è quello relativo alla partnership. Infatti, mentre il numero equity delle insegne appartenenti al cluster che hanno comunicato anche i dati finanziari è aumentato dell’8,9%, il fatturato prodotto in media da ogni socio è diminuito del 10,8%, passando da 1,6 milioni a 0,94. Ancora una volta, quindi, la fortuna economica di un cluster si lega alla capacità di generare business dei soci. In questo caso, però, in termini negativi.
I monopractice
Dopo un 2012 che le aveva viste sul podio per profitti, marginalità e profit per partner – dominando anche la classifica di crescita per volumi – le boutique fiscali nel 2013 hanno rallentato i tassi di crescita. Al contrario, gli studi specializzati nel lavoro sembrano ancora giovare di condizioni di mercato favorevoli.
Anche nel 2013 – è il caso di dirlo – per le realtà monopractice attive nel labour non è mancato il lavoro. Tutte le quattro insegne che hanno comunicato i dati finanziari – Daverio & Florio, Salonia, Toffoletto De Luca Tamajo e Tosi – hanno visto crescere i loro affari, fino ad arrivare al risultato sorprendente di Tosi, passato dai 3,4 milioni del 2012 ai 6,20 del 2013, con una crescita superiore all’ 80%. Anche estrapolando questo dato eccezionale dal cluster, si registra un aumento medio delle entrate del 13,5%. Da un punto di vista strutturale, sono cresciuti sia i partner che i professionisti. E con essi la leva, aumentata da 1 a 2,4 a 1 a 2,8. All’aumento dei professionisti, tuttavia, non è seguito di pari passo un incremento del fatturato, sceso in media del 15,5%. Si riconferma dominante, invece, l’apporto dei soci, il cui fatturato medio è salito del 7,4%.
I tre studi attivi nel tax che hanno comunicato i dati sono Giulio Andreani, Maistoe Russo de Rosa. Dopo un 2012 in cui queste insegne avevano messo in pancia un aumento del fatturato superiore al 20% rispetto al 2011, nel 2013 complessivamente hanno fatto un passo indietro, stanziandosi su 43,5 milioni di fatturato (-3%). All’interno del gruppo, tuttavia, non c’è omogeneità di risultati. Il dato, infatti, è fuorviato dal calo del fatturato di Maisto (-14,4%). Una flessione, tuttavia, attesa e che non denuncia sofferenza di risultati. Infatti, come aveva comunicato lo stesso studio, l’anno fiscale 2012 aveva rappresentato una chiusura «eccezionale» dovuta ad una serie di contingenze. Andreani e Russo de Rosa, invece, incrementano le entrate: Andreani passa dai 4,9 milioni fatturati nel 2012 a 5,3; mentre Russo de Rosa da 6,7 sale a 7,2.
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