Chi, o meglio, cosa è l’avvocato oggi? La domanda ricorre insistentemente dacché definire le caratteristiche che possono dirsi proprie della professione forense non è affatto scontato. L’interrogativo in passato è stato quasi una prerogativa del mondo forense istituzionale di fronte alla necessità di giustificare diritti e privilegi della categoria. In questa prospettiva, la ragion d’essere della professione starebbe nella sua indipendenza, autonomia, competenza e correttezza deontologica, come indicava nel suo libro “L’Avvocato” pubblicato nel 2005 dall’ex presidente del Cnf Guido Alpa.
In realtà le qualità intellettuali individuate da Alpa potrebbero contraddistinguere le attività di qualsiasi professionista, avvocato, medico, ingegnere, architetto o assistente sociale che sia. Per lo stesso motivo non aiuterebbe invocare nemmeno il codice deontologico forense. L’autoregolamentazione non instaura una distinzione tra le diverse professioni ma solo tra l’etica professionale e l’etica generale. Il codice deontologico serve quindi per differenziare la categoria dei professionisti da coloro ai quali, appunto, è destinata l’attività professionale.
Come centrare allora la vera essenza dell’avvocato? Rimarrebbero i contenuti specifici del sapere tecnico-legale. Ma anche qui i confini sembrerebbero labili. Basti considerare che il ddl Concorrenza presentato dal governo Renzi riconosce gli avvocati in quanto tali esclusivamente nell’ambito giudiziale. Fuori da quell’ambito il mercato delle competenze, almeno in teoria, rimane libero.
Senza velleità di individuare l’assoluta quintessenza dell’avvocato, il nuovo libro “Professione: avvocato” a cura di Alessandro Barzaghi e Lia Campione propone alcune nuove prospettive sulla professione per ritrarre le sue caratteristiche più attuali. A questa opera collettiva hanno contribuito 17 avvocati diversi, ciascuno dei quali è stato invitato a raccontarsi attraverso un singolo attributo. La somma di questi autoritratti ci fornisce una vera antropologia dell’avvocato italiano.
Dall’insieme delle testimonianze colpisce principalmente la spiccata curiosità per le cose umane e la ferma convinzione del loro valore intrinseco. Più che semplice detentrice di un sapere tecnico, la professione legale viene ricondotta al soggetto umano che la esercita. In questa ottica emerge anche la consapevolezza di alcuni pericoli. In primis, il condizionamento dalla pura logica economica del mercato che, assolutizzando il criterio dell’efficienza economica nel valutare la prestazione professionale, potrebbe far passare in secondo piano l’eccellenza professionale e la relazione personale con il cliente. Questo apporto personale, secondo le percezioni di alcuni autori, rischierebbe di essere sminuito anche dai vincoli delle logiche organizzative e burocratiche dei grandi studi legali.
Vi è inoltre una distinzione chiave su base generazionale, indice forse di una coscienza professionale in via di mutamento. I professionisti di lungo corso tendono a prediligere una visione che potremmo caratterizzare come la rivincita della saggezza umanistica contro gli “specialisti senza intelligenza” per citare Weber. Tra i più giovani invece spicca un’ottica molto diversa che mette al centro delle sue riflessioni l’esaltazione delle capacità non cognitive come, per esempio, l’ascolto e l’empatia. Questa interpretazione piuttosto “personalistica” (per non dire soggettiva) del ruolo dell’avvocato non può prescindere dalla vicinanza al cliente-interlocutore.
Alla domanda precisa “Qual è la qualità principale che ritiene necessaria per un buon avvocato?” le risposte si dividono anche esse in due categorie. Premesso che non sempre si distingue fra qualità, capacità, atteggiamenti e principi che guidano l’attività professionale, si nota che da una parte vengono raccontate ed esaminate le qualità nel senso antico di virtù o eccellenze; dall’altra e in netta minoranza i doveri, i principi e le regole etiche.
Tra le qualità intellettuali vi sono duttilità del pensiero, intuizione, curiosità, apertura e flessibilità mentre alcune qualità morali proposte sono disposizioni e virtù assai lontane dall’orizzonte secolare come pazienza e umiltà che si ispirano a valori piuttosto cristiani. Nella categoria dei doveri di conformità troviamo rettitudine, rispetto e riservatezza, quest’ultima molto ricorrente come riferimento etico della professione. Altri attributi, quali la capacità di integrare l’insieme delle capacità razionali e sensibili, la cosiddetta “globalità” dell’avvocato, le riassumerebbero tutte.
Se uno o più di questi aspetti siano in grado di restituirci la distintività della professione sembra opinabile. Forse non si tratta di individuarne le qualità ma piuttosto l’ambito proprio in cui l’avvocato è chiamato a muoversi. Forse, come suggeriscono le importanti analisi alla fine del libro, l’essenza risiederebbe piuttosto nelle tensioni e contraddizioni per le quali si rischia sempre di peccare o per eccesso o per difetto: tra obbligo di fedeltà verso l’assistito e dovere di verità; tra difesa degli interessi particolari e funzione sociale; tra denaro e onestà intellettuale. Chiamatela la virtù della via mediana.
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