Management

Covid19 e la criticità congenita degli studi legali associati

La mancanza di norme ad hoc rappresenta un ulteriore ostacolo per gestire le insegne legali in questa particolare congiuntura economica

07-04-2020

Covid19 e la criticità congenita degli studi legali associati

 

Taglio dei costi, squadre più snelle e accensione di linee di credito per sostenere la produttività. Per gli studi legali le strategie da adottare per far fronte all’eccezionalità di questo particolare momento congiunturale dovuto alla pandemia del covid19 non sarebbero poi così diverse da quelle adottate da altre aziende di servizi.

Gli attrezzi a disposizione dei managing partner però sono di meno rispetto a quelli in mano a un manager o a un imprenditore. Per dirne uno dei più evidenti, gli studi non possono ricorrere agli ammortizzatori sociali. Si è provato a capire in queste settimane se poteva applicarsi la cassa d’integrazione in deroga. Ma per legge, come tutti sanno, esiste un’incompatibilità fra l’esercizio della professione forense e il lavoro subordinato. Questa criticità congenita del comparto rischia di creare ulteriori difficoltà alla difficoltà di fare affari in periodi di forte recessione.

Fatta eccezione per le piccole boutique, molte delle quali a conduzione familiare, nella maggior parte delle insegne, soprattutto in quelle medio-grandi, lavorano poche decine di equity partner coadiuvati da un esercito di professionisti, che possono arrivare anche a superare le centinaia. Sono i vari salary partner, counsel e associate. Liberi professionisti, ma solo sulla carta. In pratica, esercitano la professione legale avendo come unico cliente lo studio.

Cassa forense il 2 aprile ha adottato misure assistenziali straordinarie per il supporto della professione, che comprendono contributi per canoni di locazione e convenzioni per accesso al credito agevolato con alcune banche. I provvedimenti, tuttavia, hanno una portata economica limitata e sembrano tarati più sulla professione a livello locale che non pensate specificatamente per la realtà degli studi d'affari, nonostante dai "mono committenti", come ricordato di recente da Asla, l'associazione degli studi legali associati, arrivino ben oltre l’80% dei contributi annui.  

I managing partner, insomma, si trovano a gestire, per livelli di fatturato e numero di risorse umane gestite, realtà paragonabili a piccole e medie imprese. Pagano persino le stesse imposte, senza però avere la possibilità di ricorrere agli stessi strumenti che in altri settori si utilizzano per affrontare momenti critici sul mercato e tutto ciò che ne consegue, dal rinvio dei pagamenti alle difficoltà a trovare nuovi mandati.

Un discorso che vale anche per chi si trova a gestire realtà che fanno parte di network internazionali, che potrebbero ritrovarsi, inoltre, a gestire decisioni prese a New York o a Londra per affrontare questa crisi. È il caso del taglio ai compensi dei partner, anche a doppia cifra a seconda delle previsioni di fatturato della firm, come riportato dalla stampa anglosassone di settore.

Così, escluso il palliativo posto in essere dalla cassa di categoria, il costo per tutelare i collaboratori e mantenere l’organizzazione ricade interamente sulle casse dello studio. E cioè direttamente sulle tasche dei soci. Per un mese è un onere sostenibile. Forse anche per due, ma non se l’emergenza e l’incertezza dovessero protrarsi ancora a lungo. Senza contare che l'impatto del "lockdown" sul fatturato delle imprese, e quindi sul budget a disposizione per i servizi di consulenza per il prossimo anno, si vedrà a partire dalla fine dell'estate.

La rotta che prenderanno gli studi dipenderà, quindi, dalla lungimiranza che avranno i soci nel vedere gli sviluppi del mercato, e anche dal loro affiatamento. Saranno loro, infatti, a decidere se mantenere lo status quo, incluso il numero di professionisti in squadra, o se è il caso di potare sin da subito i rami secchi, tenendo però ben strette le competenze necessarie a presidiare il business dello studio.


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