Il 25 febbraio, il Gruppo d’azione finanziaria (Gafi) – organismo internazionale che si occupa del coordinamento delle politiche per la lotta al riciclaggio – ha valutato positivamente il sistema di lotta al riciclaggio adottato dall’Italia a seguito delle misure introdotte con il recepimento della IV direttiva Ue. Ciò che – almeno in un primo momento – è passato mediaticamente più in sordina, è che ben due pagine del report Gafi sono state dedicate alle best practice da adottare in tema di criptovalute. La raccomandazione ai paesi membri del Gruppo è stata chiara: è necessario regolamentare il settore.
Secondo il Gafi, dovrebbe essere istituito un registro dei soggetti – siano essi persone fisiche o entità giuridiche – che eroghino servizi di criptovalute. Le misure devono intendersi applicate ai cosiddetti Vasp (virtual assets and virtual asset service providers), i fornitori di servizi di asset virtuali. Più precisamente, nel documento si richiede ai paesi membri di prevedere le necessarie misure legali o regolamentari: «I paesi dovrebbero agire per identificare le persone fisiche o giuridiche che svolgono attività Vasp senza la necessaria licenza o registrazione e applicare sanzioni appropriate».
Alla stessa conclusione è giunta anche la V direttiva europea antiriciclaggio, che dovrà essere recepita entro il 10 gennaio 2020. Anch’essa sottolinea che i Vasp devono essere soggetti a vigilanza e possono essere sanzionati.
Ma come si pone l’Italia? Secondo il vice direttore generale di Unione Fiduciaria, Fabrizio Vedana, intervenuto lo scorso 26 febbraio al convegno promosso da La Scala “Il futuro delle criptovalute”, «si tratta di uno di quei casi in cui, in realtà, l’Italia è avanti rispetto all’Europa. Infatti, già con il decreto 90/2017 è stata recepita da un punto di vista normativo la definizione di valuta virtuale fornita dall’Eba nel 2015 ed è stato specificato che gli exchange provider hanno obblighi antiriciclaggio come le banche». La stessa Banca d’Italia, come richiamato da Vedana, «non si è mai risparmiata nel dare avvertenze verso gli intermediari, raccomandando alle banche di attenzionare tutti i bonifici che riportassero in causale il riferimento alle criptovalute». Sempre in Italia, si è mosso anche il Notariato – ai notai infatti spettano obblighi di verifica antiriciclaggio -, vietando il pagamento di compravendite immobiliari in criptovalute.
Il tema dell’antiriciclaggio, con la conseguente necessità di regolamentare le transazioni in criptovalute, scopre il fianco a un’altra questione calda legata al dibattito sulle valute virtuali: la disintermediazione. Come sottolinea Francesco Rampone, presidente della neocostituita associazione Blockchain Italia, «con le criptovalute si è attuato un percorso di disintermediazione. Si tratta di un sistema distribuito di transazioni in cui il creditore è il possessore della chiave privata che sblocca certe transazioni, mentre il debitore è la comunità dei nodi che emettono la criptovaluta». In via teorica, attraverso questo sistema, si dovrebbe avere una disintermediazione dallo Stato e dalle sue autorità centrali. Ma è veramente così?
Sabrina Galmarini, partner di La Scala, sottolinea che «le autorità di vigilanza negli anni hanno man mano stretto le maglie, iniziando a differenziare con precisione quando la criptovaluta è da intendersi come forma di pagamento da quando, invece, debba intendersi come forma di investimento. Fino a giungere al 2019, quando l’Eba afferma che anche i soggetti emittenti di moneta elettronica devono essere considerati intermediari. E, quindi, devono essere autorizzati».
Lo stesso indirizzo è stato preso anche in materia fiscale. Come riportato da Daniele Majorana, partner di Fantozzi, «le criptovalute sono equiparate a valute estere: non c’è imposizione fiscale quando avviene uno scambio di valute. Invece, quando c’è finalità speculativa, l’operazione è soggetta a tassazione. Inoltre, in tema di monitoraggio fiscale, l’Agenzia delle entrate ha stabilito che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il quadro Rw (un particolare quadro della dichiarazione dei redditi che persone fisiche residenti fiscalmente in Italia, le società semplici e gli enti non commerciali che detengono investimenti patrimoniali all’estero, o attività finanziarie suscettibili di produrre reddito in Italia devono compilare)».
Ciò condurrebbe, secondo Majorana, al “paradosso della criptovaluta”: anche per operare con criptovalute bisogna agire in un quadro sempre più regolamentato, mentre una delle finalità con cui nascono le valute virtuali è proprio quella di disintermediarsi dal Regolatore.
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