Il prossimo Corporate Counsel Forum, organizzato da TopLegal il 3 luglio, avrà come tema «il nuovo ruolo strategico del General Counsel», ossia la sua trasformazione da da business consultant a business partner. Si vuole così cogliere l’occasione di un incontro istituzionale per riflettere su come si stiano ridefinendo i rapporti all’interno dell’azienda. Il punto nodale di questa evoluzione si può delineare con facilità: come mediare interessi legali e commerciali per aumentare la collaborazione tra direzioni (spesso in antitesi) fornendo un contributo diretto al business.
Troppo spesso, la direzione legale è percepita come un male necessario, un ostacolo ai progetti e processi di sviluppo. Per questo spesso relegata ai margini del processo decisionale finché non sia proprio indispensabile ricorrere al parere legale. Ma non solo. L’eccessiva burocrazia nonché l’appesantimento regolamentare in certi settori contribuiscono come pesanti fattori esogeni ad avallare questa tendenza, a non far percepire ed emergere il valore aggiunto del giurista d’impresa.
Negli ultimi anni, la crisi finanziaria e gli scandali societari hanno richiamato l’attenzione anche sugli enormi rischi che il mancato o tardivo coinvolgimento del General counsel può comportare. Non si può più prescindere dalla prevenzione dei rischi, sin dall’inizio, in tutti i progetti strategici dell’azienda. Questo imperativo mette d’accordo tutti i direttori legali, come ha dimostrato il recente General Counsel Agenda, l’indagine condotta dal Centro Studi TopLegal su oltre 80 direzioni affari legali.
Ciononostante, rimane una importante partita aperta all’interno delle direzioni legali. Vi è chi vede la necessità di allargare il ruolo del Gc, e chi ritiene opportuno, al contrario, un rafforzamento dell’identità originale da giurista. I primi spingono verso un ruolo maggiormente commerciale nella vita aziendale per conquistare peso e credibilità, e di conseguenza, passare da freno allo sviluppo ad alleato strategico. I secondi sottolineano la tensione tra velocità e spinta innovativa degli affari e il conservatorismo del diritto, insistendo che il giurista, per formazione e cultura, è poco intenditore del rischio imprenditoriale e debba quindi limitarsi a valutare esclusivamente il rischio legale.
Eppure queste visioni contrastanti possono essere attenuate; il confine tra attività di consulenza e partecipazione al business è molto più labile di quanto non si possa pensare. Lo dimostra il fatto che il ruolo strategico del General counsel è del tutto intrinseco nei settori altamente regolamentati – farmaceutico, telecomunicazioni, finanziario – in cui vi è una sovrapposizione inevitabile tra pianificazione legale e quella strategica di business. In questi casi, la capacità di identificare, valutare e mitigare i rischi legali nell’ottica della più ampia gestione dei rischi operativi conferma che gli imperativi normativi possono e devono occuparsi delle prospettive commerciali. In questa ottica, ogni presunta tensione fra diritto e affari viene meno.