Compliance

Da mitigazione a strumento premiale

Superando il mero adempimento burocratico, il Rating di Legalità crea un sistema di premialità per le imprese che si allineano ai più elevati standard etico-sociali

17-05-2015

Da mitigazione a strumento premiale

In ambito aziendale con l'acronimo Grc si fa riferimento alle pratiche integra­te relative a Governance, risk (management) e compliance. Tre aree comprese tradizional­mente sotto lo stesso ombrello e destinate alla creazione di efficienza, trasparenza e condi­visione di informazioni orientate a un miglior raggiungimento degli obiettivi aziendali. Sotto questo approccio il rischio è considerato un aspetto in sé prettamente negativo e il compor­tamento indicato come preferenziale è quello reattivo o meglio preventivo, partendo dalla modellizzazione per anticipare le possibili cri­ticità sopravvenienti, facendo seguire una veri­fica ex post che quasi mai si traduce in una per­fetta aderenza con quanto immaginato. Il lega­me tra rischio e strategia è infatti più stretto di quanto si possa immaginare, e le turbolenze che hanno investito tutti i mercati negli ultimi anni hanno reso più chiaro ad alcuni operato­ri economici che il rischio non è un ostacolo quanto piuttosto un aspetto che nella sua po­livalenza può contribuire ad affrontare le sfide del mercato con maggiore sicurezza.

All’atto pratico, utilizzando un approccio olistico, ciò si traduce nel riportare il « locus of control » degli affari all’interno, cercando di di­pendere sempre meno dalle contingenze esterne e, anzi, in qualche misura perfino condizionan­dole. L’aderenza alle norme di compliance, per esempio, può essere vissuta dalle aziende in una duplice ottica: come mero adempimento buro­cratico a regole prescritte e controllate da altri (il legislatore, le autorità di vigilanza, ecc.), oppure in maniera attiva e consapevole che tali pratiche non siano solo maquillage ma che possano dare una mano a migliorare l’immagine dell’impresa e le sue performance economiche e finanziarie. Nel primo caso il management le vive come una sovrastruttura nell’organizzazione aziendale, nella migliore delle ipotesi come un inutile or­pello o addirittura, nella peggiore, come un osta­colo stesso alla visione di sviluppo del business da parte del management. Senza nascondersi dietro un dito, è senz’altro questa la visione che ha dominato finora nel panorama italiano, e per tale motivo la logica adottata dalle istituzioni pubbliche è stata finora quella punitiva.

Emblematica su questo aspetto è la vicenda del Rating di Legalità. Lanciato nel 2012 come strumento di diffusione della coscienza civi­ca e della responsabilità sociale, ha preso in breve tempo, nell’immaginario collettivo, le sembianze di fedina penale. Pertanto questa iniziativa non ha avuto grande successo e il nu­mero di aziende che hanno deciso di sottoporsi a valutazione (spontanea) è stato esiguo, nono­stante i numeri sbandierati recentemente con soddisfazione dal Presidente Agcm Giovanni Pitruzzella. Tuttavia è stato proprio l’interven­to dell’Antitrust lo scorso autunno a dare un segnale ancora più chiaro sulla filosofia sottesa a questa impostazione. L’Autorità garante della Concorrenza ha infatti sottoposto a (una bre­vissima) consultazione pubblica la decisione di allargare di otto nuovi reati lo spettro di quelli incidenti sul rating stesso, lasciando inevasa la domanda di incentivi allo sviluppo di tali prati­che. Secondo gli operatori la possibilità di usu­fruire di vantaggi a fronte dello sviluppo della governance e della compliance darebbe invece una spinta decisiva alla diffusione di una diver­sa consapevolezza su questi argomenti.

E qui arriviamo al secondo punto, vale a dire, l’atteggiamento proattivo rispetto al control­lo degli indicatori relativi a queste aree. Ne è convinto, tra gli altri, anche Agostino Nuzzolo, General counsel e tax and compliance director di Italcementi, che si è speso su questo aspet­to all’interno della multinazionale bergamasca. « La governance e la compliance », afferma Nuz­zolo, « possono essere moltiplicatori del risul­tato aziendale, migliorando la marginalità e il posizionamento sul mercato ». Si tratta di una logica del fare business molto diversa dal pas­sato, quando il risultato economico e la soddi­sfazione degli azionisti quasi dovevano arrivare “nonostante” il rispetto delle norme e delle leggi. Volendo aggiornare la sigla Grc potremmo sosti­tuire « Risk » con « Rewarding » ( premiante): l’at­tenzione a questi aspetti non è un mero costo ma è potenzialmente generatrice di ricavi.

Al momento, però, la ricaduta lato fatturato non è sempre concretamente tangibile: que­sta prospettiva, per diventare effettiva, deve essere riconosciuta dal mercato. E sebbene la sensibilità in tal senso stia crescendo sempre di più, gli effetti benefici si registrano sulla brand equity e soprattutto – ed è questo forse l’aspetto che solleticherà e sorprenderà di più l’interesse dei manager meno visionari – sul lato costi. Attuare buone pratiche di gover­nance e compliance comporta di sicuro una spesa, ma in molti casi è inferiore agli stessi costi che è in grado di comprimere. È di nuovo Italcementi a portare la sua testimonianza in tal senso: « Essere nella White List e avere il massimo del Rating di Legalità ci ha permesso di ridurre la necessità di tante certificazioni e contestualmente di tagliare sensibilmente i costi amministrativi e burocratici », spiega Nuzzolo. Che conferma, comunque, che gli incentivi al momento sono limitati e non in grado di generare fenomeni di emulazione.

Le cose potrebbero cambiare con un’azione incisiva da parte del Pubblico, per esempio favorendo ulteriormente le semplificazioni amministrative, conferendo vantaggi rispetto alla partecipazione a gare pubbliche (concetto spesso ribadito anche dal presidente dell’Au­torità nazionale anticorruzione, Raffaele Can­tone) e magari – in particolare per le aziende di dimensioni minori – attraverso agevolazio­ni come il credito fiscale. Quest’ultima misura potrebbe essere tanto più interessante se pen­siamo che tra le società di una certa dimensio­ne come le quotate l’importanza dell’operare in maniera etica sia più diffusa, in quanto la maggiore visibilità può generare contraccolpi ben più vigorosi e rumorosi in occasioni criti­che. E il mondo finanziario e bancario, passa­to attraverso uno scandalo dopo l’altro negli ultimi anni, ne sa qualcosa, avendo forse più di tutti gli altri settori fatto attenzione a rin­novarsi per riacquistare credibilità.

Per quanto riguarda il Rating di Legalità, però, alcune critiche sulla reale efficacia e por­tata di questo strumento sono state avanzate rispetto ai vincoli previsti per il suo rilascio, primo fra tutti proprio il discrimine dimensio­nale. Per poter entrare nel circuito del Rating si ha bisogno di un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno pre­cedente alla richiesta. Il fondato sospetto è che tali stringenti limitazioni siano state introdot­te per ridurre al massimo il numero di prati­che e non gravare in quanto a mole di lavoro sulle asfittiche amministrazioni pubbliche. Un motivo che rende spuntata la battaglia di le­galità, che fa rinsaldare l’idea che l’approccio orientato al controllo sia perdente, e che invece funzionerebbe a livello sistemico un metodo condiviso e cooperativo. Un esempio in que­sto senso è stato sviluppato a livello europeo e potrebbe senz’altro ispirare anche il nostro legislatore: stiamo parlando dell’« Operatore economico autorizzato » ( Authorised economic operator, ovvero Aeo), una qualifica rilasciata dall’Ufficio delle Dogane e rivolta alla catena di approvvigionamento internazionale ( pro­duttori, esportatori, speditori/ imprese di spe­dizione, depositari, agenti doganali, vettori, importatori) che si qualificano positivamente rispetto agli altri operatori, in quanto ritenuti affidabili e sicuri. Tale certificazione, una volta rilasciata, assume validità su tutto il territorio doganale e permette vantaggi quali: riduzioni dei controlli; semplificazioni doganali e mag­giore velocità nelle operazioni; e mutuo ricono­scimento con altri programmi di Paesi terzi. In altre parole migliora le relazioni con le autori­tà, offrendo benefici a entrambe le parti.

Nel nostro Paese i controllati e i controllori si parlano poco, non riuscendo a intravedere i benefici di tale dialogo ma guardandosi in ma­niera sospettosa. È la fiducia, invece, il punto da cui ripartire, e guardare a una logica coope­rativa può fare la differenza. Anche in termini economici e finanziari.

Il tema della compliance premiante sarà ogget­to di una tavola rotonda prevista per il prossimo TopLegal Corporate Counsel Forum che si terrà l’ 8 luglio a Palazzo Mezzanotte di Milano in oc­casione della III edizione dei TopLegal Corporate Counsel Awards. 


Rating di legaltà: come funziona

Il rating di legalità è entrato in vigore il 2 gennaio 2013 e costituisce uno strumento di promozione della legalità e di principi etici al fine di elevare la sicurezza e la concorrenzialità nelle attività econo­miche. Il Rating è attribuito dall’Agcm sulla base delle autodichiarazioni delle aziende. Per poter avanzare la richiesta di attribu­zione del rating bisogna: avere sede opera­tiva nel territorio nazionale; aver raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno prece­dente; e risultare, alla data della richiesta del Rating, iscritta nel registro delle imprese da almeno due anni. Per ottenere il rating mi­nimo (una stella) occorre l’assenza di misure di prevenzione e cautelari personali o patri­moniali per gli amministratori e soci (oppu­re l’assenza di provvedimenti di condanna dell’Autorità e della Commissione europea per illeciti antitrust), l’assenza di provvedi­menti per mancato rispetto delle leggi sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e la mancanza di violazioni in materia retributiva, contributiva, assicurativi e fisca­li. Per salire alla valutazione massima (tre stelle) si richiede il possesso di altri requisiti, tra cui il possesso di un organo di controllo efficace ai sensi della 231, la presenza di si­stemi di Csr e l’adesione a codici etici di ca­tegoria. Il Rating ha una durata di due anni ed è rinnovabile. In caso di perdita di uno dei requisiti base l’Autorità ne dispone la revoca, mentre se vengono meno i requisiti grazie ai quali l’azienda ha ottenuto un rating più alto viene ridotto il numero di stellette. L’elenco delle aziende e il rating relativo è disponibile sul sito sul sito dell’Agcm.


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