In ambito aziendale con l'acronimo Grc si fa riferimento alle pratiche integrate relative a Governance, risk (management) e compliance. Tre aree comprese tradizionalmente sotto lo stesso ombrello e destinate alla creazione di efficienza, trasparenza e condivisione di informazioni orientate a un miglior raggiungimento degli obiettivi aziendali. Sotto questo approccio il rischio è considerato un aspetto in sé prettamente negativo e il comportamento indicato come preferenziale è quello reattivo o meglio preventivo, partendo dalla modellizzazione per anticipare le possibili criticità sopravvenienti, facendo seguire una verifica ex post che quasi mai si traduce in una perfetta aderenza con quanto immaginato. Il legame tra rischio e strategia è infatti più stretto di quanto si possa immaginare, e le turbolenze che hanno investito tutti i mercati negli ultimi anni hanno reso più chiaro ad alcuni operatori economici che il rischio non è un ostacolo quanto piuttosto un aspetto che nella sua polivalenza può contribuire ad affrontare le sfide del mercato con maggiore sicurezza.
All’atto pratico, utilizzando un approccio olistico, ciò si traduce nel riportare il « locus of control » degli affari all’interno, cercando di dipendere sempre meno dalle contingenze esterne e, anzi, in qualche misura perfino condizionandole. L’aderenza alle norme di compliance, per esempio, può essere vissuta dalle aziende in una duplice ottica: come mero adempimento burocratico a regole prescritte e controllate da altri (il legislatore, le autorità di vigilanza, ecc.), oppure in maniera attiva e consapevole che tali pratiche non siano solo maquillage ma che possano dare una mano a migliorare l’immagine dell’impresa e le sue performance economiche e finanziarie. Nel primo caso il management le vive come una sovrastruttura nell’organizzazione aziendale, nella migliore delle ipotesi come un inutile orpello o addirittura, nella peggiore, come un ostacolo stesso alla visione di sviluppo del business da parte del management. Senza nascondersi dietro un dito, è senz’altro questa la visione che ha dominato finora nel panorama italiano, e per tale motivo la logica adottata dalle istituzioni pubbliche è stata finora quella punitiva.
Emblematica su questo aspetto è la vicenda del Rating di Legalità. Lanciato nel 2012 come strumento di diffusione della coscienza civica e della responsabilità sociale, ha preso in breve tempo, nell’immaginario collettivo, le sembianze di fedina penale. Pertanto questa iniziativa non ha avuto grande successo e il numero di aziende che hanno deciso di sottoporsi a valutazione (spontanea) è stato esiguo, nonostante i numeri sbandierati recentemente con soddisfazione dal Presidente Agcm Giovanni Pitruzzella. Tuttavia è stato proprio l’intervento dell’Antitrust lo scorso autunno a dare un segnale ancora più chiaro sulla filosofia sottesa a questa impostazione. L’Autorità garante della Concorrenza ha infatti sottoposto a (una brevissima) consultazione pubblica la decisione di allargare di otto nuovi reati lo spettro di quelli incidenti sul rating stesso, lasciando inevasa la domanda di incentivi allo sviluppo di tali pratiche. Secondo gli operatori la possibilità di usufruire di vantaggi a fronte dello sviluppo della governance e della compliance darebbe invece una spinta decisiva alla diffusione di una diversa consapevolezza su questi argomenti.
E qui arriviamo al secondo punto, vale a dire, l’atteggiamento proattivo rispetto al controllo degli indicatori relativi a queste aree. Ne è convinto, tra gli altri, anche Agostino Nuzzolo, General counsel e tax and compliance director di Italcementi, che si è speso su questo aspetto all’interno della multinazionale bergamasca. « La governance e la compliance », afferma Nuzzolo, « possono essere moltiplicatori del risultato aziendale, migliorando la marginalità e il posizionamento sul mercato ». Si tratta di una logica del fare business molto diversa dal passato, quando il risultato economico e la soddisfazione degli azionisti quasi dovevano arrivare “nonostante” il rispetto delle norme e delle leggi. Volendo aggiornare la sigla Grc potremmo sostituire « Risk » con « Rewarding » ( premiante): l’attenzione a questi aspetti non è un mero costo ma è potenzialmente generatrice di ricavi.
Al momento, però, la ricaduta lato fatturato non è sempre concretamente tangibile: questa prospettiva, per diventare effettiva, deve essere riconosciuta dal mercato. E sebbene la sensibilità in tal senso stia crescendo sempre di più, gli effetti benefici si registrano sulla brand equity e soprattutto – ed è questo forse l’aspetto che solleticherà e sorprenderà di più l’interesse dei manager meno visionari – sul lato costi. Attuare buone pratiche di governance e compliance comporta di sicuro una spesa, ma in molti casi è inferiore agli stessi costi che è in grado di comprimere. È di nuovo Italcementi a portare la sua testimonianza in tal senso: « Essere nella White List e avere il massimo del Rating di Legalità ci ha permesso di ridurre la necessità di tante certificazioni e contestualmente di tagliare sensibilmente i costi amministrativi e burocratici », spiega Nuzzolo. Che conferma, comunque, che gli incentivi al momento sono limitati e non in grado di generare fenomeni di emulazione.
Le cose potrebbero cambiare con un’azione incisiva da parte del Pubblico, per esempio favorendo ulteriormente le semplificazioni amministrative, conferendo vantaggi rispetto alla partecipazione a gare pubbliche (concetto spesso ribadito anche dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone) e magari – in particolare per le aziende di dimensioni minori – attraverso agevolazioni come il credito fiscale. Quest’ultima misura potrebbe essere tanto più interessante se pensiamo che tra le società di una certa dimensione come le quotate l’importanza dell’operare in maniera etica sia più diffusa, in quanto la maggiore visibilità può generare contraccolpi ben più vigorosi e rumorosi in occasioni critiche. E il mondo finanziario e bancario, passato attraverso uno scandalo dopo l’altro negli ultimi anni, ne sa qualcosa, avendo forse più di tutti gli altri settori fatto attenzione a rinnovarsi per riacquistare credibilità.
Per quanto riguarda il Rating di Legalità, però, alcune critiche sulla reale efficacia e portata di questo strumento sono state avanzate rispetto ai vincoli previsti per il suo rilascio, primo fra tutti proprio il discrimine dimensionale. Per poter entrare nel circuito del Rating si ha bisogno di un fatturato minimo di due milioni di euro nell’esercizio chiuso l’anno precedente alla richiesta. Il fondato sospetto è che tali stringenti limitazioni siano state introdotte per ridurre al massimo il numero di pratiche e non gravare in quanto a mole di lavoro sulle asfittiche amministrazioni pubbliche. Un motivo che rende spuntata la battaglia di legalità, che fa rinsaldare l’idea che l’approccio orientato al controllo sia perdente, e che invece funzionerebbe a livello sistemico un metodo condiviso e cooperativo. Un esempio in questo senso è stato sviluppato a livello europeo e potrebbe senz’altro ispirare anche il nostro legislatore: stiamo parlando dell’« Operatore economico autorizzato » ( Authorised economic operator, ovvero Aeo), una qualifica rilasciata dall’Ufficio delle Dogane e rivolta alla catena di approvvigionamento internazionale ( produttori, esportatori, speditori/ imprese di spedizione, depositari, agenti doganali, vettori, importatori) che si qualificano positivamente rispetto agli altri operatori, in quanto ritenuti affidabili e sicuri. Tale certificazione, una volta rilasciata, assume validità su tutto il territorio doganale e permette vantaggi quali: riduzioni dei controlli; semplificazioni doganali e maggiore velocità nelle operazioni; e mutuo riconoscimento con altri programmi di Paesi terzi. In altre parole migliora le relazioni con le autorità, offrendo benefici a entrambe le parti.
Nel nostro Paese i controllati e i controllori si parlano poco, non riuscendo a intravedere i benefici di tale dialogo ma guardandosi in maniera sospettosa. È la fiducia, invece, il punto da cui ripartire, e guardare a una logica cooperativa può fare la differenza. Anche in termini economici e finanziari.
Il tema della compliance premiante sarà oggetto di una tavola rotonda prevista per il prossimo TopLegal Corporate Counsel Forum che si terrà l’ 8 luglio a Palazzo Mezzanotte di Milano in occasione della III edizione dei TopLegal Corporate Counsel Awards.
Rating di legaltà: come funziona
Il rating di legalità è entrato in vigore il 2 gennaio 2013 e costituisce uno strumento di promozione della legalità e di principi etici al fine di elevare la sicurezza e la concorrenzialità nelle attività economiche. Il Rating è attribuito dall’Agcm sulla base delle autodichiarazioni delle aziende. Per poter avanzare la richiesta di attribuzione del rating bisogna: avere sede operativa nel territorio nazionale; aver raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno precedente; e risultare, alla data della richiesta del Rating, iscritta nel registro delle imprese da almeno due anni. Per ottenere il rating minimo (una stella) occorre l’assenza di misure di prevenzione e cautelari personali o patrimoniali per gli amministratori e soci (oppure l’assenza di provvedimenti di condanna dell’Autorità e della Commissione europea per illeciti antitrust), l’assenza di provvedimenti per mancato rispetto delle leggi sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e la mancanza di violazioni in materia retributiva, contributiva, assicurativi e fiscali. Per salire alla valutazione massima (tre stelle) si richiede il possesso di altri requisiti, tra cui il possesso di un organo di controllo efficace ai sensi della 231, la presenza di sistemi di Csr e l’adesione a codici etici di categoria. Il Rating ha una durata di due anni ed è rinnovabile. In caso di perdita di uno dei requisiti base l’Autorità ne dispone la revoca, mentre se vengono meno i requisiti grazie ai quali l’azienda ha ottenuto un rating più alto viene ridotto il numero di stellette. L’elenco delle aziende e il rating relativo è disponibile sul sito sul sito dell’Agcm.
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