Il lateral hiring è un fenomeno in aumento. Il 2017, secondo l’annuale censimento TopLegal, si è chiuso con 43 passaggi di soci equity (si veda numero di febbraio-marzo di TopLegal Review). La mobilità non è esclusivo appannaggio dei partner degli studi legali, ma riguarda il mercato tout court a qualunque livello di seniority e ivi incluso il mondo in house che, come TopLegal ha registrato già da tempo, è percepito sempre più frequentemente come un’alternativa alla carriera in studio. Ma quando e perché viene valutato il passaggio dallo studio all’azienda? TopLegal lo ha chiesto a Francesca Cottini (in foto), associate principal di Page Executive - divisione boutique di PageGroup specializzata nella ricerca e selezione di top manager – che evidenzia come il passaggio in house sia legato a doppio filo all’evoluzione dei percorsi di carriera negli studi legali.
Quali sono le ragioni principali che spingono i professionisti a passare in house?
Nei candidati con 7-8 anni di esperienza la leva motivazionale è rappresentata principalmente dall’idea di poter avere un migliore equilibrio fra vita lavorativa e vita privata perché in azienda ci sarebbero ritmi e orari più gestibili. Nei candidati senior – solitamente nel periodo di valutazione antecedente al passaggio alla partnership – la motivazione si identifica con il desiderio di deporre la toga a vantaggio dello sviluppo di competenze manageriali e di vicinanza al business.
Quanto pesa, invece, il mancato accesso alla partnership?
Trascorso qualche anno da senior associate, si giunge nella fase “esplosiva” della carriera per cui è naturale ambire alla partnership. Un tema centrale rispetto alle riflessioni su un eventuale passaggio in azienda è la consapevolezza che i percorsi di carriera nei grandi studi stanno diventando sempre più difficili perché non basta essere dei bravissimi tecnici ma bisogna dimostrare elevate abilità di marketing che si traducono in capacità di fare sviluppo originando importanti fatturati.
Cosa si intende per fatturati importanti oggi?
In base alla tipologia di struttura, l’ammontare della soglia di accesso alla partnership varia e si va da contesti più “snelli” dove è sufficiente un fatturato proprio di 150mila euro, fino a strutture più complesse (la maggior parte) dove la soglia minima si attesta fra i 600mila e gli 800mila euro.
Perché professionisti senior faticano a raggiungere queste cifre?
Spesso c’è un’oggettiva difficoltà ad originare e far crescere un proprio portafoglio clienti, perché essendo dei “tecnici” di altissimo livello e con piena fiducia dei soci equity, i professionisti con elevata seniority sono dedicati a lavorare per la maggior parte del tempo su clienti dello studio non riuscendo più di tanto a dedicarsi a fare business development.
Il passaggio in altro studio viene valutato?
Naturalmente e a maggior ragione, un proprio fatturato è conditio sine qua non anche nel momento in cui il professionista vuole essere valutato come socio in un altro studio, dove verrà altresì preso in considerazione un insieme di elementi ulteriori e non meno importanti rispetto al portafoglio quali la tipologia di clienti e di operazioni gestite, le sinergie che si possono creare con altri soci ed altri dipartimenti, la tipologia di studio di provenienza e le affinità di contesti che possano rendere più semplice l’integrazione del professionista nella nuova struttura.
La difficoltà a diventare equity partners e una pressoché impossibilità a valutare alternative in altri studi, determinando quindi una fase di stallo. Ecco, allora, che la difficoltà a progredire in posizioni di partnership è uno degli elementi che fan sì che per diversi professionisti di studio il mercato in house rappresenti un’alternativa alla libera professione.
La strada in house viene considerata più semplice?
Erroneamente. Va tenuto in considerazione, infatti, che il mercato dei legali d’azienda, rispetto a quello degli studi, è molto più statico e chiuso, la domanda resta nettamente superiore all’offerta e quando si aprono delle opportunità interessanti spesso le Corporate si sentono confortate dall’avere nel ruolo professionisti che abbiano una pregressa esperienza significativa in azienda che garantisce loro la confidenza con le dinamiche interne di un’organizzazione, nonché il requisito delle capacità manageriali oltre a delle technicalities sofisticate ed alla iperspecializzazione.
Qualche cifra per dare la dimensione dell'offerta di posizioni nel mondo in house?
Proprio perché le posizioni di legal/general counsel sono più rare, mediamente delle ricerche da noi gestite una su 10 si riferisce a posizioni in house. Se dall’analisi del contesto ci sono i presupposti per valutare candidati che arrivino dalla libera professione, inseriamo nella rosa di candidature uno o due profili di avvocati da studi legali.
Quindi la competizione è alta e riuscire a fare il passaggio non è per nulla banale
È più probabile il successo se avviene nei primi anni di esperienza lavorativa, talvolta sfruttando la formula del secondment che fa sì che l’azienda cliente dello studio faccia una proposta diretta alla risorsa già testata sul campo (e potendo essere ancora competitiva da un punto di vista di offerta economica). È molto più raro nella fase matura del percorso professionale, in posizioni di responsabilità e rilievo dove, least but not last, subentra anche un tema di compenso che in media, a parità di anni di esperienza, in azienda è di circa il 15% in meno rispetto a chi ha scelto di esercitare la professione in studio, fatta eccezione per le grandi Corporate di un certo livello dove la retribuzione è adeguata a quella dei grandi studi legali.
Ipotizziamo un passaggio al mondo in house dopo 7-8 anni in studio. Quali sono i compensi medi di una big law firm per quel grado di seniority?
Nel mondo delle law firm internazionali, ovvero dei grandi studi italiani, l’avvocato con 7-8 anni di esperienza guadagna di regola intorno ai 75/80 mila euro l’anno, e un senior associate arriva spesso a superare oltre 100 mila euro, con sfumature che possono far oscillare i compensi a seconda che si parli di studio internazionale o italiano.