Parla Raffaella Quintana

DDL ANTICORRUZIONE, «SVOLTA EPOCALE»

16-05-2012

DDL ANTICORRUZIONE, «SVOLTA EPOCALE»

Un provvedimento ancora in bilico, il cui testo, con molta probabilità, prima di diventare legge, subirà ancora numerosi cambiamenti. Tra le novità in discussione del ddl Anticorruzione, c'è la proposta di introduzione delle fattispecie di corruzione privata e traffico di influenze, che, per Raffaella Quintana (in foto), socio di Dla Piper, è di «portata "epocale" per la realtà italiana contro un fenomeno definito di recente "patologico" e "pervasivo del sistema" dalla Corte dei Conti»

Che impatto avrà la norma sulle aziende?

Già la rubrica della nuova norma, in qualche modo, ne dà conto. Nel nostro sistema, la stessa idea di comportamenti corruttivi è, finora, indissolubilmente legata ai rapporti con la pubblica amministrazione. L'ipotesi che anche i privati possano essere "corrotti" è una vera "rivoluzione  culturale" per l'Italia, dove la "mazzetta", a tutti i livelli, è una prassi sostanzialmente accettata ed alla quale non si collega un vero disvalore sociale.
Nello stesso senso si pone la previsione del traffico di influenze, che, anticipando la soglia di punibilità a comportamenti finora fuori dall'ottica criminale, contribuisce a scardinare quella percezione di "normalità" delle pratiche corruttive che tanti danni, valutabili in termini economici in cifre da capogiro, ha procurato e continua a procurare anche alla nostra economia.
E' pur vero che la condotta configurata nel ddl sotto la rubrica "corruzione tra privati" è, in realtà, già prevista dall'ordinamento come "infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità", ma l'ampliamento dei soggetti che ne possono rispondere (non solo i responsabili della gestione - amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori - come attualmente previsto, ma tutti i soggetti che operano per l'azienda) e, soprattutto, la procedibilità d'ufficio, ne fanno una fattispecie profondamente diversa e veramente 'rivoluzionaria', che avvicina il mondo delle aziende italiane a quella realtà internazionale che già da  tempo si è mossa in questo senso (l'adozione nel 2011 nel Regno Unito del Bribery Act e, prima ancora, del Foreign Corrupt Practices Act statunitense, vecchio del 1977, ne sono la testimonianza).

Dal Bribery Act alla 231.
La responsabilità ex d.lgs. 231/2001 dell'ente per il quale agisce il corruttore, pure prevista nel ddl, completa il quadro, ispirato chiaramente all'esigenza di garantire una vera "eticità di impresa", non solo e non tanto determinata da spinte moralistiche ma pensata proprio a salvaguardia della libera iniziativa e leale concorrenza. In definitiva, fare impresa eticamente è profittevole, come insegnano le esperienze internazionali.
Se un rammarico c'è, è che non sia chiaramente previsto che analoga rilevanza penale si attribuisce ai comportamenti di corruzione in ambiti diversi da quello delle attività delle società commerciali, e poi, verificare la difficoltà con la quale norme di civiltà come quelle in discussione siano strenuamente osteggiate da parte di alcuni, a danno evidente di tutti. D'altro canto, l'Italia è un Paese che non ha ancora ratificato la convenzione internazionale sulla corruzione firmata nel 1999, come ci ha, per l'ennesima volta, rammentato il GRECO circa un mese fa.

Non ci sarà nulla, invece, almeno fino ad ora, sul falso in bilancio, né sull’autoriciclaggio, era necessario introdurli?
A quel che sembra, le nuove proposte sulla reintroduzione del falso in bilancio e sulla punibilità dell'autoriciclaggio mancano nel ddl perché "fuori contesto".
E' chiaro per tutti coloro che si muovono nel mondo economico che la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio realizzata nel 2002  - con l'abbassamento delle pene e, di conseguenza, dei tempi di prescrizione, e con la previsione della procedibilità solo a querela della parte danneggiata (la società, rappresentata dagli stessi amministratori che hanno commesso il reato?) - si pone in evidente contrasto, oltre che con l'orientamento comunitario, che impone un maggiore rigore per garantire la verità dei bilanci e, quindi, la sicurezza del sistema economico, di nuovo con la leale concorrenza tra le imprese: giocare pulito dovrebbe essere nell'interesse e a vantaggio di tutti.
Quanto all'autoriciclaggio, è comprensibile, da un punto di vista "penalistico", l'affermazione della non punibilità del post factum: non si può punire per condotte che sono il naturale proseguimento dell'illecito principale perché si finirebbe per punire due volte. Dall'applicazione di questo principio, però, non può derivare la sostanziale impunità per comportamenti che, lungi dall'essere il 'fisiologico' utilizzo del profitto del reato, si pongo invece come sistematico ricorso a pratiche finalizzate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei capitali. Ciò, almeno, se si vuole colpire efficacemente l'attività dell'impresa criminale. Come, d'altro canto, solo qualche mese fa, ha osservato con forza la Commissione Parlamentare Antimafia nella sua ultima relazione, e poco prima, la stesso Governatore della Banca d'Italia, insieme al direttore dell'Unità di Informazione Finanziaria, reclamando la introduzione del reato, considerato strumento essenziale ed imprescindibile per la lotta alle mafie e alla criminalità.
 
Saranno aumentate le pene massime dei reati di corruzione già esistenti, può servire da deterrente?

I possibili aumenti di pena per i reati di corruzione sono da salutare con favore, anche ove si consideri il grave disallineamento dell'Italia rispetto ad altri Paesi, quali l'Inghilterra e la Francia, in cui la corruzione è punita con pene notevolmente più severe (10 anni di reclusione, oltre a ingenti pene pecuniarie). Ciò, soprattutto, per l'effetto estensivo sul termine prescrizionale, che dovrebbe aumentare le probabilità di definizione del processo prima dello spirare del termine.
Per vero, per quella che è la mia esperienza professionale, non credo che l'entità della pena possa avere, in concreto, quell'effetto di deterrenza che le si connette: per un imprenditore, se gli anni di reclusione previsti per il reato sono 4 o 5, non cambia granché; è già l'effetto devastante sulla gestione e sulla reputazione, sua e dell'azienda, che deriva dalla sola pendenza di una indagine penale, senza neanche proiettarsi sulla condanna, che "spaventa".
Al contrario, sono convinta che un reale risultato, nel senso di "scoraggiare"efficacemente comportamenti scorretti, potrebbe derivare dalla percezione della certezza della sanzione; che, però, passa per una sostanziale rivisitazione delle norme sulla giustizia penale, sulla sua amministrazione ed organizzazione e sul processo. Ma questo è tutto un altro film! Che, allo stato, nessuno sembra voler veramente e seriamente vedere…

Rispunta il bavaglio al web che ha suscitato non poche polemiche. Cosa comporta?
Il c.d 'bavaglio al web' - la norma che obbligherebbe anche i siti web a pubblicare, in tempi strettissimi, le rettifiche richieste da chi giudichi i contenuti pubblicati lesivi della propria reputazione o contrari alla verità, pena salate sanzioni - si inserisce in un più ampio disegno, che riguarderebbe la riforma della normativa sulle intercettazioni, il segreto istruttorio e i divieti  di pubblicazione.
E' evidente che una previsione del genere possa creare importanti limitazioni al diritto di cronaca ed alla libertà di espressione, costituzionalmente garantito. Di sicuro, il bilanciamento tra questi inviolabili diritti e quello, parimenti rilevante, alla privacy ed alla integrità personale, anche della reputazione, non è esercizio facile. Comunque, quello che mi sembra dirimente è che proprio di bilanciamento si dovrebbe trattare, con un giudizio di preminenza dell'uno sull'altro non predeterminato ma da valutarsi a seconda delle concrete modalità e circostanze. Come, mi sembra, gli strumenti normativi già a disposizione, consentano di fare.

I clienti vi hanno chiesto già dei pareri in merito e in seguito aumenteranno il numero di consulenze sul tema?
Sicuramente uno dei temi di maggiore interesse è già, e sarà ancor di più, la punibilità della corruzione privata; tanto più che il reato  è  presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001 ed è già rilevante per quei soggetti, come la maggior parte dei nostri clienti, che operano su un mercato globalizzato.
Lavorando, anche con società multinazionali, sulla compliance al FCPA e allo UK Bribery Act, già da tempo affrontiamo il tema, che si pone con forza per tutti gli operatori, italiani o stranieri, che sono soggetti a quelle normative, caratterizzate da connotati di extraterritorialità molto pervasivi. Sicuramente, non mancherà, nel caso di adozione delle nuove norme, una maggiore attenzione anche da parte dei clienti presenti solo sul mercato italiano, rispetto all'aggiornamento dei compliance programs e dei presidi di controllo da adottare per scongiurare il coinvolgimento in procedimento ex d.lgs. 231/2001, come noto, molto invasivi per le aziende, soprattutto nella fase cautelare.





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