Di fronte al verificarsi di determinati fenomeni siamo stati abituati in questi anni a provare una sorta di premonizione del rischio imminente. L’arrivo del socio di peso, trasferitosi dal cuore dell'impero alla periferia italiana, ne è un esempio particolarmente valido. Dalla prospettiva dello studio interessato, l’improvvisa comparsa dell’esponente dalla casa madre viene quasi sempre inquadrato come disegno di investimento o segno di rafforzamento, a conferma del valore strategico della sede italiana. I fatti che seguono spesso ci insegnano invece che tali operazioni rispondono a situazioni del tutto diverse e la cui coerenza si svela solo dopo.
Questa settimana Ashurst ha nominato come nuovo managing partner per l’Italia un socio straniero, Stephen Edlmann, replicando una mossa già sperimentata in passato da Allen & Overy, Simmons & Simmons e White & Case. La nomina di Edlmann, che prende il posto dello specialista di antitrust Domenico Gullo, arriva a seguito di una serie di partenze dallo studio inglese al quale era stato imposto un ricompattamento del vertice solo due anni prima. Già managing partner della sede romana di Ashurst, lo stesso Gullo aveva assunto la direzione dell'intera practice italiana nel 2014 con l’uscita del managing partner milanese, Paola Flora.
È noto a tutti che la crisi finanziaria ha reso necessario agli studi inglesi presenti in Italia un ripensamento delle proprie attività e strategie. Questo ha portato, nella maggior parte dei casi, al ridimensionamento (se non all’abbandono) del modello full-service e a una riduzione cospicua delle compagini. Nel 2012, Ashurst Italia era arrivato ad annoverare 70 avvocati di cui 20 soci. Ora, la squadra conta circa una trentina di professionisti mentre i soci si sono ridotti a cinque. Tuttavia, nel caso di Ashurst la decrescita italiana va ricondotta non tanto alle realtà del mercato quanto alla strategia scelta dal quartier generale di Londra per rilanciare lo studio nel contesto di un avvicendamento al vertice che spacca il consenso dei soci.
Il nodo risale al 2013 che segna una svolta decisiva per Ashurst arrivata con il compimento della fusione con l’australiano Blake Dawson. La fusione impone un nuovo piano, ma lo stile gestionale risoluto che caratterizza la conduzione del senior partner Charlie Geffen crea divisioni interne. Nella speranza di ricompattare le sue varie fazioni, lo studio da oltre 1.700 avvocati chiama il consulente Bain & Company per farsi indicare una strada. Vi è tuttavia in arrivo un nuovo motivo di malcontento: la prospettiva di un’altra fusione con uno studio statunitense (Sidley Austin) che farebbe di Ashurst un player globale. Il vertice londinese guarda all’esigenza di aumentare i margini per garantire profittabilità e mettere Ashurst al riparo da una rilevazione; ma i soci ritengono la mossa prematura. In un momento delicato per lo studio, e a seguito di una campagna elettorale combattuta per scegliere il nuovo chairman, Geffen perde al ballottaggio. Timoniere durante l’implosione traumatica di Lehman Brothers nonché simbolo della practice di eccellenza di private equity, Geffen ha una visione da specialista di corporate. Il nuovo chairman Ben Tidswell, invece, è litigator. Con il cambio di vertice, cambia l’anima dello studio.
Geffen esce di scena nel 2014 e Ashurst inizia a implementare le raccomandazioni di Bain che richiedono il concentrarsi sul finance e sul settore energy, transport & infrastructure. In questa nuova prospettiva strategica – spinta verso una maggiore profittabilità e focalizzazione su un numero di fronti molto minori – sono maturate le difficoltà per la practice italiana. Presto arrivano le dimissioni del managing partner milanese, Flora; alla scomparsa del tax poi si aggiunge anche quella del lavoro e del real estate. Già prima lo studio aveva rinunciato al rilancio del corporate. In questa ottica, si evince che Gullo abbia preso in mano le redini della gestione in una situazione di emergenza. Ma uno specialista di antitrust alla guida di una squadra costretta a ridursi per dimensione e raggio di attività non poteva essere alla lunga una scelta sostenibile.
TAGS
Allen & Overy, SLA Ashurst, Simmons & Simmons, White & Case, Sidley DomenicoGullo, PaolaFlora, CharlieGeffen, StephenEdlmann Bain & Company, Lehman Brothers