di Marco Michael Di Palma
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) appena avviato riconosce che un’economia di successo ha come prerequisito una giustizia efficiente. Un sistema giudiziario che funziona rende il mercato più competitivo e più agevole per le imprese, riduce l'incertezza sui ritorni del capitale, migliora le condizioni di finanziamento e stimola gli investimenti.
La riforma della giustizia prospettata dal Pnrr è tra le quattro riforme critiche orizzontali (le altre riguardano la pubblica amministrazione, il fisco e la concorrenza). Tuttavia, come hanno fatto notare alcuni osservatori, ciascuna di queste proposte di riforma ha negli ultimi tre decenni uno o più predecessori simili, altrettanto ambiziosi e di buon senso. Tuttavia, il declino dell’Italia è proseguito imperturbabile. Viene da chiedersi se il Pnrr non sia destinato ad accrescere il numero delle riforme fallite. Soprattutto perché difficilmente si potranno raggiungere nei prossimi anni risultati significativamente migliori rispetto al passato fin quando perduri il circolo vizioso, o “l’equilibrio deteriore” come lo definisce Andrea Capussela, che ha annientato le riforme precedenti.
Nel recente saggio "Declino Italia", Capussela attribuisce il malessere dell’Italia a una convivenza politico-economica inefficiente e iniqua che ha determinato le rendite di pochi a danno delle opportunità di molti. Ed è questa collusione che ha reso sterile la scia di riforme negli scorsi decenni.
Vale la pena riassumere la catena causale del declino del Paese ricostruita da Capussela. Tutto inizia negli anni Ottanta quando l’economia raggiunge la frontiera e l’Italia smette di crescere perché smette di innovare. Le scosse degli anni Novanta (l’entrata della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), l’ascesa della tecnologia digitale, la globalizzazione, l’unione monetaria europea) hanno rappresentato un’opportunità per altri Paesi ma un freno per l’Italia. Invece di modificare il proprio assetto organizzativo per darsi un’economia improntata sull’innovazione, le élite consolidate hanno difeso le loro posizioni di rendita. Dal Duemila, torna ad aumentare il lavoro ma crolla la produttività. Tranne poche imprese dominanti, l’Italia conta una miriade di piccole e microimprese sottocapitalizzate, mal gestite e poco stimolate dalla concorrenza.
La difesa della rendita sarebbe rimasta priva di successo senza l’aiuto delle regole effettive che hanno orientato l’economia in questi anni. Il quadro normativo regolatorio italiano non si discosta da quello europeo, ma le leggi vengono distorte e sono meno rispettate. Secondo le ultime analisi del World justice project, l’Italia si classifica al 112esimo posto per l’efficacia e la tempestività con cui applica la giustizia civile. La divergenza dalle leggi scritte effettive avvantaggia gli insediati che si difendono dalle sfide degli innovatori. La debole supremazia della legge (rule of law), frutto della collusione tra l’élite economica e la politica, consente alla prima di proteggersi chiudendo ulteriormente gli spazi al cambiamento.
Questo equilibrio inferiore amministrativo e imprenditoriale ha una terza gamba: l’elettorato poco esigente che non chiede conto a chi lo governa. Come afferma Capussela, minore è la responsabilità politica, altrettanto è minore la possibilità di assicurare il rispetto delle leggi. Da trent’anni, la politica presenta candidati sempre più inadeguati e sempre meno istruiti e rispettosi della legge. La logica dell’equilibrio inferiore si è diffusa e orienta i cittadini e le imprese che si piegano a fenomeni dannosi per l’interesse generale.
Un esempio tra tutti, l’evasione fiscale. Benché la maggioranza della società civile preferisca vivere in un Paese con migliori servizi in cui tutti pagano le tasse, il calcolo razionale propende per l’evasione. Non solo perché non si vuole sovvenzionare gli infedeli né ricevere meno servizi pubblici rispetto al proprio contributo, ma soprattutto perché ci si aspetta che gli altri seguiranno la stessa logica.
Secondo Capussela, la spirale del declino è tuttavia reversibile. Si può uscire dal circolo vizioso a patto che si intendano meglio gli interessi individuali e collettivi. Per rilanciare lo sviluppo economico e sociale serve migliorare il capitale finanziario, sociale e umano attraverso un cambiamento profondo della cultura, della legalità e dei comportamenti.
Per questo occorre una visione credibile del bene comune, concezione assente nelle pagine del Pnrr dedicate al (condivisibile) obiettivo di accorciare i tempi dei processi e abbattere la montagna di cause arretrate. Un sistema repressivo efficace come quello statunitense ha poco impatto sull’evasione dei cittadini americani che continua a crescere. Condoni, prescrizioni, discrezionalità, conflitti d’interesse, corruzione e l’inclinazione a violare le leggi si combattano con l’educazione e la cultura. Senza chiari incentivi alla collettività per preferire l’applicazione delle leggi scritte, le riforme saranno destinate all’insuccesso.