Lavoro

Decreto Dignità, parola ai giuslavoristi

Dure le critiche raccolte da TopLegal: Luca Failla «Non è limitando la flessibilità che si creerà occupazione stabile»

06-07-2018

Decreto Dignità, parola ai giuslavoristi



Lunedì 2 luglio, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Dignità, definito dal suo promotore, il ministro del lavoro Luigi Di Maio, come un “colpo mortale al precariato”. 
Ma è davvero così? TopLegal ha raccolto le opinioni di alcuni esperti di diritto del lavoro. Quel che emerge è una diffusa preoccupazione che il decreto possa tramutarsi, invece, in un freno per l’attività delle aziende.  

Le critiche vengono mosse a partire dal nome stesso del decreto. Dure le parole di Francesco Rotondi, co-founding partner di LabLaw: «Il decreto in commento utilizza in modo improprio il sostantivo "dignità" mostrando, peraltro, che l'attuale esecutivo ha profonde lacune nell'ambito del mercato e diritto del lavoro. Lacune che, se non colmate, rischiano di infliggere colpi mortali ad imprese e lavoratori andando esattamente nella direzione opposta dell'obiettivo che il sostantivo "dignità" vorrebbe realizzare».
 
Se, infatti, l’intento è di ridare centralità al lavoro e frenare l’eccessiva precarizzazione, secondo alcuni sarebbe il bersaglio delle riforme a essere errato. Per Giampiero Falasca, partner di Dla Piper, il decreto «parte da un sillogismo che non corrisponde alla realtà, quello secondo il quale i contratti a termine e la somministrazione sarebbero gli strumenti principali della precarietà». Al contrario, continua il legale «sono forme contrattuali che garantiscono un’applicazione piena e integrale di tutte le tutele fondamentali del lavoro subordinato». E ancora, la stretta su questi contratti «potrebbe avere un contraccolpo negativo sul mercato del lavoro e che segna un forte arretramento culturale nell’approccio complessivo verso la flessibilità regolare». 
 
Di ritorno al passato parla anche Luca Failla, co-founding partner di LabLaw: «Il Decreto Di Maio riporta indietro di 70 anni il mercato del lavoro. Con i dovuti distinguo, allora era certamente meglio la legge 230 del 1962 con le causali chiare e oggettive ivi previste e il rimando alla contrattazione collettiva oggi invece negato dal Decreto in segno di totale sfiducia verso l’autonomia collettiva delle parti sociali». 
 
Il decreto imbocca la strada sbagliata anche per Fabrizio Daverio, partner di Daverio & Florio, il quale critiche proprio sulle causali pensate per i contratti a termine e considerate troppo generiche: «Ogni caso aziendale fa storia a sé, in quanto le ragioni per apporre il termine (di contratto ndr.) possono essere le più varie e diverse. Per evitare gli abusi del lavoro a termine il rimedio più efficace resta quello della definizione del limite percentuale dei contratti a termine, e cioè il limite pari al 20% dell’organico, che è già in vigore, e del periodo massimo di durata complessiva».  
 
Tra gli effetti negativi del decreto vi potrebbe essere, inoltre, un aumento dei conteziosi e nuovo lavoro per i tribunali. Questo quanto prospettato da Alessandro De Palma di Orsingher Ortu: «L’aumento del numero di giorni (da 120 a 180) per impugnare un contratto a tempo determinato, così come l’incremento delle indennità connesse a un licenziamento ingiustificato - ora comprese tra un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità - non favoriscono l’ottimismo ma, al contrario, fanno temere per una patologica, per certi versi nostalgica, rincorsa a causali più o meno credibili, più o meno genuine, più o meno difendibili, con la conseguenza che verranno nuovamente invase - come per tanti anni accaduto - le aule dei tribunali». 
 
I giochi non sono però chiusi e le modifiche prospettate nel prossimo iter parlamentare, che hanno già trovato la ferma opposizione del ministro del lavoro, sembrano essere, nelle parole di Luca Failla, un utile correttivo per un ritorno alla normalità: «A questo punto confidiamo che l’iter parlamentare potrà modificare l’impianto di una normativa che pare volta solo a punire le aziende. Non è limitando la flessibilità di cui le aziende necessitano per restare sul mercato che si creerà occupazione stabile. Con i divieti non si sono mai creati posti di lavoro».
 

 

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Dla Piper, Daverio & Florio, LabLaw, Orsingher Ortu FabrizioDaverio, LucaFailla, FrancescoRotondi, GiampieroFalasca, AlessandroDe Palma


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