Il numero di aprile di TopLegal sarà dedicato al tema della governance. Il mercato legale assiste a grandi rivolgimenti che riguardano in particolare gli statuti e lo sforzo che alcuni indipendenti stanno facendo per riuscire a istituzionalizzarsi. TopLegal racconterà questa evoluzione ma darà voce anche a chi guarda questo processo con scetticismo. Riportiamo di seguito lo stralcio (il testo integrale sarà sul numero di aprile) di un’intervista esclusiva che TopLegal ha fatto al Maurizio Delfino, numero uno di Delfino Willkie Farr & Gallagher.
Su che cosa si deve basare la leadership in uno studio?
Sicuramente la vera leadership non è basata sullo statuto e sui poteri che formalmente sono attribuiti a una classe di soci. Questa è una cosa che mi insegnò, all’epoca, Gianni Nunziante. In Italia succede spesso che, nello statuto, il socio fondatore o il gruppo dei soci fondatori cerchino di proteggersi. Io credo che si possano studiare tutte le clausole che si vuole, ma alla fine quello che conta è il contributo effettivo che viene dato allo studio, e non parlo solo dell’avviamento presso i clienti. In uno studio legale la leadership è sempre una cosa difficilissima da mantenere nel tempo.
Che idea si è fatto dello sforzo di istituzionalizzazione che molte realtà stanno portando avanti?
La realtà degli studi legali è spesso più complessa di come appare all’esterno. Per esempio, spesso gli studi inglesi sono percepiti come gli studi “istituzionali” per definizione (intendendosi studi il cui avviamento prescinde da quello del socio fondatore), in cui addirittura gli utili sono ripartiti in parti uguali tra tutti, sulla base dell’anzianità di appartenenza all’organizzazione. Eppure in realtà si tratta di strutture altamente burocratizzate e fortemente gerarchiche, in cui comandano un socio o un gruppo di soci che non svolgono più attività professionale. Gli altri soci contano assai meno. Ancora: in vari studi percepiti in Italia come “istituzionali” ci sono tre o quattro o anche più categorie di soci. Esistono anche modelli di studi “istituzionali” in cui di fatto coesistono vari studi nello studio, magari con avvocati in concorrenza tra loro.
È inevitabile che nello studio ci sia un gruppo ristretto o un singolo che comandi?
Forse è inevitabile che in una qualsiasi organizzazione ci sia un gruppo ristretto che gestisca la struttura, magari organizzando e pilotando il consenso, ma nessuno può pensare di essere insostituibile. Se il gruppo in questione ha una visione e pensa davvero nell’interesse dello studio nel suo insieme, allora è anche un bene. Tra l’altro, questo è proprio il modello di governance di Willkie Farr, una sorta di oligarchia illuminata che, direi, ha dato in questi anni risultati formidabili.
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