Gianni Origoni Grippo

DIAVOLI IN AMPOLLA

Nonostante le pressioni esterne di un mercato in crisi e le strette interne seguite alle pesanti uscite negli anni passati, Gianni Origoni non arresta la costruzione di un progetto a favore dell’innovazione

21-10-2013

DIAVOLI IN AMPOLLA

Uno studio assomiglia per tanti versi a un ecosistema da salvaguardare e preservare dai cambiamenti interni ed esterni alla sua struttura. Così come ogni ecosistema, oggi radi­calmente diverso da com’era anche solo poche decine di anni fa, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners (Gop) sta mutando pelle, mante­nendo però la barra dritta su un piano che parte dal 2006. E scontrandosi con forze endogene ed esogene che hanno soffiato contro il progetto di innovazione già avviato.

Garantire continuità nella discontinuità: è que­sta in sintesi la grande scommessa di Gop. Inter­nazionalizzazione, penetrazione nel tessuto delle pmi italiane e formazione di una seconda gene­razione di avvocati sono temi entrati con forza nell’agenda dello studio, ben prima che le carte fossero rimestate dalla crisi economica che ha in­vestito il paese e dalla diaspora che nel 2008 ha dato origine a Legance, sottraendo a Gop 100 pro­fessionisti e circa 30 milioni di fatturato.


Oggi, il volto di Gop – un antesignano su molti dei cardini su cui si sta snodando l’odier­na ricerca di istituzionalizzazione delle insegne legali – è quello di un gigante italiano dei servi­zi legali, che ha saputo ricostruirsi e tornare in auge, capace di essere ovunque e con chiunque, ma con meno spazio di un tempo per rallenta­re la corsa e godersi, con parcelle senza limiti, i vantaggi della posizione. « Attrezzarsi con una macchina efficiente che sappia superare la “cul­tura dell’io” in favore di quella del “ noi” e pron­ta a rispondere alle esigenze di un mercato in crisi » : è questa la via tracciata dal co- fondatore dell’insegna, Francesco Gianni, per permettere allo studio di non rallentare la corsa. 


Tra incudine e martello 

Per raggiungere l’obiettivo l’insegna guidata da Gianni deve, però, fare i conti, appunto, con una doppia sfida. Da un lato, le pressioni di un mercato che, a cinque anni dall’implosione di Lehman Brothers, ha cambiato totalmente vol­to. I grandi deal languono nell’Italia di oggi. E le maxi- operazioni, così esigue da potersi contare sulle dita di una mano, per quanto ben remu­nerate da sole non possono giustificare certo l’esistenza di realtà con oltre 250 professioni­sti. La sfida, allora, sta nel superare lo iato tra il passato, che aveva dato i natali e tarato l’in­segna sui grandi clienti, e il futuro, che impone di muoversi verso quel segmento di aziende che fatturano da 0,5 a 2 miliardi e che costituiscono il tessuto produttivo italiano.

Dall’altro lato, ci sono le pressioni seguite a due spin off – di Labruna Mazziotti Segni e di Legance – che hanno avuto origine per la man­canza di condivisione della visione strategica e che hanno lasciato lo studio sguarnito di se­conde e terze linee. Ma la macchina ha conti­nuato ad andare avanti, seguendo la direzione tracciata nel 2006. E l’obiettivo, oggi, è ricreare la classe dirigente del futuro. E sulla costru­zione di questo progetto che ha lavorato negli ultimi due anni lo studio, favorendo la crescita interna e per linee laterali.


Leitmotiv della crescita, quella che Gianni de­finisce una « scelta di socialità » , vale a dire l’idea di un’insegna come qualcosa di assai più di un’ag­gregazione di professionisti: lo studio come or­ganizzazione strutturata e continuativa, che vede gli avvocati come un fattore- produttivo- lavoro da conservare all’interno della struttura. Anche quando il fattore è sotto- utilizzato. Ecco allora che, a differenza di quanto fatto da alcuni con­correnti internazionali, lo studio non ha ancora portato avanti alcuna strategia di ridimensiona­mento ( tanto da essere oggi lo studio più grande d’Italia). Invece, preferisce adottare meccanismi di variabilizzazione remunerativa ( il 20% delle retribuzioni delle due fasce che precedono l’equi­ty dipende dalle singole prestazioni). Una politi­ca che, però, rema contro la massimizzazione de­gli utili. E c’è da chiedersi quanto sia sostenibile questa politica sociale se, come sostengono fonti vicine allo studio, anche le porte di Gop siano de­stinate a diventare presto girevoli.

Il futuro dell’insegna si sta delineando su due livelli. Il primo consiste nel creare un’organiz­zazione formato multiboutique – in grado di rimanere nella fascia alta del mercato e di andare al contempo al traino delle pmi italiane pronte a investire sull’internazionalizzazione. Il secondo nel guidare i professionisti in una difficile virata culturale verso l’istituzionaliz­zazione. Espandere le sedi periferiche ( italiane ed estere), differenziare il rischio sulla cliente­la sviluppando quella già in pacchetto ed ab­bassare i costi di produzione sono le sfide da affrontare per giocare la partita. 

Obiettivo periferia 

Il mercato si sta segmentando secondo una lo­gica complessa e intrecciata. Da un lato si ac­centua la strategia multiservice che alimenta la forza gravitazionale di un certo risicato numero di studi legali. Dall’altro, gli stessi sono alla ri­cerca di una specializzazione che consenta rico­noscibilità su fronti prima meno battuti. Questa complessità Gop ha deciso di affrontarla anzi­tutto mantenendo e consolidando la sua posi­zione nella fascia alta del mercato.

Guardando le grandi operazioni degli ultimi 18 mesi, lo studio risulta aver conservato intatta la sua capacità performante, riuscendo a met­tere in pancia le più appetibili: Wind -Vimple-Com, General Electric- Avio, Atlantia- Gemina, Delmi- Edipower. Inoltre, secondo i dati Mer­germarket, per il 2013 si pone in vetta rispetto ai diretti concorrenti per valore complessivo e per valore medio delle operazioni di fusioni e acquisizioni. È stato advisor di nove operazio­ni per un valore complessivo di 7,9 miliardi di euro; mentre a Chiomenti ( in seconda posizio­ne) sono state necessarie 20 operazioni per rag­giungere quota 7,8 miliardi di euro e a Bonelli Erede Pappalardo ( terzo sul podio) 13 operazio­ni per raggiungere i 7,4 miliardi.

Al consolidamento nella parte alta del mer­cato, è stata affiancata una strategia di con­quista anche di un mercato di seconda fascia, quello indicato ( spesso con un disprezzo fuori luogo) come mid market. « L’Italia è un paese in cui puoi sognare di lavorare in grande, ma se si vuole mantenere un posizionamento e una redditività si deve lavorare anche con le me­die aziende » , sottolinea Gianni. Prima di altri big del mercato, Gop ha capito che sono finiti i tempi in cui essere avvocati di provincia pa­gava poco e pagava male. « I grandissimi clienti hanno le risorse per andare all’estero per conto proprio, hanno meno bisogno di noi. Quelli che hanno bisogno del nostro valore aggiunto sono i clienti di medie dimensioni » . È con loro, tra l’altro, che i margini sono più alti. Per questo motivo, Gop ha investito in provincia, racco­gliendo le sfide di un contesto dove esistono già studi affermati, con un forte spirito internazio­nale o boutique ad alta specializzazione, lonta­ni dalla tipica attività legale generalista, e con­tando su clienti consolidati come Manutencoop e Geox. Nel 2010 ha raddoppiato le dimensioni dell’ufficio di Padova con l’arrivo di un nutrito gruppo di professionisti provenienti da Simmons & Simmons. E in settembre ha reclutato l’of counsel Oliviero Edoardo Pessi, ex general counsel di Assicurazioni Generali, portando a quota 25 i professionisti di stanza a Padova, diventata la terza sede per fatturato, contando per il 6% sul fatturato annuo totale. 

Le attività periferiche si sono spinte anche sul fronte estero. Cina in primis, come dimostrano alcuni recenti mandati. Tra le operazioni più rilevanti seguite dallo studio, l’acquisizione del 28,6% di Eni East Africa (deal da 3,237 milioni) per conto della China National Petroleum Cor­poration. È così che – anche se al momento non si può ancora parlare dell’apertura di una sede cinese – l’insegna ha deciso di sondare le oppor­tunità offerte dal business locale con un avam­posto a Hong Kong presidiato da Stefano Beghi

Cina, ma non solo. Lo studio ha, infatti, un desk coreano sotto la guida del socio Mauro Sambati e dall’anno scorso opera stabilmente con una sede ad Abu Dhabi guidata dal socio Riccardo Sensi. Una sede che ha permesso allo studio di assistere Maire Tecnimont nell’aggiudicazione di una commessa del valore complessivo di 880 milioni di dollari per la costruzione delle rete ferroviaria di Abu Dhabi Etihad Rail. Il punto di raccordo per gli uffici fuori dall’Italia e per i desk internazionali è Londra, dove l’anno scorso è stato trasferito il socio specializzato in m& a Raimondo Premonte per rispondere alle esi­genze dei clienti dello studio e originare nuovi mandati dal private equity. Nella City, Gop ge­nera il 3% del suo fatturato. 

Studio: una macchina da efficientare 

Secondo Gianni, « è importante guardare non tanto il riflesso individuale delle cose quanto quello collettivo. L’organizzazione deve fun­zionare nel suo complesso » . Tenendo d’occhio questo obiettivo, lo studio si sta muovendo su più fronti: la riforma della partnership, lo svi­luppo della clientela in portafoglio e una strut­turazione interna per cross practice. Guardare il mercato, infatti, non basta. Per affrontare le sfi­de imposte da clienti e competitor più sofisticati non si può prescindere da un’analisi interna, che tocchi il modello e la struttura di un’insegna.

La ristrutturazione della corporate governan­ce, in termini di partnership, si è tradotta in una maggiore diversificazione del rischio legato alla clientela, con molti partner in grado di perfor­mare più o meno agli stessi livelli, in modo tale da evitare che l’uscita di uno incida in maniera pericolosa sul fatturato. Oggi l’insegna conta 48 equity partner. Dopo l’ingresso di Roberto Cappelli, che ha portato allo studio clienti come Unicredit e Prelios, sono stati fatti altri cinque equity: due per lateral hire ( Luigi Chessa e Paola Tradati) e tre per crescita interna ( Davide Braghini, Giuseppe Cannizzaro e Mario Todino).

Dei 48 equity, stando alle dichiarazioni di Gianni, 40 portano in cassa almeno un milione di euro ciascuno. Contemporaneamente, e se­guendo questa logica di distribuzione del lavoro, è diminuito drasticamente il peso dello stesso Gianni, che se prima rappresentava da solo un terzo del fatturato (con circa 30 milioni di euro), oggi ha dimezzato il suo contributo, quotando intorno ai 15 milioni. In termini di distribuzione di utili, la diversificazione del rischio ha portato ad una formula che prevede che l’ 80% degli utili sia distribuito secondo punti di lockstep ( si entra a 20 e si arriva a 100). Per garantire uniformità al sistema, l’unico fuori formula è proprio Gian­ni, la cui partecipazione scende ogni anno. Il re­stante 20% degli utili è assegnato come bonus dal comitato compensi in base a sette criteri, tra cui primeggia il cross selling.

Il secondo passo su cui si sta muovendo la ri­strutturazione del modello è lo sviluppo della clientela in portafoglio. « Tutte le analisi di merca­to lo dicono già da tempo – commenta a riguardo Gianni – Costa cinque volte di più prendere un nuovo cliente che sviluppare servizi sui clienti già acquisiti. Se da ogni cliente che abbiamo si riuscis­se a prendere il 5% di lavoro in più, gli utili aumen­terebbero e si offrirebbe un servizio migliore » . È così che da oltre un anno lo studio aggiorna seme­stralmente un’analisi sul parco clienti: quanti sono in pancia e quanto ogni singolo cliente incide sul business complessivo. Ovviamente si tratta di una piramide inversa: i primi clienti, quelli che gene­rano il fatturato più alto individualmente, rappre­sentano una piccolissima parte del totale, mentre i più piccoli costituiscono la maggioranza. Ed è su questi che lo studio sta lavorando, incentivando l’idea di condivisione del cliente. «Una sfida che si scontra contro una cultura radicata», ammette Gianni, che prosegue: « L’andamento economico del paese, il dumping sulle tariffe, i ritardi nei pa­gamenti delle fatture e le gare per l’assegnazione dei mandati spingono per un atteggiamento poco favorevole alla condivisione del cliente » . Tuttavia lo studio sembra aver conseguito risultati signifi­cativi. « Negli ultimi cinque anni si è assistito a un incremento continuo del cross selling da parte di practice un tempo considerate ancillari » .

Terza sfida da affrontare, strettamente legata alle esigenze della domanda, è il costo di produzione. La domanda con cui lo studio si confronta già da tempo è: quanto costa produrre un servizio rispetto a quanto il cliente è disposto a pagarlo? Non volen­do derogare sulla qualità, per non rischiare di per­dere l’egida sul mercato, l’insegna sta cercando di gestire meglio il costo del lavoro riducendo i prac­tice group, in modo da rendere un professionista utilizzabile su una gamma di prodotti più ampia.

Tutti questi cambiamenti remano in un’uni­ca direzione: la creazione di una cultura con­divisa. Un processo che richiede i suoi tempi. E il co- fondatore di Gop ne è ben consapevole: « Quando mi figuro questi cambiamenti non posso aspettarmi che lo studio funzioni come un gommone, che vira con un semplice sposta­mento del volante. Siamo una corazzata, che richiede tempi di manovra maggiori. Gli avvo­cati devono capire che la virata culturale è indi­spensabile, ma bisogna dare il tempo alla nuova cultura di germogliare e crescere. Allora sì che la corazzata diventerà un gommone » .

Certo, per quanto la macchina possa essere studiata fin nei più piccoli ingranaggi, la realtà è però che la governance, anche la più illuminata, deve fare i conti – mutuando le parole di Kant – con un sistema fatto di “diavoli razionali” i quali desiderano tutti insieme sottoporsi, per la pro­pria conservazione, a regole comuni ma alle quali ognuno nel segreto del suo animo tende però a sottrarsi, muovendo dal proprio interesse indivi­duale. Quanto la strategia di Gop risulterà ben congeniata per vincere la partita è difficile a dir­si. Come in ogni partita, molto dipenderà anche dalle carte messe sul tavolo dagli altri giocatori. Nonché dall’animo di tanti diavoli razionali. 

Otto anni di modernizzazione 

Il piano per la spersonalizzazione e la gestione strategica dello studio si afferma nel 2006. Un progetto talvolta costoso ma mai abbandonato
Le origini del progetto di istituzionalizza­zione in casa Gianni affondano le loro radici nel 2006, quando per la prima volta vengono affidati ruo­li di gestione a 14 soci. Lo studio crea un comitato ese­cutivo a cui si aggiungono un comitato per la remune­razione, uno per l’opinione e infine un comitato per i bonus. Al contempo, si por­tanto modifiche al lockstep, per incentivare la formazio­ne interna e le attività solo indirettamente legate al fee earning, e si guarda alla di­versificazione dei clienti che porterà lo studio a investire sull’internazionalizzazione (all’inizio del 2007 sarà cre­ato il ‘Cindia’ Desk).

Sin da subito, però, emer­gono forti resistenze inter­ne. Nel febbraio 2006, arri­va il primo colpo duro con l’uscita di quattro soci che andranno a fondare Labru­na Mazziotti Segni. Og­getto del contendere sono proprio i ruoli di gestione e la strategia di crescita, en­trambi respinti dai soci di seconda generazione.

Tuttavia, lo studio acce­lera sulle riforme durante il 2007 che segnerà il suo annus horribilis. A metà anno, crea ruoli separati per le cariche di senior partner (affidata a France­sco Gianni) e managing partner ( Giovanni Nardulli). Passano al­cuni mesi e sorge una nuova cri­si interna. Questa volta si tratta dell’uscita di 17 soci e un totale di 85 avvocati, quasi un terzo dello studio. Ad alzare i tacchi anche importanti pezzi del top mana­gement: Filippo Troisi, Bruno Bartocci e lo stesso Giovanni Nardulli, nominato managing partner solo tre mesi prima. Le tensioni incolmabili riguadano di nuovo la strategia, in particolare, il destino delle sedi provinciali (Bologna, Torino e Napoli) che gli scissionisti vorrebbero chiudere (a fine mese, lo studio è costret­to ad abbandonare la presenza partenopea dopo un esperimento durato quattro anni). Con i ribelli appena fuori la porta, a novem­bre l’assemblea dei soci nomina Tomaso Cencicome nuovo managing partner, mentre al co­mitato esecutivo elegge lo stesso Cenci, Gianluca Ghersini, GianBattista Origoni, Ottaviano Sanseverino, Domenico TulliMarco Zaccagnini. A fine anno lo studio si spacca in due. Gianni Origoni Grippo e Legance saran­no da ora in avanti l’espressione di due approcci inconciliabili sul mercato italiano.

Al primo round di nomine dopo la disfatta Legance, lo studio promuove 10 soci a inizio 2008. Subito dopo, decolla la campagna ac­quisti: Marco Gubitosi arriva da LCA Lega Colucci & Associati per ricostruire il corporate fi­nance (Gubitosi uscirà per avviare la sede londinese di Legance in ottobre 2012). Due anni dopo nel 2010, giunge l’intera squadra padovana di Simmons & Simmons, portando a cin­que i soci nell’hub veneto. L’espansione territoriale successivamente si sposta sui meracti esteri e nel 2011 lo studio inaugura la sede di Abu Dhabi, guidata da Riccardo Sensi, diventan­do il primo studio italiano in Medio Oriente. Sempre a novembre del 2011, i soci approvano l’ingresso di Roberto Cappelli con 10 associate dal traballante Grimaldi. Cambia l’insegna per la prima volta dal 2002 (con l’approdo di Eugenio Grippo da Simmons). Lo sviluppo della strategia in­ternazionale fa un passo ulteriore lo scorso aprile con il trasferimento di Stefano Beghi, già responsabi­le del desk Cina dall’Italia, a Hong Kong per seguire i clienti con interessi nella Cina.

Articolo pubblicato in TopLegal ottobre 2013

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