Uno studio assomiglia per tanti versi a un ecosistema da salvaguardare e preservare dai cambiamenti interni ed esterni alla sua struttura. Così come ogni ecosistema, oggi radicalmente diverso da com’era anche solo poche decine di anni fa, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners (Gop) sta mutando pelle, mantenendo però la barra dritta su un piano che parte dal 2006. E scontrandosi con forze endogene ed esogene che hanno soffiato contro il progetto di innovazione già avviato.
Garantire continuità nella discontinuità: è questa in sintesi la grande scommessa di Gop. Internazionalizzazione, penetrazione nel tessuto delle pmi italiane e formazione di una seconda generazione di avvocati sono temi entrati con forza nell’agenda dello studio, ben prima che le carte fossero rimestate dalla crisi economica che ha investito il paese e dalla diaspora che nel 2008 ha dato origine a Legance, sottraendo a Gop 100 professionisti e circa 30 milioni di fatturato.
Oggi, il volto di Gop – un antesignano su molti dei cardini su cui si sta snodando l’odierna ricerca di istituzionalizzazione delle insegne legali – è quello di un gigante italiano dei servizi legali, che ha saputo ricostruirsi e tornare in auge, capace di essere ovunque e con chiunque, ma con meno spazio di un tempo per rallentare la corsa e godersi, con parcelle senza limiti, i vantaggi della posizione. « Attrezzarsi con una macchina efficiente che sappia superare la “cultura dell’io” in favore di quella del “ noi” e pronta a rispondere alle esigenze di un mercato in crisi » : è questa la via tracciata dal co- fondatore dell’insegna, Francesco Gianni, per permettere allo studio di non rallentare la corsa.
Tra incudine e martello
Per raggiungere l’obiettivo l’insegna guidata da Gianni deve, però, fare i conti, appunto, con una doppia sfida. Da un lato, le pressioni di un mercato che, a cinque anni dall’implosione di Lehman Brothers, ha cambiato totalmente volto. I grandi deal languono nell’Italia di oggi. E le maxi- operazioni, così esigue da potersi contare sulle dita di una mano, per quanto ben remunerate da sole non possono giustificare certo l’esistenza di realtà con oltre 250 professionisti. La sfida, allora, sta nel superare lo iato tra il passato, che aveva dato i natali e tarato l’insegna sui grandi clienti, e il futuro, che impone di muoversi verso quel segmento di aziende che fatturano da 0,5 a 2 miliardi e che costituiscono il tessuto produttivo italiano.
Dall’altro lato, ci sono le pressioni seguite a due spin off – di Labruna Mazziotti Segni e di Legance – che hanno avuto origine per la mancanza di condivisione della visione strategica e che hanno lasciato lo studio sguarnito di seconde e terze linee. Ma la macchina ha continuato ad andare avanti, seguendo la direzione tracciata nel 2006. E l’obiettivo, oggi, è ricreare la classe dirigente del futuro. E sulla costruzione di questo progetto che ha lavorato negli ultimi due anni lo studio, favorendo la crescita interna e per linee laterali.
Leitmotiv della crescita, quella che Gianni definisce una « scelta di socialità » , vale a dire l’idea di un’insegna come qualcosa di assai più di un’aggregazione di professionisti: lo studio come organizzazione strutturata e continuativa, che vede gli avvocati come un fattore- produttivo- lavoro da conservare all’interno della struttura. Anche quando il fattore è sotto- utilizzato. Ecco allora che, a differenza di quanto fatto da alcuni concorrenti internazionali, lo studio non ha ancora portato avanti alcuna strategia di ridimensionamento ( tanto da essere oggi lo studio più grande d’Italia). Invece, preferisce adottare meccanismi di variabilizzazione remunerativa ( il 20% delle retribuzioni delle due fasce che precedono l’equity dipende dalle singole prestazioni). Una politica che, però, rema contro la massimizzazione degli utili. E c’è da chiedersi quanto sia sostenibile questa politica sociale se, come sostengono fonti vicine allo studio, anche le porte di Gop siano destinate a diventare presto girevoli.
Il futuro dell’insegna si sta delineando su due livelli. Il primo consiste nel creare un’organizzazione formato multiboutique – in grado di rimanere nella fascia alta del mercato e di andare al contempo al traino delle pmi italiane pronte a investire sull’internazionalizzazione. Il secondo nel guidare i professionisti in una difficile virata culturale verso l’istituzionalizzazione. Espandere le sedi periferiche ( italiane ed estere), differenziare il rischio sulla clientela sviluppando quella già in pacchetto ed abbassare i costi di produzione sono le sfide da affrontare per giocare la partita.
Obiettivo periferia
Il mercato si sta segmentando secondo una logica complessa e intrecciata. Da un lato si accentua la strategia multiservice che alimenta la forza gravitazionale di un certo risicato numero di studi legali. Dall’altro, gli stessi sono alla ricerca di una specializzazione che consenta riconoscibilità su fronti prima meno battuti. Questa complessità Gop ha deciso di affrontarla anzitutto mantenendo e consolidando la sua posizione nella fascia alta del mercato.
Guardando le grandi operazioni degli ultimi 18 mesi, lo studio risulta aver conservato intatta la sua capacità performante, riuscendo a mettere in pancia le più appetibili: Wind -Vimple-Com, General Electric- Avio, Atlantia- Gemina, Delmi- Edipower. Inoltre, secondo i dati Mergermarket, per il 2013 si pone in vetta rispetto ai diretti concorrenti per valore complessivo e per valore medio delle operazioni di fusioni e acquisizioni. È stato advisor di nove operazioni per un valore complessivo di 7,9 miliardi di euro; mentre a Chiomenti ( in seconda posizione) sono state necessarie 20 operazioni per raggiungere quota 7,8 miliardi di euro e a Bonelli Erede Pappalardo ( terzo sul podio) 13 operazioni per raggiungere i 7,4 miliardi.
Al consolidamento nella parte alta del mercato, è stata affiancata una strategia di conquista anche di un mercato di seconda fascia, quello indicato ( spesso con un disprezzo fuori luogo) come mid market. « L’Italia è un paese in cui puoi sognare di lavorare in grande, ma se si vuole mantenere un posizionamento e una redditività si deve lavorare anche con le medie aziende » , sottolinea Gianni. Prima di altri big del mercato, Gop ha capito che sono finiti i tempi in cui essere avvocati di provincia pagava poco e pagava male. « I grandissimi clienti hanno le risorse per andare all’estero per conto proprio, hanno meno bisogno di noi. Quelli che hanno bisogno del nostro valore aggiunto sono i clienti di medie dimensioni » . È con loro, tra l’altro, che i margini sono più alti. Per questo motivo, Gop ha investito in provincia, raccogliendo le sfide di un contesto dove esistono già studi affermati, con un forte spirito internazionale o boutique ad alta specializzazione, lontani dalla tipica attività legale generalista, e contando su clienti consolidati come Manutencoop e Geox. Nel 2010 ha raddoppiato le dimensioni dell’ufficio di Padova con l’arrivo di un nutrito gruppo di professionisti provenienti da Simmons & Simmons. E in settembre ha reclutato l’of counsel Oliviero Edoardo Pessi, ex general counsel di Assicurazioni Generali, portando a quota 25 i professionisti di stanza a Padova, diventata la terza sede per fatturato, contando per il 6% sul fatturato annuo totale.
Le attività periferiche si sono spinte anche sul fronte estero. Cina in primis, come dimostrano alcuni recenti mandati. Tra le operazioni più rilevanti seguite dallo studio, l’acquisizione del 28,6% di Eni East Africa (deal da 3,237 milioni) per conto della China National Petroleum Corporation. È così che – anche se al momento non si può ancora parlare dell’apertura di una sede cinese – l’insegna ha deciso di sondare le opportunità offerte dal business locale con un avamposto a Hong Kong presidiato da Stefano Beghi.
Cina, ma non solo. Lo studio ha, infatti, un desk coreano sotto la guida del socio Mauro Sambati e dall’anno scorso opera stabilmente con una sede ad Abu Dhabi guidata dal socio Riccardo Sensi. Una sede che ha permesso allo studio di assistere Maire Tecnimont nell’aggiudicazione di una commessa del valore complessivo di 880 milioni di dollari per la costruzione delle rete ferroviaria di Abu Dhabi Etihad Rail. Il punto di raccordo per gli uffici fuori dall’Italia e per i desk internazionali è Londra, dove l’anno scorso è stato trasferito il socio specializzato in m& a Raimondo Premonte per rispondere alle esigenze dei clienti dello studio e originare nuovi mandati dal private equity. Nella City, Gop genera il 3% del suo fatturato.
Studio: una macchina da efficientare
Secondo Gianni, « è importante guardare non tanto il riflesso individuale delle cose quanto quello collettivo. L’organizzazione deve funzionare nel suo complesso » . Tenendo d’occhio questo obiettivo, lo studio si sta muovendo su più fronti: la riforma della partnership, lo sviluppo della clientela in portafoglio e una strutturazione interna per cross practice. Guardare il mercato, infatti, non basta. Per affrontare le sfide imposte da clienti e competitor più sofisticati non si può prescindere da un’analisi interna, che tocchi il modello e la struttura di un’insegna.
La ristrutturazione della corporate governance, in termini di partnership, si è tradotta in una maggiore diversificazione del rischio legato alla clientela, con molti partner in grado di performare più o meno agli stessi livelli, in modo tale da evitare che l’uscita di uno incida in maniera pericolosa sul fatturato. Oggi l’insegna conta 48 equity partner. Dopo l’ingresso di Roberto Cappelli, che ha portato allo studio clienti come Unicredit e Prelios, sono stati fatti altri cinque equity: due per lateral hire ( Luigi Chessa e Paola Tradati) e tre per crescita interna ( Davide Braghini, Giuseppe Cannizzaro e Mario Todino).
Dei 48 equity, stando alle dichiarazioni di Gianni, 40 portano in cassa almeno un milione di euro ciascuno. Contemporaneamente, e seguendo questa logica di distribuzione del lavoro, è diminuito drasticamente il peso dello stesso Gianni, che se prima rappresentava da solo un terzo del fatturato (con circa 30 milioni di euro), oggi ha dimezzato il suo contributo, quotando intorno ai 15 milioni. In termini di distribuzione di utili, la diversificazione del rischio ha portato ad una formula che prevede che l’ 80% degli utili sia distribuito secondo punti di lockstep ( si entra a 20 e si arriva a 100). Per garantire uniformità al sistema, l’unico fuori formula è proprio Gianni, la cui partecipazione scende ogni anno. Il restante 20% degli utili è assegnato come bonus dal comitato compensi in base a sette criteri, tra cui primeggia il cross selling.
Il secondo passo su cui si sta muovendo la ristrutturazione del modello è lo sviluppo della clientela in portafoglio. « Tutte le analisi di mercato lo dicono già da tempo – commenta a riguardo Gianni – Costa cinque volte di più prendere un nuovo cliente che sviluppare servizi sui clienti già acquisiti. Se da ogni cliente che abbiamo si riuscisse a prendere il 5% di lavoro in più, gli utili aumenterebbero e si offrirebbe un servizio migliore » . È così che da oltre un anno lo studio aggiorna semestralmente un’analisi sul parco clienti: quanti sono in pancia e quanto ogni singolo cliente incide sul business complessivo. Ovviamente si tratta di una piramide inversa: i primi clienti, quelli che generano il fatturato più alto individualmente, rappresentano una piccolissima parte del totale, mentre i più piccoli costituiscono la maggioranza. Ed è su questi che lo studio sta lavorando, incentivando l’idea di condivisione del cliente. «Una sfida che si scontra contro una cultura radicata», ammette Gianni, che prosegue: « L’andamento economico del paese, il dumping sulle tariffe, i ritardi nei pagamenti delle fatture e le gare per l’assegnazione dei mandati spingono per un atteggiamento poco favorevole alla condivisione del cliente » . Tuttavia lo studio sembra aver conseguito risultati significativi. « Negli ultimi cinque anni si è assistito a un incremento continuo del cross selling da parte di practice un tempo considerate ancillari » .
Terza sfida da affrontare, strettamente legata alle esigenze della domanda, è il costo di produzione. La domanda con cui lo studio si confronta già da tempo è: quanto costa produrre un servizio rispetto a quanto il cliente è disposto a pagarlo? Non volendo derogare sulla qualità, per non rischiare di perdere l’egida sul mercato, l’insegna sta cercando di gestire meglio il costo del lavoro riducendo i practice group, in modo da rendere un professionista utilizzabile su una gamma di prodotti più ampia.
Tutti questi cambiamenti remano in un’unica direzione: la creazione di una cultura condivisa. Un processo che richiede i suoi tempi. E il co- fondatore di Gop ne è ben consapevole: « Quando mi figuro questi cambiamenti non posso aspettarmi che lo studio funzioni come un gommone, che vira con un semplice spostamento del volante. Siamo una corazzata, che richiede tempi di manovra maggiori. Gli avvocati devono capire che la virata culturale è indispensabile, ma bisogna dare il tempo alla nuova cultura di germogliare e crescere. Allora sì che la corazzata diventerà un gommone » .
Certo, per quanto la macchina possa essere studiata fin nei più piccoli ingranaggi, la realtà è però che la governance, anche la più illuminata, deve fare i conti – mutuando le parole di Kant – con un sistema fatto di “diavoli razionali” i quali desiderano tutti insieme sottoporsi, per la propria conservazione, a regole comuni ma alle quali ognuno nel segreto del suo animo tende però a sottrarsi, muovendo dal proprio interesse individuale. Quanto la strategia di Gop risulterà ben congeniata per vincere la partita è difficile a dirsi. Come in ogni partita, molto dipenderà anche dalle carte messe sul tavolo dagli altri giocatori. Nonché dall’animo di tanti diavoli razionali.
Otto anni di modernizzazione
Il piano per la spersonalizzazione e la gestione strategica dello studio si afferma nel 2006. Un progetto talvolta costoso ma mai abbandonato
Le origini del progetto di istituzionalizzazione in casa Gianni affondano le loro radici nel 2006, quando per la prima volta vengono affidati ruoli di gestione a 14 soci. Lo studio crea un comitato esecutivo a cui si aggiungono un comitato per la remunerazione, uno per l’opinione e infine un comitato per i bonus. Al contempo, si portanto modifiche al lockstep, per incentivare la formazione interna e le attività solo indirettamente legate al fee earning, e si guarda alla diversificazione dei clienti che porterà lo studio a investire sull’internazionalizzazione (all’inizio del 2007 sarà creato il ‘Cindia’ Desk).
Sin da subito, però, emergono forti resistenze interne. Nel febbraio 2006, arriva il primo colpo duro con l’uscita di quattro soci che andranno a fondare Labruna Mazziotti Segni. Oggetto del contendere sono proprio i ruoli di gestione e la strategia di crescita, entrambi respinti dai soci di seconda generazione.
Tuttavia, lo studio accelera sulle riforme durante il 2007 che segnerà il suo annus horribilis. A metà anno, crea ruoli separati per le cariche di senior partner (affidata a Francesco Gianni) e managing partner ( Giovanni Nardulli). Passano alcuni mesi e sorge una nuova crisi interna. Questa volta si tratta dell’uscita di 17 soci e un totale di 85 avvocati, quasi un terzo dello studio. Ad alzare i tacchi anche importanti pezzi del top management: Filippo Troisi, Bruno Bartocci e lo stesso Giovanni Nardulli, nominato managing partner solo tre mesi prima. Le tensioni incolmabili riguadano di nuovo la strategia, in particolare, il destino delle sedi provinciali (Bologna, Torino e Napoli) che gli scissionisti vorrebbero chiudere (a fine mese, lo studio è costretto ad abbandonare la presenza partenopea dopo un esperimento durato quattro anni). Con i ribelli appena fuori la porta, a novembre l’assemblea dei soci nomina Tomaso Cencicome nuovo managing partner, mentre al comitato esecutivo elegge lo stesso Cenci, Gianluca Ghersini, GianBattista Origoni, Ottaviano Sanseverino, Domenico Tulli e Marco Zaccagnini. A fine anno lo studio si spacca in due. Gianni Origoni Grippo e Legance saranno da ora in avanti l’espressione di due approcci inconciliabili sul mercato italiano.
Al primo round di nomine dopo la disfatta Legance, lo studio promuove 10 soci a inizio 2008. Subito dopo, decolla la campagna acquisti: Marco Gubitosi arriva da LCA Lega Colucci & Associati per ricostruire il corporate finance (Gubitosi uscirà per avviare la sede londinese di Legance in ottobre 2012). Due anni dopo nel 2010, giunge l’intera squadra padovana di Simmons & Simmons, portando a cinque i soci nell’hub veneto. L’espansione territoriale successivamente si sposta sui meracti esteri e nel 2011 lo studio inaugura la sede di Abu Dhabi, guidata da Riccardo Sensi, diventando il primo studio italiano in Medio Oriente. Sempre a novembre del 2011, i soci approvano l’ingresso di Roberto Cappelli con 10 associate dal traballante Grimaldi. Cambia l’insegna per la prima volta dal 2002 (con l’approdo di Eugenio Grippo da Simmons). Lo sviluppo della strategia internazionale fa un passo ulteriore lo scorso aprile con il trasferimento di Stefano Beghi, già responsabile del desk Cina dall’Italia, a Hong Kong per seguire i clienti con interessi nella Cina.
Articolo pubblicato in TopLegal ottobre 2013
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