di Valentina Magri
Questo mese Tim ha concluso un progetto che è stato al centro delle cronache per più di vent’anni: lo scorporo della rete. Sono stati anni contraddistinti da analisi, discussioni e progetti susseguitisi nel tempo, ma mai realizzati; più di recente, un primo tentativo, rimasto senza successo, è stato l’accordo per la cessione della rete e successiva integrazione con quella di Open Fiber, che vedeva coinvolti, oltre Tim, anche il consorzio formato da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e Macquarie, da un lato, e il fondo Kkr, dall’altro al tempo del governo Draghi. Fallito quel progetto, un nuovo processo competitivo tra il suddetto consorzio e Kkr ha visto prevalere quest’ultimo e concludere con successo la cessione della rete. A dare una decisa spinta verso la vendita è stato il piano di Tim di riduzione del debito, divenuto ormai insostenibile, approvato nell’estate 2022. L’operazione ha riguardato non solo la cessione della rete, ma altresì il trasferimento del debito di Tim, verificando disponibilità degli obbligazionisti della società ad accettare una cosiddetta “exchange offer” e far scendere il credito nella nuova entità infrastrutturale. Nel progetto è poi entrato il Governo con l’obiettivo di presidiare un’infrastruttura strategica e accelerarne il completamento, assieme a un partner solido e affidabile.
La cessione della rete non ha rappresentato solo una mera operazione finanziaria, ma anche un’opportunità di ri-focalizzazione strategica. «Con lo scorporo della rete, Tim si libera dai vincoli regolatori, per concentrarsi meglio sulla parte servizi e competere in un modo nuovo e più aggressivo; Tim crede nei servizi digitali e di cyber security, che assieme al cloud rappresentano un’eccellenza della società», spiega il general counsel, legal and tax affairs executive vice president e segretario del Cda di Tim, Agostino Nuzzolo.
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