Nel corso del 2014 è stata sempre più forte la percezione che anche sul fronte delle direzioni affari legali qualcosa sia mutato. Lo iato tra il sistema Italia e il contesto economico internazionale rende sempre più evidente la necessità, accelerata dalle forti pressioni estere, di realizzare profonde trasformazioni organizzative. Aumenta la partecipazione di investitori stranieri nel capitale sociale delle aziende italiane. Mentre alcune società del Belpaese sono chiamate alla sfida dell’internazionalizzazione e dell’espansione verso l’estero, le multinazionali devono affrontare quella della razionalizzazione della struttura e delle funzioni, sempre più spesso accorpate non a livello di singole nazioni, ma di macro- regioni. Non stupisce, quindi, il riassetto che sta imperversando sulle strutture legali di numerose realtà, che porta a scardinare poltrone e ruoli del personale. Riassetto favorito dal fatto che – sulla scorta del modello anglosassone – si sta radicando anche in Italia un comportamento per cui le sorti del General counsel sono legate a quelle dell’Amministratore delegato: al cambio di management fa spesso seguito un valzer di poltrone tra in- house counsel.
In questo nuovo scenario, la direzione affari legali, al pari delle altre funzioni aziendali, è diventata destinataria di obiettivi di business. Agli in-house è chiesto di trovare soluzioni compatibili con il business, nei tempi del business (sempre più stretti) e nel rispetto del budget. Essendo destinatari di obiettivi, per i General counsel è sempre più comune ritrovare l’introduzione nelle loro logiche remunerative di success fee e incentivi legati alla soddisfazione dei loro clienti interni. La qualità delle prestazioni e l’efficienza gestionale, quindi, è diventata determinante per stabilire il contenuto della busta paga. Così, i legal counsel italiani, al pari degli advisor esterni, sono chiamati a rimodulare l’offerta nei confronti dei loro clienti interni, affrontando il problema dei costi in maniera strutturale e riconfigurando i processi di lavoro, per arrivare all’efficienza strutturale.
Per efficientare la macchina, negli ultimi anni le direzioni hanno inseguito sempre più una politica di autonomia e autogestione attraverso la crescita interna e il reclutamento di professionisti provenienti dagli studi. La tendenza, persistita anche tra il 2013 e il 2014, è in flessione rispetto al passato. A fronte di una mole di lavoro in aumento, le squadre non vengono più incrementate. Piuttosto, si cerca una razionalizzazione della struttura per evitare inutili duplicazioni di attività. Diventano, quindi, fondamentali le sinergie e l’organizzazione, con l’utilizzo trasversale delle risorse interne. Un esempio è il ricorso a professionisti appartenenti a divisioni meno cariche di lavoro per gestire attività commodity come il recupero crediti. Un altro è la strutturazione piramidale della direzione legale per risparmiare dispersione e duplicazioni di lavoro. Basti pensare alla riorganizzazione intrapresa quest’anno dalla direzione legale di Santander, una realtà relativamente piccola in Italia in cui sono stati creati tre livelli di riporto legale.
Da un’analisi incrociata di quanto emerso nel corso dalla General Counsel Agenda 2014, la recente indagine su 83 direttori affari legali in Italia condotta del Centro Studi TopLegal, a cui hanno preso parte medie e grandi aziende italiane nonché società straniere (si veda la Tabella 1), si nota che la maggior parte delle direzioni affari legali sono chiamare a gestire il lavoro contando su un numero ridotto di professionisti. È per questo che agli in- house è chiesta sempre più specializzazione, acquisita anche tramite una pregressa esperienza negli studi d’affari. Così, l’asse advisor- cliente continua a ristrutturarsi in forme d’interscambio sempre più frequenti.
Informazioni utili in tal senso sono fornite dall’analisi dei lateral in-house degli ultimi dodici mesi. L’incremento maggiore di personale è avvenuto nelle grandi aziende italiane, che hanno reclutato la nuove leve in uguale misura dagli studi legali e da altre aziende (si veda la Tabella 2).
Su 44 spostamenti registrati da TopLegal, 20 (il 45%) hanno visto i professionisti muoversi tra azienda e studio. Analizzando i movimenti nello specifico, 11 giuristi sono passati dall’azienda alla libera professione. Un dato condizionato anche dall’affacciarsi sul mercato italiano di un nuovo fenomeno: lo spin- off di alcune parti della funzione in- house, che ha visto protagonisti Eni (con il passaggio di tre professionisti in Freshfields) e Beni Stabili (da cui sono usciti sette professionisti per fondare Errelegal). Continua ad affermarsi anche il fenomeno inverso, con il passaggio di nove avvocati dagli studi all’interno di realtà aziendali. Le ragioni che portano le aziende a scegliere di integrare il libero professionista nelle loro fila sono diverse: internalizzare il lavoro aumentando le competenze in specifici settori, rinsaldare i legami con un advisor esterno di fiducia e, non da ultimo, migliorare l’ottimizzazione della spesa legale, data la dimestichezza degli avvocati esterni con le regole che presidiano la fatturazione.
L’analisi sui passaggi inhouse avvenuti negli ultimi dodici mesi non evidenzia soltanto la sempre maggiore commistione tra aziende e studi, ma suggerisce anche che la logica alla base dei movimenti non risponde tanto alla necessità di potenziare settori in espansione, quanto a quella di rivedere gli assetti organizzativi di società che appartengono a settori in cerca di nuovi equilibri. Infatti, guardando ai 44 movimenti registrati da TopLegal, si nota che il 54% ( 24 in totale) si è concentrato nell’ambito di banking, energy e real estate, tre settori il cui business negli ultimi tempi ha subito più di altri il clima di incertezza e la contrazione del mercato italiano.
Le banche in Italia arrancano a trovare una strategia economica di crescita e stanno vivendo in una sorta di limbo finanziario, sotto un’ondata di provvedimenti normativi associati ad azioni di pressione affinché facciano pulizia nei loro bilanci e riducano le attività di investment banking. Dalle cessioni di asset alla ridefinizione delle strutture patrimoniali, la razionalizzazione passa anche attraverso la riorganizzazione della funzione legale, come quella che ha caratterizzato nel corso del 2014 Unicredit, che è stata anche protagonista del passaggio di Nadine Faruque dalla direzione legale dell’istituto italiano a quella di Deutsche Bank. Oltre a Faruque il mercato banking è stato protagonista di sette lateral. Tra questi, i passaggi da banca a banca: Luigia Giuliani Thompson da Banca Carim alla private banking Kairos; e
Marco Monetti da Barclays alla filiale italiana della società di risparmio gestito inglese Schroeders. E ci sono stati i movimenti tra istituti finanziari e fondi chiusi – Carlo Gagliardi da Banca Popolare di Milano a Investindustrial – nonché studi legali:
Fabio Araldi, ex Unicredit, ha optato per la libera professione, entrando in Mercanti Dorio. Così come Alessandra Candera, che da Abn Amro ha fatto il suo ingresso in Greco Vitali associati. Scelta inversa è stata fatta da Valentina Zadra, che da Linklaters è approdata in Credit Suisse, e da Paola Flora, che ha lasciato il ruolo di managing partner di Ashurst per UBI.
Rispetto ai passaggi registrati dal settore bancario, il settore energy è risultato al primo posto per volatilità dei professionisti, diventando protagonista del mercato dei lateral con ben nove spostamenti. Anche qui, la volatilità sembra seguire la logica della sofferenza di mercato che, nel 2014, si è tradotta in un netto spostamento del business energetico verso l’estero. Il settore delle rinnovabili è ormai appannaggio dell’Est Europa; mentre nell’oil & gas la fa da padrone l’Africa. Nel comparto del gas la crisi economica ha determinato negli ultimi anni una drastica riduzione della domanda. Cosa che ha costretto i principali operatori a rivedere i modelli di business tradizionali, fondati principalmente su contratti di lungo periodo, orientandosi verso transazioni spot nell’ambito di un mercato sempre più globale. Così come sempre più internazionale diventa il mercato secondario italiano, dove aumenta la tendenza all’assorbimento dei piccoli e medi operatori nei grandi gruppi multinazionali. Questo scenario ha portato, naturalmente, le società che operano nell’energy a fare i conti con una profonda revisione organizzativa, che si è tradotta anche nell’aumento della mobilità dei legal counsel. Michela Costa da Bp Italia è passata in Sorgenia al posto di Federico Dal Poz (entrato in Luxottica). Sergio Marini, invece, è uscito da Shell, che ha dismesso la sua presenza in Italia, per passare in Fendi. Ombretta Faggiano ha lasciato British Gas per Esaote, mentre Angela Becciu da Edipower si è spostata in A2a. Non tutti, però, sono stati lateral da azienda ad azienda. Alcuni hanno abbandonato il ruolo di in- house in favore della private practice. Francesco Lorenzano ha lasciato TotalErg per lo studio Cardia. E Freshfields ha visto confluire nelle sue fila un intero team proveniente da Eni, composto da Luigi Di Paola, Chiara Comai e Chiara Iarussi.
Lo spin- off di Eni rappresenta un caso particolare perché ha assunto i contorni di una sorta di esternalizzazione da parte della direzione affari legali. E non si tratta di un caso isolato negli ultimi dodici mesi. Lo spin- off di sette professionisti del dipartimento legale ha permesso a Beni Stabili la possibilità di applicare un diverso concetto organizzativo dei servizi, beneficiando di un ser vizio legale continuativo e qualificato, ma privo di vincoli di durata o di costi fissi. Il caso Beni Stabili è legato ad un mercato, quello immobiliare, che nel corso degli ultimi anni ha dovuto fare i conti con una flessione degli affari. A dimostrazione che, così come gli studi, anche le direzioni affari legali si trovano a dover affrontare le stesse sfide di fronte a un mercato che fa mutare modelli, strutture e modalità di erogare servizi.
Il 2014 in rassegna (3)