di Marco Michael Di Palma
Dato il differenziale che resta tra il costo della consulenza esterna e del lavoro in house, il transito di mandati dalle direzioni agli studi legali non è destinato ad aumentare. Tuttavia, stando a quanto emerso in una ricerca sui gruppi industriali grandi e medio-grandi appena conclusa dal Centro Studi TopLegal, le direzioni legali del Paese potrebbero già essere alla ricerca di nuovi equilibri per superare nuove sfide nei prossimi anni.
Soprattutto perché gli indicatori fanno emergere uno scenario che nel 2018 ha dell’inverosimile. Si tratta di dover fare quadrare costi interni e spesa legale esterna, entrambi in crescita. Per la metà quasi (49,2%) delle 63 società italiane e straniere censite, continua a crescere la spesa legale esterna. Allo stesso tempo, il 58,7% dei general counsel interpellati dichiara di aver un dipartimento più numeroso rispetto a cinque anni fa. Per l’esattezza, le direzioni legali del Paese sono cresciute del 21% tra il 2013 e il 2018, ben oltre il tasso economico (il Pil italiano nello stesso periodo ammonta a solo 2,8%).
L’aumento contemporaneo a livello di sistema, sia della spesa esterna sia delle compagini in house, sembra un paradosso oltre che un’involuzione di tendenza rispetto al passato. Un sondaggio realizzato da TopLegal nel 2013 rivelava che l’ampliamento delle direzioni italiane era in esaurimento perché non più ottimale al contenimento dei costi.
Ma c’è di più. Incrociando i dati della nuova ricerca TopLegal, si scopre che una parte delle direzioni legali si trova ora doppiamente esposta sul fronte costi. Esiste una fascia di società – il 30% del campione analizzato – in cui i fenomeni esposti sopra si stanno presentando contemporaneamente: ossia la singola società è alle prese sia con l’aumento della spesa per la consulenza esterna, sia con l’aumento dei costi legati alla propria squadra interna. Analizzando la distribuzione di questo gruppo, si scopre che una parte consistente di queste società – il 42% – riguarda le direzioni di dimensioni medie (da 11 a 50 avvocati) e altamente strutturate (oltre 50 avvocati).
L’espansione delle compagini aziendali è stata alimentata dalla volontà di autogestione e una maggiore efficienza aziendale. Ma, come si sa, vi è un limite a tutto. L’espansione dei giuristi d’impresa non potrà continuare ininterrottamente senza generare gli stessi costi fissi che si volevano tagliare. Cosa potremmo aspettarci allora dalle direzioni legali nei prossimi anni?
Sembra improbabile che il pendolo si sposti di nuovo a favore degli studi legali. I vantaggi economici dell’approvvigionamento interno sono rimasti sostanzialmente invariati. Piuttosto, le direzioni taglieranno prima la spesa esterna. Questo comporterebbe l’ampliamento delle squadre per far fronte all’aumento di lavoro interno, e con esso una quantità maggiore di costi fissi proprio nel momento in cui l’economia sta rallentando.
Un altro scenario probabile potrebbe essere quello già verificatosi nei mercati più maturi, come dimostra un recente studio di American Lawyer sulle squadre e i costi delle direzioni legali statunitensi negli ultimi 20 anni. Le risorse investite dalle aziende sono confluite e si sono ridotte superando abbondantemente la tendenza dell’economia. In pieno boom tech nel 1999 e con il Pil americano che volava al 4,5% annuo, il numero di giuristi d’impresa americani aumentava del 24%, cinque volte quanto i liberi professionisti. Scoppiata la bolla nel 2001, le direzioni legali si contraggono invece del 25%. Tra il 2002 e il 2007, gli in house tornano ad ampliarsi del 39% (gli studi legali si attestano al 10,5%). Quando la crisi finanziaria innesca nuovi tagli, le direzioni si contraggono del 14%. Dal 2009 al 2013, esplode di nuovo la crescita arrivando al 28% (soltanto il 4,5% per gli studi legali). Giunti al 2015, le direzioni legali hanno costi annuali di 32 miliardi di dollari. Tuttavia, se la crescita delle direzioni legali avesse seguito esattamente la dinamica del pil nazionale, i costi sarebbero stati di 18 miliardi di dollari, il 43,7% in meno.
Solo nel 2016 si arresta l’effetto “fisarmonica” e inizia l’allineamento sostanziale tra direzioni (3,5% annuo), studi legali (1% annuo) e Pil americano (2% annuo). Per American Lawyer questo assestamento è dovuto a due fattori legati tra di loro. Primo, i giuristi d’impresa statunitensi stanno sostituendo sempre di più i soci dei grandi studi (i quali, trovandosi in difficoltà per gli obiettivi di fatturato da raggiungere, farebbero bene a considerare il passaggio in azienda). Secondo, i general counsel stanno operando sempre di più su due fronti strategici. Da una parte, internalizzano dagli studi legali il lavoro a valore aggiunto; dall’altra, esternalizzano il lavoro a basso valore verso altri fornitori di servizi esterni per diminuire i costi all’azienda.
In Italia si è consolidato da tempo l’interscambio tra studi legali di rilievo e azienda. Negli ultimi tre anni, gli spostamenti da studio ad azienda sono stati oltre il doppio rispetto a quelli da azienda a studio. La nuova frontiera in Italia, invece, riguarda l’esternalizzazione verso fornitori terzi. Per affermarsi sul mercato, tali fornitori dovrebbero riuscire a proporre prezzi più bassi e stringere accordi a lungo termine per fare più esperienza possibile e ottenere volumi sufficienti per le economie di scala. Con queste condizioni, la partita per le direzioni legali si farebbe interessante.