Governance

Diversity, verso un board 2.0

Per governare una società occorre la massima valorizzazione delle diverse competenze ed esperienze professionali dei singoli componenti del Cda

09-11-2015

Diversity, verso un board 2.0


Un board 2.0 lontano dalle logiche delle camere chiuse e improntato alla diversity è possibile in Italia?. Il tema è stato affrontato oggi, 9 novembre, nel corso della tavola rotonda "Verso il Board 2.0 L’evoluzione del concetto di diversity nei Consigli di amministrazione" organizzata da TopLegal in collaborazione con Gianni Origoni Grippo Cappelli e Sodali. Moderato da Andrea Di Segni, partner di Sodali, il dibattito ha visto l'intervento di Giuseppe Catalano, responsabile company secretary and corporate affairs di Generali Assicurazioni; Francesco Gianni, socio fondatore di Gianni Origoni Grippo Cappelli; Karina A. Litvack, non executive director di Eni; Massimo Menchini, direttore corporate governance di Assogestioni; Livia Piermattei, managing partner di Methodos - The Change Management Company. 

Il paradigma board, voto di lista e direttori indipendenti è sotto pressione: stiamo oggi assistendo a una rivisitazione del modello verso la ricerca di una modernità che tenga conto delle nuove dinamiche che muovono i mercati. Come ha evidenziato Di Segni, il peso degli investitori istituzionali internazionali dall’adozione della record date nel 2010 è cresciuto in maniera sensibile fino a divenire oggi una componente principale dell’azionariato delle società e, in taluni casi, anche maggioritaria.

La media nel 2015 del capitale sociale detenuto dagli istituzionali stranieri nelle principali società del Ftse Mib è pari al 31,64%, ma alcune già oggi superano ampiamente la soglia del 40%. In linea con il maggior peso di questa componente, è cresciuto anche il suo peso nelle assemblee degli azionisti. La media del peso degli investitori istituzionali internazionali (rapporto tra voti espressi e quorum globale) ha raggiunto nel 2015 la quota media del 43%, alcune società ormai sono stabili sopra il 50% fino a oltre il 60%. "Il board 2.0 non dovrebbe guardare ai soggetti istituzionali come una parte dell'azionariato da temere", ha affermato a tal proposito Menchini, sottolineando la necessità di una loro adeguata rappresentanza nei board per progettare strategie di lungo termine in grado di creare valore per tutti gli stakeholders. 


Tutti i relatori hanno convenuto sulla necessità che il board rappresenti un ponte tra il management e gli stakeholders, motivo per il quale è stata sottolineata l'opportunità di cooptare nei board professionalità in grado di governare questi processi. "Sarebbe opportuno inserire nei Cda persone competenti sì nei processi, ma anche nel business", ha sottolineato Gianni, evidenziando che la diversity all'interno dei board dovrebbe tenere in considerazione anche la diversity tra i diversi settori economici e rispecchiarla. Perché "essere nel Cda di una società che si occupa di estrazione non è la stessa cosa di essere in quello di una società che si occupa di chimica".

Allora, il concetto di «diversity» deve essere inteso non soltanto come genere, bensì come valorizzazione massima delle diverse competenze ed esperienze professionali dei singoli componenti del Consiglio per garantire il mix più appropriato per governare una società e le sue scelte strategiche e manageriali.

Le diversity che dovrebbero essere integrate nei Cda, così come evidenziate nel corso del dibattito, sono: specifica conoscenza del business, conoscenze degli aspetti regolatori (specifici e macro), esperienze internazionali o in società a grande capitalizzazione, tecnologia/security/digitale, conoscenza delle tematiche di risk managment, conoscenza delle dinamiche degli stakeholders e degli investitori istituzionali internazionali. L'insieme di questi elementi integrati in un Cda renderà possibile il passaggio a un board 2.0

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Sodali, Gianni & Origoni FrancescoGianni, GiuseppeCatalano, Karina A.Litvak, MassimoMenchini, LiviaPiermattei, AndreaDi Segni Generali, Eni, Assogestioni, Methodos


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