Ha appena messo la firma su uno dei lateral hire più caldi degli ultimi anni. A colpi di acquisizioni di avvocati ha trasformato un outsider in uno studio di riferimento. È indicato come uno dei manager più inquieti e dinamici in termini di strategie. Anche quando imprevedibili o controcorrente. Adesso che potrebbe aver portato a segno il «colpo che mancava», assicurarsi Francesco Novelli con un team di una ventina di professionisti in maxi trasloco dal decadente Grimaldi, Federico Sutti (nella foto), vero “patron” di Dla Piper Italia, ha ancora fame. E parla di condurre l’insegna «tra i primi tre studi nazionali nel giro di due anni». Non tanto in termini di persone e volumi (oggi rispettivamente a quota 163 professionisti per un fatturato di 53,8 milioni). Ma in termini di posizionamento e prospettive. Perché, sostiene, «questo è il momento del cambiamento. Questo è il momento di giocarsi le carte vincenti».
Avvocato, un colpo importante. Un boccone notevole. Un ingresso portato a termine rapidamente. Ancora a inizio aprile lei gettava acqua sul fuoco. Novelli come arriva in Dla?
Abbiano iniziato a ragionare in gennaio. Poi l’operazione è stata valutata da almeno una ventina dei soci Dla. Ad aprile, nel momento delle indiscrezioni, mancava ancora il voto dei partner. È vero, il processo, vista la dimensione del team in ingresso, che vale un 10% circa del nostro fatturato, è stato comunque rapido: questione di “chimica”, ma anche di condivisione del progetto.
Novelli proviene da uno studio assai differente. Qual è il progetto condiviso?
Per ciò che ci riguarda, si tratta di una scelta di lungo periodo. C’è stata una visione comune sulle prospettive del mercato italiano. Il quale è destinato a una profonda ristrutturazione e al consolidamento. Da questa fase, emergeranno gli studi in grado di offrire una piattaforma strutturata di servizi. Il che significa full service in Italia, ma anche un network internazionale che consenta di essere sui principali mercati evitando di dipendere dallo “studio amico” locale.
Non siete l’unico studio estero in Italia.
Già, ma i nostri concorrenti non hanno perseguito la strategia del full service. L’unico vero player sulle nostre posizioni era Dewey, il quale adesso esce di gara.
Cosa vi mancava, dunque, per vincere la sfida.
Mancava ciò che Novelli ha portato nello studio. Dla aveva bisogno di colmare un gap di percezione tra ciò che offriva e ciò che ancora era percepito offrisse. Questo retaggio viene cancellato dall’arrivo di un team di primo piano unanimemente riconosciuto come tale. Che ci rende leader nel segmento dell’Energy, sia sul fronte Oil & gas sia su quello delle rinnovabili.
Per giunta, pescate un jolly in un momento favorevole. Negoziare con un team in uscita “obbligata” da uno studio (Grimaldi) è una situazione di vantaggio.
In realtà, Novelli e la sua squadra avevano porte aperte in altri studi. Per giunta, la questione economica non è mai stata sul tavolo. Non è stato il nodo cruciale. Ritengo che abbiano fatto una scelta “filosofica”, scommettendo sul futuro.
La partita, adesso, si sposta sull’integrazione di una squadra piuttosto numerosa.
Abbiamo già dimostrato di essere in grado di farlo con l’arrivo del teal di Nino Lombardo due anni fa. Anche in quel caso arrivarono in 18 con un fatturato di circa 5 milioni.
Insomma, Dla ha trovato la sua dimensione.
Invece, mancano ancora dei tasselli. Il nostro progetto è cogliere le opportunità di mercato sfruttando un momento in cui in tanti si devono riorganizzare. E arrivare a essere considerati tra i primi tre studi in Italia. Non in termini di volumi (Dla ha messo a budget ricavi per 57,5 milioni in questo esercizio), ma come realtà di riferimento. Ci sono ambiti in cui siamo “giovani” e abbiamo margini di crescita: nel M&A, nell’Equity capital market e nel Litigation (specialmente negli arbitrati di un certo peso).
La prossima occasione potrebbe arrivare da Dewey?
Purtroppo, abbiamo parlato a lungo, ma non si è concluso. Gli va riconosciuto l’impegno nel mantenere la squadra unita. Ma questo ci ha impedito di procedere: 100 avvocati non erano un passo sostenibile.
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