Iniziato con il fermento sorto nei primi anni 90, il mercato legale in meno di un decennio giunge ad un punto di svolta. Per la prima volta, si accantona l'individualismo radicale e le storiche animosità per contrastare la spinta colonizzatrice degli studi anglosassoni. Di fronte a un'invasione che molti temono possa azzerare gli equilibri del mercato, alcuni costruiscono aggregazioni per raggiungere la vetta. Ma la maggioranza delle insegne di rilievo piuttosto preferisce sottoscrivere alleanze, best friendship e joint venture con gli stranieri. Alcuni arrivano alle fusioni.
Dall'interno, gli studi italiani studiano l'avversario, imparano le sue tecniche di gestione, di business development, il servizio al cliente e le politiche remunerative. Poi, a distanza di pochi anni e munite di nuove armi, diverse squadre italiane si svincolano da questi accordi per rilanciarsi come indipendenti e passare al contrattacco.
In seguito, e conclusa la missione, i protagonisti si sono visti bene da darsene una nuova. Esauritasi una stagione, la necessità sembra non avere più aguzzato l'ingegno. Le insegne angloamericane, ridimensionate da perdite e scissioni, non fanno più paura ma la crisi oramai quinquennale si abbatte su un mercato appiattitosi e passivo. Tranne alcune rare eccezioni, gli studi legali si muovono senza testa, con lo sguardo rivolto solo a se stessi e incapaci di darsi una direzione.
Vi è una mancanza di progettualità che emerge sotto diversi profili. Manca la spersonalizzazione: gli studi italiani continuano ad avere dimensioni ridotte rispetto ai loro omologhi nelle maggiori giurisdizioni continentali.
Mancano la successione e la continuità: un socio può fondare più studi e poi associarsi ancora ad altri e il tutto nell'arco di una singola carriera. Da noi, gli studi legali nascono e muoiono come gli animali che hanno la culla vicino alla tomba, e il loro destino è segnato dall'eventuale ritiro del socio fondatore. Mentre i passaggi dei soci da uno studio all'altro sono per la maggior parte dettati da logiche opportunistiche piuttosto che da visioni di crescita. Per questo, le campagne acquisti a distanza di pochi anni si rivelano troppo spesso fallimentari. Mancano infine l'autoanalisi, il
confronto: bisogna che arrivi una forte crisi perché gli studi si riformino dall¹interno. Se i clienti hanno potuto imporre tagli lineari e mettere in fila i loro consulenti con gare al ribasso, questo non è solo riconducibile alla crisi ma è dovuto in parte anche all'atteggiamento degli studi che hanno finora vissuto un eterno presente e per cui il sommo obbiettivo è stato di mantenere alte le parcelle e garantirsi fatturati e utili per l¹anno successivo.
Intanto la crisi non si attenua mentre le strutture in sovrappeso rimangono ancora tante. Di fronte a margini ridotti, il mercato potrebbe assistere ad una stagione di accorpamenti e fusioni a freddo, compiute non a nome di qualche idea di crescita a lungo termine, ma semplicemente per spalmare i costi fissi. Schema già battezzato "modello condominiale". Quando manca la progettualità, manca la visione complessiva. Manca quindi tutto.