Integrated Governance Index

È giunta l'ora della governance

Al via la tripla indagine sulle 40 aziende del Ftse-Mib. Il caso Volkswagen dimostra che si tratta di una grande opportunità per studi e direzioni legali

08-02-2016

È giunta l'ora della governance


Lo scandalo Volkswagen scoppiato lo scorso anno e le conseguenze reputazionali e finanziarie che si sono generate hanno chiarito che i parametri Esg (ovvero il triumvirato: Environmental, Social e Governance) sono parte integrante del business di una società e in grado di condizionarne in maniera sostanziale finanche la sua sopravvivenza. Un report di Vigeo (tra i principali emittenti di rating etici in Europa) sulla casa di Wolfsburg dichiara:  «La nostra  opinione – si legge nell’analisi – si è altamente ridotta in merito alla capacità di Volkswagen di mitigare i propri rischi reputazionali, di salvaguardare la coesione del proprio capitale umano o di assicurare l’efficienza dei propri processi interni».

Il fattore «g»
I temi ambientali, legati alle emissioni hanno rappresentato solo la cartina al tornasole di profonde criticità legate alla governance della società. E il fattore «g», che chiude l’acronimo Esg, è diventato improvvisamente il parametro principe, da cui deriva l’autenticità degli altri due. Più in generale, in un ambiente in rapido cambiamento, la qualità della corporate governance può determinare la capacità di una società di rispondere alle sfide strategiche. Board di società adeguatamente gestite comprendono una «diversity» di prospettive e competenze che possano: assicurare la comprensione di fenomeni più o meno carsici nel mercato, incentivare adeguatamente il management a perseguire il corretto approccio strategico, e permettere sempre al management di essere flessibile ma responsabile delle proprie decisioni.

La case history
Nel caso Volkswagen la struttura della governance non dava garanzie. La maggioranza della società faceva riferimento alle famiglie Piëch e Porsche, con quote di minoranza detenute dallo Stato della Bassa Sassonia con il 20% dei voti e la Qatar Holding con il 17 per cento. Le azioni degli investitori istituzionali erano per la maggior parte privilegiate (senza diritto di voto), il Consiglio di amministrazione era composto soprattutto da non indipendenti, compresi i membri delle due famiglie azioniste di riferimento. Inoltre, come nella maggior parte delle società tedesche, il Consiglio di sorveglianza comprendeva rappresentanti del sindacato, circostanza che non lascia escludere potenziali conflitti di interessi nei confronti degli azionisti. Il comitato audit non era indipendente, e mancava, inoltre, il comitato remunerazioni. Al momento il terremoto generato dallo scandalo delle emissioni ha provocato solo un avvicendamento nelle poltrone di presidente e Ceo, assegnate rispettivamente a Hans Dieter Pötsch e Matthias Müller, entrambi vicini a Ferdinand Piëch. In pratica, nessun miglioramento all'impianto di governance.  

Perché misurare

Il 90% di chi prende decisioni finanziarie professionali considera la governance un driver critico nella performance di un investimento. La percentuale emerge da uno studio di Aberdeen Asset Management, condotto presso pension fund trustees, financial directors, gestori di fondi pensioni, consulenti dell’industria di servizi finanziari, manager corporate e dei settori not-for-profit. «La governance – scrive Aberdeen nel commentare la ricerca – è un processo vitale. E per un investimento di lungo periodo è perciò un pre-requisito importante comprendere le persone coinvolte nelle strutture». Diventa necessario, prosegue l’analisi del gestore britannico, «un approccio dinamico nella valutazione della governance».

Un indice della governance
TopLegal, in collaborazione con ETicaNews e con il supporto tecnico di Nedcommunity, Methodos e Sodali, ha avviato un osservatorio per capire a che livello del percorso verso un «buon governo integrato» siano le principali società quotate italiane. L’iniziativa, denominata appunto «Integrated Governance Index», coinvolge le 40 aziende del Ftse-Mib e si articola in una triplice ricerca. La prima richiede il coinvolgimento diretto delle aziende, chiamate a partecipare a una indagine quantitativa. La seconda è un’indagine qualitativa, condotta in parallelo presso i consiglieri indipendenti delle aziende. Infine la terza riguarda i grandi investitori istituzionali che esprimeranno la propria visione sul grado di «integrated governance» delle società italiane. Le specializzazioni complementari dei partner hanno consentito di costruire un progetto che non ha precedenti. Fino a oggi, le riflessioni e le analisi si sono concentrate esclusivamente sull’aspetto della compliance. Viceversa, parlare di integrated governance significa affrontare un concetto assai più complesso, nel quale le problematiche di compliance si intersecano con quelle di rendicontazione, di posizionamento strategico e di interazione con il sistema degli stakeholder (mercato e investitori inclusi). 

Il ruolo dei professionisti

I general counsel sono i naturali indiziati a occuparsi di quest'area strategica. Allo stesso tempo quest’area appare molto lontana dalla «commoditizzazione», e dunque per i consulenti esterni c'è ampio spazio per costruire business ed expertise. Al corporate lawyer, interno o esterno che sia, vengono assegnate almeno tre identità: counsellor, gatekeeper e whistleblower, orientate a tre pubblici diversi. La prima è di supporto al management, il ruolo naturale. La seconda è di supporto agli azionisti: il legale è il baluardo di chi ha investito nella società, e attende che i suoi interessi siano allineati a quelli della direzione. La terza identità è quella di un legale attivista, che si rivolge all'azienda che assiste quale istituzione, terza dai proprietari e dal management, negli interessi di tutti gli stakeholder, anche di quelli solo apparentemente più lontani ma che possono diventare decisivi. Le autorità, per esempio, ma non solo. Il caso Volkswagen dimostra che questa terza dimensione, per i legali, non può essere più un vorrei-ma-non-posso, ma piuttosto si candida a essere in misura crescente garanzia di credibilità per gli stessi professionisti.  


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