Nella newsletter inviata ieri è stato pubblicato un editoriale che, a causa di un errore di impaginazione, conteneva appunti di lavorazione, risultando perciò illeggibile. Ce ne scusiamo con i lettori e proponiamo di seguito la versione corretta.
Prima lo studio o prima l’istituzione?
Sarà il clima da armageddon, sarà l’esempio di qualche grande e apparentemente inossidabile studio che ha tremato dalle fondamenta, sarà l’attacco evidente sferrato alla categoria da parte della Vigilanza e del Legislatore, ma la sensazione è che negli ultimi tempi sia più che mai tornato in voga il termine “istituzione”. Da intendersi come evoluzione di squadra, struttura, governance di uno studio. Da intendersi come trasposizione delle individualità in una sola entità legale.
È un concetto complesso che offre spunti per divagazioni solo apparentemente retoriche. Innanzi tutto, è bene rilevare che ci sono studi che il concetto di istituzione l’hanno affrontato e sviscerato nelle sue declinazioni e accezioni sin dall’imprinting, il momento di scegliere il Dna della propria associazione; ci sono studi che l’hanno introdotto manu militari, come una sorta di cattiva medicina nel corso dello sviluppo; ci sono studi che ritengono di poterlo lasciare alla caverna platonica ancora per qualche tempo, pur in qualche modo ridisegnando immagine e formalità in modo da renderle più conformi all’idea.
I diversi approcci riflettono un diverso grado di percezione dell’impellenza del concetto. Il che non significa, tuttavia, che per tutti il passaggio studio-istituzione appaia già come un concetto illuministico. Ossia, rientrante tra quei concetti del periodo illuminista, in cui nasceva la concezione della “posterità”, da intendersi come capacità di sostituzione dell’uomo a Dio, quindi capacità – e necessità – di sacrificare il presente alla storia per impostare soluzioni di lungo periodo ai problemi cruciali della società.
Il problema è che non solo non sembra pienamente abbracciata la proiezione alla posterità, ma che nemmeno appaia percepito quanto questa posterità è necessariamente più incombente rispetto a quanto era per i settecenteschi seguaci di Voltaire. I quali potevano permettersi di esaminare i balzi della storia in periodi decennali, se non secolari. Viceversa, lasciando da parte il discorso che per taluni studi legali la problematica della successione già fa i conti con il cronometro, andrebbe oggi considerato che, in generale, gli odierni balzi della storia non sono tanto lunghi. Più che balzi, si parla di scatti. Annuali, talvolta. Se non semestrali.
Ecco, dunque, che la posterità andrebbe non solo introdotta, ma anche considerata come una variabile di breve, se non brevissimo, periodo.
Questa riflessione consente dimostrazioni per assurdo. Si prenda, per esempio, la tesi che nel giro di qualche mese il mercato acceleri al punto la sua complessità da imporre una spinta alla tendenza alle cordate di studi legali attorno allo stesso cliente, fenomeno assi ben evidenziato in deal recenti (vedi Seat, ma anche la fusione Unipol-Ligresti). È del resto ciò che sta accadendo forzatamente (causa un fattore esogeno come il credit crunch) agli advisor finanziari delle operazioni (si veda la lunga lista di banche necessarie all’aumento Unicredit). Ebbene, la dimostrazione richiede di verificare se queste cordate siano possibili aggregando strutture non impostate come entità istituzionali, organizzate in maniera da mettere a disposizione macchine legali (e non individui legali). Bensì improntate sul singolo nome. Si avrebbero cordate di nomi, non di organizzazioni. Difficile. Assurdo. La condizione necessaria, data la tesi, è che gli studi si presentino in questi panel come istituzioni, non come aggregati di avvocati.
Il divertissement legal-filosofico consente, infine, di arrivare al paradosso culturale. Che poggia sulle caratteristiche proprie del sistema Italia: strutture ridotte e molto frammentate nel confronto con il mercato internazionale. Secondo i dati riportati da TopLegal International 2011, i due principali studi italiani per fatturato si fermano al 13simo posto nell’Europa continentale (cioè, senza considerare le realtà anglosassoni). Ebbene, c’è chi sostiene che l’aggregazione, l’integrazione e la consapevolezza di giocare un ruolo sociale nel Paese siano elementi necessari all’interiorizzazione del concetto di istituzione. Viceversa, c’è poi chi sostiene che sia necessaria una presa di coscienza del concetto di istituzione per avviare una reale fase di aggregazione, integrazione e di crescita sociale da parte degli studi. Prima l’uovo, o prima la gallina?
Insomma, anche i calembour possono aiutare a riflettere.
È un concetto complesso che offre spunti per divagazioni solo apparentemente retoriche. Innanzi tutto, è bene rilevare che ci sono studi che il concetto di istituzione l’hanno affrontato e sviscerato nelle sue declinazioni e accezioni sin dall’imprinting, il momento di scegliere il Dna della propria associazione; ci sono studi che l’hanno introdotto manu militari, come una sorta di cattiva medicina nel corso dello sviluppo; ci sono studi che ritengono di poterlo lasciare alla caverna platonica ancora per qualche tempo, pur in qualche modo ridisegnando immagine e formalità in modo da renderle più conformi all’idea.
I diversi approcci riflettono un diverso grado di percezione dell’impellenza del concetto. Il che non significa, tuttavia, che per tutti il passaggio studio-istituzione appaia già come un concetto illuministico. Ossia, rientrante tra quei concetti del periodo illuminista, in cui nasceva la concezione della “posterità”, da intendersi come capacità di sostituzione dell’uomo a Dio, quindi capacità – e necessità – di sacrificare il presente alla storia per impostare soluzioni di lungo periodo ai problemi cruciali della società.
Il problema è che non solo non sembra pienamente abbracciata la proiezione alla posterità, ma che nemmeno appaia percepito quanto questa posterità è necessariamente più incombente rispetto a quanto era per i settecenteschi seguaci di Voltaire. I quali potevano permettersi di esaminare i balzi della storia in periodi decennali, se non secolari. Viceversa, lasciando da parte il discorso che per taluni studi legali la problematica della successione già fa i conti con il cronometro, andrebbe oggi considerato che, in generale, gli odierni balzi della storia non sono tanto lunghi. Più che balzi, si parla di scatti. Annuali, talvolta. Se non semestrali.
Ecco, dunque, che la posterità andrebbe non solo introdotta, ma anche considerata come una variabile di breve, se non brevissimo, periodo.
Questa riflessione consente dimostrazioni per assurdo. Si prenda, per esempio, la tesi che nel giro di qualche mese il mercato acceleri al punto la sua complessità da imporre una spinta alla tendenza alle cordate di studi legali attorno allo stesso cliente, fenomeno assi ben evidenziato in deal recenti (vedi Seat, ma anche la fusione Unipol-Ligresti). È del resto ciò che sta accadendo forzatamente (causa un fattore esogeno come il credit crunch) agli advisor finanziari delle operazioni (si veda la lunga lista di banche necessarie all’aumento Unicredit). Ebbene, la dimostrazione richiede di verificare se queste cordate siano possibili aggregando strutture non impostate come entità istituzionali, organizzate in maniera da mettere a disposizione macchine legali (e non individui legali). Bensì improntate sul singolo nome. Si avrebbero cordate di nomi, non di organizzazioni. Difficile. Assurdo. La condizione necessaria, data la tesi, è che gli studi si presentino in questi panel come istituzioni, non come aggregati di avvocati.
Il divertissement legal-filosofico consente, infine, di arrivare al paradosso culturale. Che poggia sulle caratteristiche proprie del sistema Italia: strutture ridotte e molto frammentate nel confronto con il mercato internazionale. Secondo i dati riportati da TopLegal International 2011, i due principali studi italiani per fatturato si fermano al 13simo posto nell’Europa continentale (cioè, senza considerare le realtà anglosassoni). Ebbene, c’è chi sostiene che l’aggregazione, l’integrazione e la consapevolezza di giocare un ruolo sociale nel Paese siano elementi necessari all’interiorizzazione del concetto di istituzione. Viceversa, c’è poi chi sostiene che sia necessaria una presa di coscienza del concetto di istituzione per avviare una reale fase di aggregazione, integrazione e di crescita sociale da parte degli studi. Prima l’uovo, o prima la gallina?
Insomma, anche i calembour possono aiutare a riflettere.