Diritti in house

Eni attacca sul legal privilege

Il Cane a sei zampe ha presentato ricorso al Tar contro un'ispezione Antitrust, seguito dal professor Angelo Clarizia e dal legale interno Domenico Durante

05-07-2012

Eni attacca sul legal privilege

Legal privilege o non legal privilege. Un dilemma caldissimo all’interno dei team legali delle aziende, sul quale Eni ha preso una posizione durissima. Il gruppo, infatti, assistito dal professor Angelo Clarizia e dal legale interno Domenico Durante (Eni), ha presentato ricorso al Tar Lazio in riferimento a un’ispezione effettuata da alcuni funzionari dell’Antitrust in azienda, i quali avrebbero, secondo la tesi del Cane a sei zampe, violato appunto il legal privilege. Nel processo amministrativo promosso da Eni, la cui prima udienza si è tenuta ieri, il consiglio dell’ordine di Roma, quello di Milano e il Consiglio Nazionale Forense si sono costituiti ad adiuvandum.

«Tra febbraio e marzo di quest’anno – racconta a TopLegal Massimo Mantovani, General cousel di Eni - nel corso di due diverse ispezioni effettuate nell’ambito di due diversi procedimenti, uno in materia di pratiche commerciali scorrette, e uno in materia di antitrust, i funzionari dell’Autorità Garante hanno preteso di poter ispezionare gli uffici di tre dei nostri avvocati interni e di poter accedere ai rispettivi Laptop». 
I legali in questione, è da precisare,  sono avvocati a tutti gli effetti, regolarmente iscritti nell’elenco speciale presso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, i quali oltre all’attività  di consulenza e di negoziazione, regolarmente difendono in mandato Eni  presso le Corti nazionali e comunitarie.
«Noi abbiamo eccepito il segreto professionale – continua Mantovani - ricordando che gli avvocati cosiddetti interni iscritti all'albo (nel nostro caso albo speciale) godono per legge e per costante giurisprudenza delle stesse tutele degli avvocati cosiddetti esterni». 
Tali tutele consistono in: i) per poter procedere alla perquisizione presso lo studio di un avvocato persino la Procura deve preventivamente ottenere l’autorizzazione del giudice e avvisare il Consiglio dell’Ordine (ai sensi dell’articolo 103 del c.p.p.); ii) i documenti aventi a oggetto l’attività professionale non possono essere acquisiti, a meno che non contengano gli effetti materiali di un illecito, ad esempio - nel caso dell’Antitrust- il testo di un accordo di cartello.

La posizione espressa da Eni è, tra l’altro,  stata confermata da un parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma (promosso in precedenza da Eni  proprio per chiarire il tema), nel quale si afferma che in materia di segreto professionale gli avvocati interni iscritti all’albo speciale godono delle stesse e medesime tutele previste, per gli avvocati esterni. «Abbiamo esibito anche questo parere – conferma il general counsel -  ma il team degli ispettori Antitrust ha affermato di non essere d’accordo con il Consiglio dell’Ordine, in quanto il parere risulta in contraddizione con quanto affermato dalla Corte di Giustizia nel 2010 nella sentenza Akzo». 
Da tale sentenza, in realtà, si possono desumere tre principi che sono perfettamente coerenti con il parere del Consiglio dell’Ordine – spiega Mantovani:  «In primo luogo afferma che in Europa il riconoscimento del legal privilege ai legali interni è una materia variegata in quanto in alcuni Stati è chiaramente riconosciuto dalle normative nazionali, mentre in altri Stati non lo è; ii) alla Commissione deve essere consentito di ispezionare i documenti e i computer dei legali interni, anche se iscritti all’albo e anche se ad essi è riconosciuto il legal privilege dalla normativa nazionale, in quanto la Commissione deve poter agire in modo omogeneo a livello europeo. Ciò fino a quando, nei vari ordinamenti nazionali, non ci sarà  una legislazione omogenea a livello europeo (come negli Usa) che riconosca ai legali interni il legal privilege; iii) le Autorità  nazionali, in quanto soggette agli ordinamenti nazionali e anche se applicano la normativa antitrust comunitaria (a meno che non agiscano a mero supporto operativo della Commissione) dovranno applicare quanto previsto a livello nazionale in materia di legal privilege». 

Dopo l’ispezione, Eni ha tentato di risolvere la questione in modo extragiudiziale  presentando all’Antitrust delle dettagliate istanze di restituzione dei documenti coperti dal segreto professionale. «Si badi bene – sottolinea Mantovani – che stiamo parlando della restituzione solo di pochi documenti aventi chiaramente il contenuto di un parere legale. Ma l’Antitrust ha risposto alla nostra istanza in modo laconico affermando senza argomentare che i legali interni non beneficiano del legal privilege». Data la risposta dell’Antitrust, Eni ha proposto, dunque,  ricorso al Tar Lazio. «Penso che si arriverà  entro l’anno alla sentenza di merito», auspica Mantovani che aggiunge: «Riteniamo che il ricorso sia molto solido. Ricorso peraltro che da un punto di vista manageriale indica la necessità anzitutto di chiarezza e uniformità delle regole incluse quelle relative al legal privile.  Non è concepibile, infatti,  lavorare sulla base delle interpretazioni di differenti Autorità, specie per chi opera globalmente come nel nostro caso».

Il tema è di principio per tutti gli iscritti all'albo speciale e non solo i legali Eni. Molte aziende, infatti, proprio mosse da questa problematica stanno pensando di esternalizzare l’ufficio legale tramite spin off, in modo tale da poter godere del legal privilege (in quanto, una volta esterno, l'ufficio sarebbe un studio legale a tutti gli effetti, per quanto "controllato" dal gruppo). Di certo la decisione del Tar Lazio potrà tracciare la via, in un senso o nell’altro. Affermando il diritto, ai legali interni, alla tutela di riservatezza posta a protezione delle comunicazioni tra il giurista e la società, cosa che per molte Autorità, compresa l'Antitrust potrebbe essere pericolosa.  O negandolo. In questo caso, è possibile attendersi una serie di spin off di team legali interni.












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